Introduzione
While it was happening we didn’t realize that it was a scene, we kind of assumed that it was that way everywhere. As the years have gone by and we reflect back on it, it was a pretty interesting time for Florida.
Kelly Shaefer
La Florida è storicamente la capitale del death metal. È qui, e in particolare nell’area costiera di Tampa, St. Petersburg e Sarasota, che molte delle band che tra il finire degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta avrebbero cambiato radicalmente il volto del metal estremo hanno mosso i primi passi tra demo e cassette registrate amatorialmente, affermandosi progressivamente grazie al tape trading, ai concerti locali e al semplice passaparola tra gli appassionati. Quasi nello stesso tempo in cui grandi gruppi thrash metal californiani come Slayer, Dark Angel e Possessed stavano pubblicando i loro album più rinomati, quelli che a posteriori sono giustamente considerati come pietre miliari imprescindibili per comprendere l’evoluzione del metal estremo, i pionieri del death metal americano come Death (al tempo, Mantas), Obituary (ex Executioner e Xecutioner) e Morbid Angel erano già molto attivi nella scena: tra il 1983 e il 1986, cassette come Death by Metal, Reign of Terror e Abominations of Desolation riscuotevano un relativo successo tra i collezionisti del metal underground più oscuro e violento. Si trattava certamente di registrazioni rudimentali, embrionali e immature sia dal punto di vista esecutivo sia da quello compositivo; eppure, in quel suono dozzinale influenzato da Venom e Celtic Frost, è impossibile non scorgere già un suono particolarmente violento e abrasivo, anche quando paragonato agli standard del thrash metal dell’epoca.
Le evoluzioni più oltranziste del thrash metal hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo del death metal floridiano per come lo conosciamo oggi: certamente, c’era un adolescenziale – quasi infantile – obiettivo di suonare una musica ancora più veloce, ancora più rumorosa, ancora più violenta. Eppure, l’affermarsi di una scena tanto movimentata pressoché contemporaneamente a quella thrash californiana dall’altra parte degli Stati Uniti, con una fittissima rete di musicisti in stretto contatto l’uno con l’altro e con idee musicali tanto simili, non si può spiegare soltanto con il mero desiderio di emulazione di Slayer e compagnia. Bisogna innanzitutto considerare l’influenza pervasiva della cinematografia horror, che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta aveva fatto passi da gigante nelle tecnologie utilizzate e negli effetti speciali, portando a una rinascita dei film sugli zombie e aprendo la strada a body horror, splatter e gore di vario tipo, allargando enormemente il bacino del proprio pubblico. L’estetica truculenta e sanguinaria di queste pellicole si proiettava nelle copertine, nei titoli e nei testi delle band death metal (che, soprattutto negli anni Ottanta, erano formate da avidi consumatori di film horror, a partire da Chuck Schuldiner stesso), oltre che nella musica che quindi doveva essere il più feroce e brutale possibile. L’affinità ideologica tra il thrash e il death metal viene quindi spiegata anche dal fatto che entrambe le correnti sono state profondamente segnate, fin dai loro albori, dallo stesso genere cinematografico.
Un’altra causa collaterale dell’affermarsi della scena death metal, spesso ignorata dalle storiografie di genere, è il particolarissimo clima politico che si respira in Florida, da quasi settant’anni considerata uno degli swing state chiave per le elezioni americane ma che spesso e volentieri nella sua storia, e in particolar modo negli anni Ottanta, si è tinta del rosso Repubblicano – nel 1984 e nel 1988, Reagan e Bush riscossero addirittura il 60% dei voti alle presidenziali. Soprattutto il corridoio della Interstate 4, che collega Tampa a Daytona Beach, è spesso visto dai commentatori della politica americana come un variopinto microcosmo sociale, con grandi centri cittadini più allineati ai Democratici circondati da vaste aree rurali più conservatrici, in cui si può respirare il bigottismo della destra americana di stampo religioso cristiano ma anche venire a contatto con realtà più liberali che non disincentivano espressioni artistiche meno reazionarie.
Central Florida is a really hyper-conservative, religious, retirement community. So, it’s a weird place to begin with, and then you have these kids with no place to go. So maybe death metal happened as a reaction to that or maybe it’s just some energetic physics thing—a spirit that’s in the air and kids tune into it if they have an artistic bone in their bodies.
Paul Masvidal
In un contesto del genere, dove oltretutto tutte le contraddizioni e l’inadeguatezza del sistema bipolare americano diventano più tangibili, emerge quindi una manifestazione eversiva della musica metal che, più di molte altre, rifiuta apertamente il tema politico – più per disillusione e sfiducia nelle istituzioni che per effettivo disinteresse. L’estremismo sonoro e l’iconografia violenta, atea quando non satanica, che molti dei primi gruppi death metal hanno adottato soprattutto nelle primissime fasi della loro attività possono essere interpretate anche in questa chiave sociologica: l’immaginario brutale adottato poteva benissimo scontentare – e, in effetti, scontentava – tanto l’ascoltatore Democratico, quanto quello Repubblicano, quanto quello indipendente. D’altronde, lo shock factor è sempre stato un particolare caratterizzante dell’estetica metal.
Ultimo ma non ultimo, l’affermarsi come istituzione dei Morrisound Studios, aperti dai fratelli Tom e Jim Morris nei pressi di Tampa nel 1981 e dedicati, dopo un primo momento interlocutorio votato alla produzione di dischi di Savatage e Crimson Glory, quasi esclusivamente alla registrazione di dischi thrash e death metal, rese la Florida una sorta di Mecca per il metal estremo, attirando l’attenzione di pubblico, critica e musicisti provenienti da tutto il mondo verso l’area di Tampa e cementando la scena come una delle più ricche e creative tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta.
Nonostante la data di pubblicazione dei loro dischi possa far pensare diversamente, gli Atheist furono tra quei pionieri che, esattamente come Death, Morbid Angel e Obituary, diedero un contributo fondamentale al movimento death metal floridiano fin dai suoi albori – e solo numerose contingenze e sfortune hanno impedito loro di raccogliere, all’epoca, il giusto riconoscimento tributato ai loro contemporanei.
Gli inizi, Oblivion e R.A.V.A.G.E.: 1984-1987
Le origini degli Atheist vanno rintracciate in quel di Sarasota, una cittadina sita a quaranta minuti di auto da Tampa, all’inizio degli anni Ottanta. È qui che Kelly Shaefer, un giovane studente di un istituto d’arte, comincia a coltivare ambizioni come musicista, e in particolare come chitarrista. Ascoltatore curioso e dai gusti variegati, Shaefer è in particolare appassionato di musica hard & heavy – genere non esattamente popolare in quel di Sarasota, negli anni Ottanta. La sua conoscenza musicale all’epoca, tuttavia, è perlopiù concentrata nell’ambito più mainstream, tanto nel versante classico (Judas Priest e Iron Maiden), quanto in quello più esoterico (Mercyful Fate, Venom e Slayer). Nel 1984 fonda gli Oblivion con un amico batterista, tale Mark, con cui impara i rudimenti del mestiere; quest’ultimo viene presto sostituito da Steve Flynn, batterista pirotecnico avente come nume tutelare Neil Peart degli amati Rush, ma provvisto anche di una solida formazione in percussioni jazz e latino-americane.
It was Rush, in fact, that influenced me to start playing drums in the first place. In fact, it was the first time I heard La Villa Strangiato from Hemispheres that I knew I just had to be able to play like that.
Steve Flynn
Nel tentativo di fornire un’immagine del gruppo più minacciosa, gli Oblivion cambiano presto nome in Ravage e quindi in R.A.V.A.G.E. quando sorge un problema di omonimia con una band hard rock dell’Illinois (l’acronimo non vuol dire nulla di per sé, seppur dopo qualche tempo venga fornito il significato di Raging Atheists Vowing A Gory End). A questo punto, al duo Shaefer/Flynn si è unito il vocalist Steve Freid, meglio noto alle cronache con il soprannome “Scrappy”. Per qualche tempo, a questo trio si aggiunge anche un talentuoso chitarrista trasferitosi brevemente da Los Angeles a Sarasota, tal Rand Burkey, che ha vita breve nei R.A.V.A.G.E. e torna in California pochi mesi dopo.
They didn’t have much style at the time and were a little bit behind in the times but something about them made me stay. Looking back in my mind, I remember what it was… It was Steve. I remember him just going insane, hair flying and just pounding the shit out of his kit.
Rand Burkey
Il suo maggiore contributo, per il momento, è quello di far conoscere al trio una mole di musicisti a loro sconosciuti provenienti tanto dal panorama metal (come Jag Panzer e Trouble), quanto da quello hardcore, ma soprattutto da quello progressive e jazz rock anni Settanta, tra King Crimson, Yes, e Frank Zappa. Il percorso degli Atheist passa anche per questi suggerimenti.
I R.A.V.A.G.E., di nuovo nella loro incarnazione in trio, suonano pochi brani originali e si dilettano perlopiù in cover di Trouble, Anthrax, Exodus e Slayer, ancora privi di un bassista vista la difficoltà a reperire una persona appassionata di metal a Sarasota. Questo finché nel 1985, durante un concerto dei R.A.V.A.G.E., Shaefer non incontra Roger Patterson, che aveva conosciuto vendendo i giornali con lui da ragazzino e di cui aveva successivamente perso le tracce. Patterson, che ora suona in un altro gruppo metal locale, gli Aggressor, è un autentico fenomeno: nonostante guardi con ammirazione alla presenza scenica di Gene Simmons dei KISS, il suo stile – aggressivo, frenetico e completamente sopra le righe – suona più come una particolarissima rielaborazione della lezione di Steve Harris e Geddy Lee interpretata in chiave thrash/death metal. Il suo funambolico fingerstyle, che si avvale di tutte e quattro le dita per plettrare le corde e del pollice per fermarne la vibrazione, è allo stesso tempo rapidissimo, chirurgico e inusualmente potente, tanto che il movimento della mano sul basso suggerisce al suo pubblico l’immagine di un ragno che si muove sulla sua tela. È, con molta probabilità, il più grande bassista metal in attività del periodo.
“Scrappy” viene licenziato poco dopo l’arrivo di Patterson, e quindi il ruolo di vocalist passa a Shaefer, che rifiuta il growl di ascendenza Possessed utilizzato dai gruppi death metal a loro contemporanei optando per uno stile più urlato e tagliente, mutuato da Mille Petrozza dei Kreator.
When it came time for me to be the singer in the band, I was never going to have that (growls) that super fucking cookie monster thing, and I didn’t really want to. I wanted it to be more aggressive and more ripping like The Accüsed and shit like that. When I heard Pleasure to Kill I was like; “Yeah, that’s me!”.
Kelly Shaefer
Contemporaneamente, i R.A.V.A.G.E. fanno alcune prove con candidati secondi chitarristi, nessuno dei quali convince completamente il gruppo – tant’è che è ancora il trio Shaefer/Patterson/Flynn a incidere autonomamente, sempre nel 1985, una prima demo intitolata Rotting in Hell. Inevitabilmente, è una registrazione circa inascoltabile: i R.A.V.A.G.E. non hanno i soldi per permettersi uno studio professionale (solo Kill or Be Killed viene registrata ai Progressive Studios di Tampa, in agosto) e quindi si limitano a piazzare microfoni in giro nel magazzino in cui fanno le prove per una qualità audio tremenda, e anche i musicisti non sono ancora al top della loro forma. Nella scrittura immatura dei cinque pezzi, perfettamente legata all’immaginario orrorifico e macabro dei gruppi thrash/death dell’epoca, si avverte una profonda influenza degli Slayer di Haunting the Chapel e di Hell Awaits (è quasi impossibile non percepire la somiglianza tra la voce demoniaca di Shaefer sulla chiusura di Kill or Be Killed e l’iconico «Su nioj» con cui Tom Araya apre la title track di Hell Awaits), e poco più. L’unico possibile motivo di interesse per recuperare questa demo – oltre al mero completismo nel caso di appassionati – è dato dalla presenza di Brain Damage, brano leggermente più evoluto del resto della scaletta e che non a caso negli anni successivi verrà smembrato e disassemblato per incorporarne i riff in pezzi più maturi. In ogni caso, Rotting in Hell è il primo, timido passo per far emergere il nome dei R.A.V.A.G.E. tra i collezionisti di cassette.
I R.A.V.A.G.E. cominciano a inviare la demo a diverse fanzine, che rimangono poco impressionate dalla qualità del lavoro. Ciononostante, uno dei redattori incaricati di recensire Rotting in Hell, Don Kaye – una delle penne storiche della critica metal – consiglia al gruppo di tentare comunque la sorte chiedendo un parere anche a Borivoj Krgin, ai tempi giornalista di base a New York specializzato nella scena metal underground (al giorno d’oggi, Krgin è invece molto più noto come il fondatore del famoso sito di musica metal Blabbermouth.net). Krgin apprezza alcuni spunti della musica dei R.A.V.A.G.E. e decide perciò di aiutarli nel loro percorso.
Nel novembre 1986, inoltre, si aggiunge stabilmente un secondo chitarrista, Mark Sczwartzberg: la front line con doppia chitarra apre nuovi orizzonti alle possibilità di scrittura e arrangiamento di Shaefer, nonostante a livello tecnico Sczwartzberg non sia proprio il meglio sulla piazza. In ogni caso, è con questa rinnovata formazione in quartetto che un mese dopo i R.A.V.A.G.E. registrano una nuova demo più professionale, intitolata On We Slay e pubblicata nel 1987. Il salto di qualità a livello di suono rispetto a Rotting in Hell è netto, così come l’esecuzione – molto più sicura e meno approssimativa. Tuttavia, i temi portanti dei testi dei R.A.V.A.G.E. sono sempre quelli di sangue, morte e devastazione che i cliché del tempo impongono, mentre le strutture sono sempre quelle tipicamente slayeriane, con un importante abuso del tappeto ritmico di doppia cassa in sedicesimi e assoli atonali non consequenziali, incoerenti con il tessuto melodico e armonico circostante. Dei tre pezzi di questa nuova demo (che comprende anche una versione restaurata e nettamente migliorata di Brain Damage) il migliore, manco a dirlo, è la (quasi-)title track On They Slay, che in futuro diverrà una sorta di signature song degli Atheist. Anche questa volta si tratta di un brano profondamente influenzato dagli Slayer, ma la scrittura serpentina e dinamica, di chiara e dichiarata ispirazione Mercyful Fate, suggerisce più di un’affinità con le composizioni dei Dark Angel a firma Gene Hoglan su Darkness Descends: è il primo segnale della maturità.
On We Slay e Raging Death Vol. 1
È con On We Slay che i R.A.V.A.G.E. cominciano effettivamente a farsi un nome nella scena floridiana. Le recensioni su riviste come Kerrang!, Total Thrash e soprattutto Violent Noize e Metal Forces, di cui Krgin era editore ai tempi, sono eccellenti. Addirittura, Krgin diventa ufficialmente il loro manager e, fresco di contratto con la Mean Machine Records (una sussidiaria della Three Cherries Records), sfrutta la sua influenza per strappare la possibilità di istituire una propria etichetta con cui occuparsi di metal. Questa nuova label, chiamata Godly Records e fondata assieme a Marty Eager, viene immediatamente lanciata nel 1988 con la compilation Raging Death Vol. 1, che raccoglie alcuni brani dei gruppi underground più interessanti nel panorama metal estremo US che al tempo stanno facendo particolarmente fatica a trovare un contratto discografico. Oltre ai R.A.V.A.G.E., che presenziano con On They Slay e Brain Damage (inserite nella loro versione originale da On We Slay), ci sono i Sadus del celebre bassista Steve Di Giorgio (che negli anni presterà il proprio talento anche agli Autopsy e quindi ai Death), i Lethal Presence di Bobby Sadzak (in futuro negli Slaughter canadesi), i dimenticati Betrayel, e gli Xecutioner, giusto poco tempo prima che adottassero il moniker Obituary; secondo lo stesso Flynn, sono proprio questi ultimi quelli che hanno offerto la prova più convincente e che hanno, in definitiva, beneficiato maggiormente in termini di popolarità da Raging Death. Se è difficile giudicare la veridicità delle parole di Flynn per quanto riguarda i vantaggi materiali riscossi dai vari gruppi grazie alla loro presenza in questa compilation, meno complicato è invece confermare la sua valutazione sulla qualità dei pezzi. Per quanto infatti Brain Damage e On They Slay si distinguano comunque all’interno della scaletta, Find the Arise e Like the Dead sembrano gli unici brani già nitidamente proiettati al futuro che aspetta gli Obituary – e di conseguenza il death metal floridiano –, con il loro mid-tempo funereo e morboso influenzato dai Celtic Frost rivolto già al suono mortifero di Slowly We Rot.
La fama dei R.A.V.A.G.E. tra la comunità metal comincia comunque a crescere dopo la pubblicazione di Raging Death, in America e anche all’estero: addirittura, Nicke Andersson dei Nihilist (futuri Entombed) ha più volte sottolineato il debito che il buzzsaw sound dei Sunlight Studios ha nei confronti del suono di chitarra dei R.A.V.A.G.E. di questa compilation. A fronte di questo picco di popolarità il problema di omonimia con il gruppo dell’Illinois comincia però a diventare più serio, soprattutto considerata la differenza di proposta delle due band («They were very Dokken sounding, and surely we did not want to be confused with that kind of music»); i R.A.V.A.G.E. abbandonano quindi il vecchio moniker e assumono l’ormai storico nome Atheist. Il gruppo, a questo punto, è di nuovo un trio: Mark Sczwartzberg è stato licenziato poco dopo la firma del contratto con la Godly Records, ancora prima che Raging Death venisse pubblicata, in quanto non all’altezza degli standard tecnici cui Shaefer, Patterson e Flynn ambiscono sempre con maggiore convinzione. Curiosamente, però, la foto sul retro della compilation reca l’immagine di un quartetto: la quarta persona è Gary Lightner, che fu una delle più volatili seconde chitarre passate per i R.A.V.A.G.E. e che fece parte del gruppo, di fatto, per una sola giornata – quella in cui venivano scattate le foto per Raging Death, appunto.
Gli Atheist sarebbero anche pronti a capitalizzare sulla popolarità recentemente acquisita con una demo incisa nel novembre del 1987, intitolata Hell Hath No Mercy; ma una scarsa qualità di registrazione convince il trio a non pubblicarla ufficialmente; come consueto nei circoli metal locali, comunque, la cassetta circolerà in formato bootleg tra i collezionisti.
L’età dell’oro: 1988-11 febbraio 1991
Gli Atheist proseguono in questa nuova dimensione in trio per poco tempo. L’assenza di una seconda chitarra impoverisce notevolmente le possibilità della band – soprattutto perché Shaefer, come ha sempre ammesso candidamente, non è un chitarrista solista particolarmente dotato e preferirebbe concentrarsi sulla componente ritmica. Per rimediare alla situazione, entra in gioco Rand Burkey. O per meglio dire, rientra in gioco: è uno dei primissimi chitarristi di cui i R.A.V.A.G.E. si erano avvalsi nelle fasi embrionali della loro attività. Nel 1988 Burkey è appena tornato a Sarasota, e gli Atheist – che ne conoscono già le doti – ne approfittano per invitarlo nel gruppo.
I basically played a few riffs on a guitar for them, talked a little about music and the tech side of things, showed them what they were doing wrong and that was it. I would have to say that was my audition.
Rand Burkey
Burkey è un chitarrista fortemente atipico per un gruppo death metal anni Ottanta, e per certi versi pare un’anomalia temporale vista la lontananza tra la sua formazione e quella del musicista death metal medio dell’epoca. I suoi ascolti fagocitano hardcore punk e thrash/speed metal di ogni provenienza e declinazione (dalle propaggini più violente e dirette di D.R.I. e Kreator, a quelle più convolute e bizzarre di Die Kreuzen e Watchtower, passando per tutto ciò che sta nel mezzo), e ciò si avverte nitidamente nella costruzione dei riff che rimanda tanto a Jeff Hanneman quanto a East Bay Ray. Al contempo, però, il suo gusto è fortemente influenzato da più o meno tutto ciò che sia stato classificato come virtuoso nella chitarra elettrica, che sia hard rock, progressive rock, jazz fusion o heavy metal poco importa. I voli pindarici di Ritchie Blackmore e di Eddie Van Halen, la shred guitar neoclassica di Jason Becker e Yngwie Malmsteen (e anche di chi aveva già introdotto quel modo di intendere la chitarra in contesti più estremi, come André Corbin degli Helstar), le visionarie armonizzazioni di Pat Metheny e soprattutto Allan Holdsworth e Al Di Meola, sono tutti riferimenti necessari per inquadrare lo stile eclettico di Burkey – anche se nel 1988, per forza di cose, egli non ha ancora messo a punto una sintesi del tutto convincente di tutta questa rete di influenze. Come se il suo background non fosse già abbastanza eccentrico, la sua tecnica è resa ulteriormente esotica dal fatto che Burkey, chitarrista mancino come Shaefer, è da sempre abituato a suonare chitarre accordate per destrorsi alla maniera di Jimi Hendrix, avendo imparato i rudimenti del mestiere suonando lo strumento del padre – appunto, un chitarrista country destrorso. Quello che a prima vista può sembrare come un curioso dettaglio marginale incide invece direttamente sull’esecuzione di Burkey (basti pensare ai bending eseguiti al contrario, o alle numerose diteggiature controintuitive delle parti di chitarra degli Atheist), che sviluppa così un senso melodico obliquo tanto nelle fasi ritmiche quanto, soprattutto, in quelle soliste.
Un secondo chitarrista tanto particolare e dotato è il tassello che mancava per permettere agli Atheist di fare il definitivo salto di qualità – se non in termini di successo, quantomeno in termini di carattere della musica espressa. Un piccolo assaggio delle nuove potenzialità offerte da una mente tanto creativa si ha già in No Truth, il primo pezzo scritto e registrato con il contributo di Burkey dall’incarnazione classica degli Atheist, e il primo in cui si avverte nitidamente il tentativo di superare le forme tradizionali del thrash e death metal giocando con i cambi di dinamiche, umori e tempi che il gruppo impara tanto da giganti del progressive rock come i Rush, quanto dalle epiche dei Mercyful Fate.
Mercyful Fate was a huge influence on me as far as song arrangements. I really wanted everything to be like Satan’s Fall. There were all these different parts. It starts here and ends way over here, you know, in this weird journey.
Kelly Shaefer
L’apertura è concepita interamente da Burkey: un arpeggio acustico contrappuntato da minacciosi interventi di chitarra elettrica e da una pastosa linea di basso di Patterson, già rivolta alle ritmiche di Doug Keyser dei Watchtower (a questo punto dell’evoluzione della band, ormai diventato definitivamente il suo bassista di riferimento). Il resto del brano prosegue invece in termini più propriamente death metal, anche se le strutture tipiche del genere, con tradizionali alternanze di strofe, chorus e bridge, sono già scardinate. Gli Atheist ribadiscono il riff principale a 1:54, in tal modo dando l’illusione dell’avvio di una seconda strofa, ma già pochi secondi dopo (2:01) un improvviso cambio di tonalità apre a uno spiazzante mid-tempo più dilatato che rovescia completamente l’atmosfera del pezzo. Questa parentesi più cadenzata viene portata avanti per circa un minuto, prima che una tarantolata figura di basso intorno a 3:10 la spazzi via bruscamente, inaugurando la lunga sfuriata strumentale conclusiva in cui le due chitarre si rincorrono scambiandosi vicendevolmente i compiti ritmici e solisti. Nel bruciante scream digrignato a denti stretti di Shaefer, così come nelle sinistre melodie all’unisono delle chitarre, si avverte già il modo di intendere il death metal che avrà la scuola svedese (e in effetti, si potrebbe trovare più di un punto di contatto tra No Truth e la sezione che parte intorno a 1:00 in Souls of the Evil Departed degli At the Gates, da Gardens of Grief del 1991). A tutto questo si aggiunge il testo, che esprime un netto rifiuto (completamente laico e non contaminato da provocazioni blasfeme o sataniste) del cristianesimo cattolico: non sarà di certo ai livelli dell’esistenzialismo dei Death di Pull the Plug (dello stesso anno), ma se si pensa a quali sono le tematiche più comuni nel death metal nel 1988 appare comunque già estremamente maturo. Se si tiene poi in considerazione l’aspetto musicale, No Truth è nientemeno che un glitch nel Matrix.
Nei primi giorni dell’aprile 1988, poco prima che i Death vi incidano la pietra miliare Leprosy, gli Atheist entrano quindi per la prima volta nei Morrisound Studios per registrare la loro prima demo con il nuovo moniker, intitolata Beyond. Per la prima volta il suono degli Atheist si avvale di una produzione professionale (anche se, ovviamente, la qualità di registrazione è ancora squisitamente lo-fi) e ciò permette di mettere in luce tutte le drastiche novità tecniche e stilistiche del quartetto, valorizzando le armonie delle due chitarre e soprattutto il tono metallico ed elastico del basso di Patterson, che incastrandosi magistralmente con i fill percussivi di Flynn fornisce il carattere più peculiare alla musica del quartetto.
No Truth viene inserita in questa demo, insieme alle ennesime versioni rimaneggiate di Brain Damage e di On They Slay – che, se confrontate con le loro versioni su On We Slay, suonano comunque come pezzi completamente differenti: i tempi sono accelerati, gli arrangiamenti strumentali più sofisticati, e soprattutto l’esecuzione è molto più sicura. La dimostrazione più evidente è probabilmente offerta dal carattere inedito degli assoli di Shaefer e Burkey, il cui shredding dallo spiccato gusto melodico rimpiazza definitivamente le esplosioni atonali con abuso di barra del vibrato di derivazione Slayer che ancora comparivano nella demo precedente. Vi sono inoltre due composizioni inedite. La prima, Choose Your Death, è una sfuriata di tre minuti lanciata a 200 bpm che, rispetto a No Truth, ha molto più a che vedere con una versione metallizzata dei primi Die Kreuzen, e anche a livello tematico è nettamente più primitiva, rivolgendosi nuovamente al gore dei primi R.A.V.A.G.E.: sembra più che altro una dimostrazione delle neo-acquisite capacità tecniche del gruppo, viste la lunga sezione solistica e l’altissima velocità di esecuzione. La seconda, ben più interessante, è la title track, in realtà già pensata per la precedente demo Hell Hath No Mercy. Qui Shaefer ritorna sui temi dell’ateismo abbozzati in No Truth – ma, al contrario di quanto fatto in quest’ultima, questa volta gli Atheist non riescono a celare la derisione per l’atto della fede religiosa e per l’anelazione della vita oltre la morte (mutatis mutandis, il tema è affrontato in maniera non dissimile da quanto fatto dagli Slayer in Jesus Saves e Postmortem). Musicalmente, Beyond appare come una via di mezzo fra No Truth e Choose Your Death: della seconda recupera l’impianto brutale e il tempo velocissimo, ma con la prima condivide le strutture serpentine e le bizzarrie armoniche e melodiche. Il meglio viene offerto dalla lunga sezione solistica, che esprime al meglio tanto il particolare senso melodico di Rand Burkey quanto l’innovativo contrappunto tra i suoi assoli e la ritmica di Shaefer (cfr. 2:47).
Beyond viene pubblicata il 10 aprile 1988 su cassetta, ed è un immediato successo tra le fanzine e la critica (due anni più tardi, nel 1990, un sondaggio di Metal Forces la decreterà come «best demo», e gli Atheist verranno eletti «best new band»), e soprattutto tra il pubblico e i collezionisti di cassette. Così, gli Atheist cominciano anche a suonare con gruppi già affermati come Testament, Death Angel, Nasty Savage, e i Death stessi. La loro popolarità diventa forse troppo ingombrante, tant’è che il clamore intorno alla formazione porta con sé anche qualche tiro mancino da parte di Schuldiner in persona, che li accusa pubblicamente di essere un gruppo nazista per via di una toppa sulla giacca di Patterson. Addirittura, dopo un concerto insieme, telefona a Krgin (che era in contatto sia con i Death che con gli Atheist) per denigrarne la performance e cercare di rovinarne l’immagine.
Keep in mind that no one had the careers they have today, so things were very competitive, press, gigs etc. […] so we figured that he must just want Bori to not like us, cause at the time Bori was really into our shit, and he and Chuck had been roommates early on, and I think that at the time Chuck wanted him to like Death only.
Kelly Shaefer
Nel novembre del 1988, forti della loro nuova posizione in un panorama floridiano ormai sempre più in fermento, gli Atheist sono pronti per tornare ai Morrisound Studios per registrare ciò che dovrebbe essere il loro primo full-length e che dovrebbe essere pubblicato, secondo i piani, all’inizio del 1989. Come produttore viene scelto Scott Burns, che aveva già curato il suono degli Atheist nei loro live dopo averli impressionati per la cura e la definizione del registro più grave delle demo degli Obituary pre-Slowly We Rot, e che è destinato a diventare una delle figure più importanti del death metal floridiano. In realtà, però, il budget è molto limitato e gli Atheist hanno soltanto circa una settimana di tempo per registrare il tutto: il grosso delle prove e della scrittura dei brani (e delle discussioni per arrangiarli e realizzarli, soprattutto) viene portato avanti in sala prove, sotto lo sguardo interessato di amici, conoscenti e anche altri musicisti di rilievo – tra questi, a un certo punto, figurano anche i Napalm Death. Pertanto, a dicembre, Piece of Time è già concluso e pronto per essere distribuito.
Piece of Time è, semplicemente, uno dei dischi più importanti del death metal floridiano, e il primo consapevole vagito del versante più tecnico e sofisticato del genere. Eppure, è un album contradditorio, irrimediabilmente conteso tra ciò che gli Atheist sono diventati nell’ultimo anno e ciò che gli Atheist invece sono destinati a divenire nel futuro prossimo: dei nove pezzi della scaletta, sei appartengono al repertorio degli Atheist già da diverso tempo, e sono spesso stati già incisi (in qualche versione meno elaborata) per qualche demo. Why Bother? è infatti un mero rimaneggiamento di Hell Hath No Mercy, con l’aggiunta del contributo della seconda chitarra e con il testo drasticamente modificato che ora esprime disillusione e diffidenza verso l’inadeguatezza della classe politica statunitense; musicalmente, però, si avverte che il brano attinge da un universo estetico che gli Atheist hanno già ampiamente superato. Delle tracce di Beyond, invece, viene esclusa soltanto Brain Damage, ritenuta sia dalla band che da Krgin eccessivamente immatura nel testo quanto nell’arrangiamento – e gli altri quattro pezzi, riregistrati appositamente per l’album, sono sostanzialmente invariati rispetto alle versioni originali presenti sulla demo. Se si escludono un’ulteriore accelerazione dei tempi di esecuzione, dovuta a un sensibile miglioramento tecnico del quartetto, il missaggio molto più professionale che esalta l’aggressività dei brani senza perdere in definizione del suono degli strumenti (e in particolare di basso e batteria), e il cambio di titolo di Choose Your Death (che sul disco diviene Life), c’è infatti un’unica differenza davvero tangibile: nell’apertura di No Truth i contributi della chitarra elettrica e del basso vengono sostituiti dalle tastiere, che conferiscono al pezzo un’atmosfera sacrilegamente sacrale. Anche Unholy War, per quanto mai edita su qualche demo, proviene in realtà dai primissimi anni di attività della band: nonostante l’intricato call & response tra chitarre e basso nel riff portante, il tempo supersonico e l’impressionante performance di Burkey e Flynn, non è in effetti difficile riconoscerla come una versione ultra-tecnica di quella tipologia di brani diretti e senza fronzoli esemplificata da On They Slay e Life. Al contrario di Brain Damage, però, un intenso lavoro di restyling le permette di essere riadattata per l’album.
Questi sei pezzi introducono già un modo piuttosto moderno di intendere il lessico del death metal, specie se paragonato a ciò che la Florida offriva nel 1988; ma, a parte l’ovvia eccezione di No Truth, si limitano perlopiù a ricamare ritmiche più convolute, tempi di esecuzione più rapidi, parti melodiche e soliste più esigenti tecnicamente su brani ancora evidentemente tradizionali dal punto di vista strutturale. Anche se in controtendenza rispetto agli ultimi trend progressivi del thrash metal, che sotto l’influenza dei Metallica di Master of Puppets e …And Justice for All avevano esasperato i minutaggi (vedasi i lavori dell’epoca di Heathen, Deathrow e Dark Angel), è tutto sommato una prospettiva ancora piuttosto acerba – e, non a caso, anche la più semplice da perseguire. I primissimi emuli degli Atheist, come Hellwitch, Ripping Corpse, Jumpin’ Jesus e Obliveon, faranno esattamente questo: suonare la stessa musica aggressiva dei gruppi thrash/death contemporanei più brutali, ma rendendola ancora più veloce, ancora più intricata, ancora più spinta alle sue estreme conseguenze.
Le rimanenti tre composizioni di Piece of Time, non a caso le ultime a essere concepite dal quartetto, applicano invece una sostanziale innovazione anche dal punto di vista sintattico – come e ancor di più di quanto già non facesse No Truth: qui gli Atheist rinunciano del tutto a una scrittura strofica, elaborando veri e propri durchkomponiert dallo sviluppo consequenziale e non ripetitivo. Anche le sezioni che l’orecchio percepisce come “versi” e “ritornelli” vengono in realtà ripetute in contesti inaspettati (vedasi il riff di basso e chitarra che apre la title track, che viene nuovamente enunciato dalla sezione ritmica soltanto nel mezzo della fase solista, quando Burkey e Shaefer si scambiano i compiti di lead guitarist); più spesso, sono soggette a variazioni più o meno evidenti – specialmente ritmiche, come da insegnamento Geddy Lee/Neil Peart (si senta come il tappeto di doppia cassa modifica sostanzialmente il carattere del riff di Room With a View, quando questo viene ribadito dalle chitarre intorno a 1:47). Quasi sempre vengono direttamente accantonate per lasciare il posto ad altre idee tematiche, senza essere più riprese.
Anche gli arrangiamenti applicano una rivoluzione copernicana alla solita disposizione strumentale death metal, e per questo si deve probabilmente ringraziare il procedimento molto inusuale che gli Atheist adottano nella fase di scrittura dei brani – che, Shaefer non ha mai mancato di sottolineare, è sempre stata fortemente influenzata dall’ingente consumo di marijuana in studio. Per quanto infatti le composizioni siano opera di tutti e quattro, l’idea primigenia scaturisce sempre dalla base ritmica. Il più delle volte, come nel caso dell’iconica figura di basso di Piece of Time, è Patterson a inventarsi un riff ed è Flynn a seguirlo contrappuntandone le note con la doppia cassa in staccato, seguendo l’esempio di Gene Hoglan su Black Prophecies dei Dark Angel. Talvolta la situazione è perfettamente speculare, come esemplificato dal pattern di doppia cassa in 3/4 che apre la magnifica I Deny, pensato da Flynn e mimato successivamente da Patterson sul proprio basso. Le parti di chitarra vengono concepite successivamente, e quando Shaefer e Burkey si scontrano con l’irriproducibilità dei riff di Patterson sul loro strumento optano per bizzarri incastri che volteggiano agili sopra la sezione ritmica, talvolta abdicando ogni ruolo predominante nella definizione tematica del pezzo. Di nuovo, questo modus operandi è esemplificato specialmente da I Deny (nel riff iniziale, e di nuovo intorno a 2:15, quando l’assolo di chitarra si spegne lasciando spazio a una tetra figura di basso), ma di fatto questa prospettiva alle armonizzazioni delle chitarre si manifesta anche negli instabili accordi sospesi nel vuoto che aprono la title track. Altre volte i ruoli degli strumenti sono più sfumati, e la musica vive in una dimensione in cui diviene piuttosto complicato distinguere tra compiti ritmici e compiti melodici: in questo senso, è esemplare di nuovo Room With a View, quando intorno a 1:58 Burkey imita Al Di Meola sullo stacco in contrattempo di basso e batteria, o ancora Piece of Time, nel cui verso portante Flynn e Patterson perseguono una linea ritmica in contrasto con quella di Shaefer e Burkey prima di ricongiungersi con loro nella seconda iterazione.
Un’ultima nota, infine, va dedicata ai testi, che rappresentano un altro aspetto in cui gli Atheist di questi ultimi pezzi si rivelano a dir poco pionieristici rispetto alla media dei gruppi death metal a loro contemporanei. I Deny è un nuovo attacco alla classe politica e clericale americana sulla scia di Why Bother? e No Truth, viste non solo come corrotte e ipocrite ma anche come incapaci di far fronte alle esigenze della fetta di elettorato più giovane ed emarginata (ironicamente, però, il titolo omaggia il ben più esplicito «I deny Jesus Christ» che King Diamond canta su The Oath). Tuttavia, i concept di Piece of Time e Room With a View (alle prese con anime affamate di conoscenza al termine del loro percorso terreno, reincarnazioni e viaggi astrali) risultano molto più curiosi. È qui che i testi degli Atheist cominciano a sondare la peculiare spiritualità di Shaefer – che, nonostante il suo ateismo anticlericale militante, non aborrisce e anzi abbraccia convintamente l’elemento trascendente. È anche da questa visione mistica della realtà che passa l’evoluzione dell’immaginario lirico del death metal progressivo, primo fra tutti quello attuato dai Cynic di Focus: è proprio Shaefer a prestare a Paul Masvidal il libro Emmanuel’s Book: A Manual for Living Comfortably in the Cosmos di Pat Rodegast, che secondo il frontman degli Atheist ha giocato un ruolo fondamentale nella definizione della prospettiva spirituale di entrambi.
La pubblicazione di un album come Piece of Time a inizio 1989 avrebbe l’impatto di un terremoto sulla scena death metal floridiana, in un panorama in cui Leprosy ha visto la luce nemmeno sei mesi prima, Altars of Madness è stato appena terminato e si appresta a essere licenziato nel maggio successivo, e Slowly We Rot ancora non ha completato la fase di gestazione; eppure, gli Atheist non smuovono mari e monti come ci si aspetterebbe. E il motivo è presto detto: semplicemente, Piece of Time in America non viene pubblicato nel 1989.
Nel primo di innumerevoli colpi di sfortuna che affliggeranno la carriera degli Atheist, il gruppo si trova senza un’etichetta, in quanto la Mean Machine che doveva distribuire l’album rimane a corto di soldi (e se la maggior parte delle fonti parla di bancarotta, Shaefer parla invece di fondi tagliati dai finanziatori dell’etichetta, non convinti da una label specializzata in death metal). Dopo mesi in cui gli Atheist attendono inutilmente qualcuno interessato a comprare il contratto dalla Mean Machine, si fanno avanti la Roadrunner e la Active. Verso la fine degli anni Ottanta la Roadrunner, etichetta già affermata che ha prodotto importanti realtà del metal classico, dai Mercyful Fate e King Diamond ai Crimson Glory, si sta affacciando con coraggio sul panorama estremo, e si è infatti accaparrata i contratti di Sepultura e Obituary, di cui pubblicherà rispettivamente Beneath the Remains e Slowly We Rot nel 1989. Negli anni Novanta, produrrà lavori di Type O Negative, Suffocation, Fear Factory, Machine Head e Slipknot che avranno un’importanza capitale anche a livello mainstream, marchiando a fuoco l’estetica dura del decennio. D’altro canto, la Active, sussidiaria della londinese Music for Nations, conta nel proprio staff critici musicali (al tempo) rispettati e ammirati da Shaefer, come Bernard Doe e Dave Constable di Metal Forces: gli Atheist puntano quindi su quest’ultima, scommettendo sul fatto che la loro familiarità con la scena avrebbe portato maggiori benefici.
La scelta, manco a dirlo, si rivela un errore colossale: la Active pubblica Piece of Time il 30 agosto 1989 soltanto in Europa, e non fa nulla per accelerare i tempi per cominciare a distribuirlo in America – in cui, fino all’arrivo della Metal Blade che otterrà i diritti per vendere il disco negli US oltre un anno dopo, nel novembre 1990, sarà disponibile solo importandolo direttamente dal mercato europeo. Di conseguenza, nonostante le recensioni entusiaste di riviste come Kerrang! e Metal Forces, che non mancano di sottolineare adeguatamente le vicissitudini contrattuali degli Atheist per ristabilire il loro posto di pionieri della scena floridiana, in America Piece of Time appare a taluni come l’esordio, per quanto esotico, di un’altra delle tante band che si sono date al death metal sull’onda di Death, Morbid Angel e Obituary. Come se non bastasse, gli Atheist vengono privati di ogni informazione riguardo ai dati di vendita nel mercato europeo: dopo i primi roboanti proclami riguardo una ragguardevole cifra di 15.000 copie vendute solo nella prima settimana, la Active sparisce, e Shaefer scoprirà solo tempo dopo che i diritti sono stati intanto ceduti a un’altra etichetta che gestisce tutti i profitti generati da Piece of Time in Europa. Di questi soldi gli Atheist per il momento non vedono nulla.
Curiosamente, nonostante pubblico e critica siano ancora piuttosto reticenti ad accogliere le novità del sound degli Atheist, i musicisti direttamente coinvolti nella scena death metal americana recepiscono rapidamente l’originalità della loro proposta, anche quando a prima vista sembrano cimentarsi in una declinazione del death metal completamente agli antipodi: perfino Alex Webster dei Cannibal Corpse non manca di sottolineare l’influenza che lo stile di Patterson su Piece of Time ha esercitato sul suo modo di suonare il basso. Tra i più importanti sostenitori della missione degli Atheist vi è però quello che ai tempi è un misconosciuto quartetto di Miami con un paio di demo all’attivo. La loro proposta al momento è ancora dozzinale e radicata nel thrash di scuola Slayer e D.R.I., ma la formazione musicale dei membri è esotica quanto se non più di quella degli Atheist, influenzata com’è dallo studio del contrappunto bachiano, dai cromatismi del bebop, e dalla musica folk americana e cubana; spiritualmente, invece, vi è una profonda ingerenza della filosofia buddhista. Sono i Cynic di Paul Masvidal e Sean Reinert.
Intorno al 1989, vista la comunanza di intenti e le affinità estetiche ed intellettuali tra i due gruppi, Atheist e Cynic stringono una forte amicizia che ha fin da subito importanti ripercussioni sulle loro vicende artistiche, e non solo musicalmente parlando. È infatti proprio Shaefer a mettere in contatto i Cynic con Borivoj Krgin e Scott Burns, che nel gennaio del 1990 produrrà la loro terza demo ai Morrisound Studios (la prima che mostrerà qualche traccia della vocazione più contemplativa ed elaborata che ora è vista come un tratto distintivo della musica dei Cynic), ed è sempre Shaefer a dar loro una mano per riuscire a ottenere un contratto discografico con la Roadrunner l’anno successivo. Di conseguenza, tale sodalizio arricchisce inestimabilmente l’intera scena death metal floridiana: basti pensare che Chuck Schuldiner, anch’egli grande amico di Masvidal, lo corteggerà per anni affinché entri nei suoi Death fino a centrare l’obiettivo nel 1991 per l’incisione di Human, proprio perché impressionato dal materiale delle demo dei Cynic. Nonostante le cronache attuali invertano la relazione di causa ed effetto per via dell’immensa popolarità dei secondi rispetto ai primi, sono stati gli Atheist e i Cynic a influenzare la svolta più tecnica dei Death post-Spiritual Healing, e non il contrario.
Mentre Piece of Time sta ancora subendo ritardi importanti nella distribuzione, gli Atheist continuano a suonare concerti in giro (durante i quali Shaefer promette disperatamente che l’attesa pubblicazione del loro debutto è imminente) e calcano il palcoscenico con un po’ di nomi caldi della scena metal dell’epoca: dai Forbidden ai Death Angel, dagli Obituary ai Morbid Angel, passando anche per i Napalm Death che in quello stesso periodo stanno registrando Harmony of Corruption proprio ai Morrisound Studios. Nel frattempo, il quartetto ha già cominciato a dedicarsi alla scrittura di nuova musica, fin dalla conclusione delle sessioni di registrazione dell’esordio; i rapporti interni questa volta sono però un po’ più tesi, con Shaefer e Burkey spesso e volentieri in collisione tra loro e riconciliati da Flynn.
We would argue quite a bit in the songwriting process. It was mostly Rand and I. Steve was the ambassador trying to keep us from killing each other. […] I believe that tension is what caused us to write this kind of music.
Kelly Shaefer
Nell’agosto del 1990 – tre mesi prima che la Metal Blade ottenga l’accordo con la Active per distribuire Piece of Time in America – la quantità di musica partorita dal gruppo è già tale da meritare di essere immortalata su una demo senza titolo, in una sessione di registrazione di un paio di settimane avvenuta nuovamente ai Morrisound sotto la supervisione di Scott Burns. L’obiettivo non è commerciale – l’incisione serve al solo scopo di scattare un’istantanea di ciò che gli Atheist hanno partorito dopo Piece of Time, come testimonianza per l’etichetta e per loro stessi. È perciò evidente la condizione ancora irrisolta del materiale (due delle sei tracce incise per questa demo, Your Life’s Retribution e Brains, non hanno nemmeno un testo, mentre molti arrangiamenti sono ancora in divenire), e la qualità della registrazione è per forza di cose non all’altezza di quella dell’album di debutto. In particolare, il suono delle chitare è sottile e debole, cosa che Shaefer non mancherà di criticare.
La qualità intrinseca delle sei composizioni della demo è, invece, assolutamente sensazionale. La prospettiva da cui gli Atheist osservano la scrittura death metal non ha subìto un cambio radicale rispetto a quanto già mostrato su brani come Room With a View, Piece of Time e I Deny; piuttosto, vengono perfezionate sotto ogni aspetto le strategie compositive che li avevano portati alla luce, nel frattempo rendendo più fluide le transizioni tra i vari sintagmi dei pezzi in modo da conferire loro una maggiore coerenza interna. In effetti, le armonizzazioni esotiche tra le due chitarre, il ruolo di primo piano del basso, il drumming straripante e torrenziale, la scrittura frenetica e contorta, le sezioni che si alternano e si rincorrono in barba a ogni principio di forma canzone, erano già tutte apprezzabili sulle ultime composizioni scritte per Piece of Time: questa volta, però, tutto è fatto di più, e tutto è fatto meglio. Se su I Deny era impressionante osservare basso e batteria che si appropriavano del ruolo melodico della chitarra, su Your Life’s Retribution lascia senza parole come sia Flynn a duettare con la chitarra di Burkey, quando quest’ultimo a 1:49 si lancia in un vulcanico assolo in tapping, mentre Shaefer rimane in secondo piano limitandosi a rimarcare la progressione di accordi. Se lo sviluppo di Piece of Time era poco prevedibile, quello di Brains, con le sue ritmiche angolari e i suoi cerebrali intrecci tra le frasi delle chitarre, appare completamente indecifrabile – come vedere il riflesso di un brano death metal attraverso le decine di frammenti di uno specchio infranto.
Unquestionable Presence è un esempio paradigmatico della maturazione stilistica cui è approdato il quartetto. La struttura di base ricalca quella della title track di Piece of Time: Burkey che in apertura gigioneggia con i volumi dell’amplificatore, il riff di Patterson che definisce il materiale tematico principale, Flynn che si ritaglia un ruolo melodico imitando sulla batteria l’andamento delle linee di basso, il chorus che, dopo la sua prima apparizione, si risente soltanto dopo un buon minuto e mezzo di montagne russe. Ma la naturalezza con cui le diverse sezioni confluiscono l’una nell’altra, il voicing ardito (con vertice nel ritornello, quando Burkey e Shaefer fanno emergere dei bicordi vagamente dissonanti suonando simultaneamente ciascuno una nota di due progressioni che procedono in moto contrario), il rapporto dialogico che la base ritmica instaura con le chitarre, sono tutte caratteristiche che gli Atheist non avevano mai padroneggiato con una tale competenza e intelligenza.
Praticamente ogni pezzo di questa demo, a posteriori, può essere visto come un breve saggio intorno al suono del death metal che verrà. Su Enthralled in Essence per esempio i protagonisti assoluti sono Burkey e Shaefer – e ciò è dovuto, più che alla lunga sezione solistica che caratterizza la seconda metà, alla particolare ispirazione del loro contrappunto, che di fatto inventa il peculiare stile di chitarra che sarà poi degli At the Gates di Alf Svensson. Shaefer enuncia i propri riff scandendo in tremolo picking ogni sedicesimo, mentre Burkey vi si erge sopra ora trasponendo la parte del compagno qualche tono sopra, ora invertendola, talvolta semplicemente ignorandola per suonare una parte indipendente che, sovrapposta alla ritmica, sembra generare quasi accidentalmente la melodia (è ciò che accade poco prima dell’assolo, a 1:43). In tutto questo la prestazione di Flynn e Patterson è, come al solito, magnifica, a partire dall’evoluzione pirotecnica del basso in apertura che fa da controcanto al lead all’unisono delle chitarre – praticamente una linea di Les Claypool trapiantata in un contesto death metal. Probabilmente il momento più glorioso della loro sinergia si ha però durante lo stacco jazzato di basso e batteria che parte a 1:29, in cui Flynn risponde al riff di Patterson suonando gli accenti forti sul rullante e sui piatti, e le note deboli con il pedale; quando le chitarre entrano in scena a ribadire la linea di basso, però, Flynn comincia a marcare tutte le note del riff sul rullante, dando l’impressione di un’improvvisa accelerazione e scombussolando la percezione del passo ritmico del brano. Questi piccoli escamotage tecnici confondono ulteriormente l’ascoltatore, dando l’impressione di una scrittura ancora più arzigogolata di quanto già non sia effettivamente.
An Incarnation’s Dream, d’altro canto, è il prototipo di ciò che ora ci si aspetta da un brano di death metal tecnico con influenze fusion, ed è probabilmente uno dei pezzi più elaborati della scaletta – ironicamente, è anche quello che attinge maggiormente da idee melodiche recuperate dalla carcassa di Brain Damage. Questa volta gli Atheist, più che su indicazioni di tempo inusuali (per quanto fratturato da sincopi e accelerazioni e decelerazioni vertiginose, il tempo è perlopiù un “normale” 4/4, spezzato solo occasionalmente da battute in 5/8 e 9/8), giocano con la materia metal contaminandola con elementi alieni alla musica estrema, possano essere queste il battito di Flynn – che omaggia simultaneamente la sua formazione come batterista di musica latina e la sua venerazione per Neil Peart intrecciando pulsioni bossa nova con sotterranee citazioni di YYZ – o gli assoli di Burkey solo leggermente distorti, che in tal modo evidenziano ulteriormente l’influenza di John McLaughlin. Il risultato finale non è troppo distante da un’ucronia in cui la Mahavishnu Orchestra o i Return to Forever sono stati un gruppo death metal.
Come se già non bastasse il fenomenale lavoro compiuto sulla musica, in anticipo di almeno un lustro su quella di tutti i gruppi death metal coevi, gli Atheist cambiano le regole del gioco anche dal punto di vista dei testi, scritti da Shaefer con un contributo di Burkey per la scelta dei concept. Non sono solo i temi a essere particolari per lo standard della musica estrema (la vita aliena nello spazio, il degrado morale prima che materiale dell’essere umano, il rapporto conflittuale tra vecchie e nuove generazioni), ma lo stesso approccio lirico. I versi di Shaefer indulgono in allusioni metaforiche e vivide descrizioni evocative adoperando un linguaggio a suo modo ricercato, evitando ogni crudità del tipico immaginario metal e facendo emergere piuttosto la propria prospettiva spirituale votata alla ricerca di conoscenza e al miglioramento di sé. Di nuovo, è emblematica Enthralled in Essence, che se interpretata letteralmente riguarda lo struggimento dell’io narrante, imprigionato in un corpo deforme e che anela il suicidio; ma la formulazione del testo suggerisce anche che il presunto corpo deforme sia in realtà un involucro di carne qualsiasi, all’interno del quale è reclusa l’immensità dell’anima e della mente umana. Doppie chiavi di lettura di questo tipo si possono utilizzare un po’ per tutti i brani: a tal proposito si veda anche la narrazione dell’atterraggio della navicella sulla terra in Unquestionable Presence, oppure lo scorcio di umanità presentato in apertura ad An Incarnation’s Dream (che si è meritato anche l’apprezzamento di uno dei parolieri più acuti del metal, ovvero Gene Hoglan).
Per dare un’idea dello stato dell’arte del death metal nell’agosto 1990, si pensi che i Death avevano dato alle stampe Spiritual Healing, dove per la prima volta Schuldiner si avvicinava a temi sociali più impegnati ed esistenzialisti (ma ancora venati di una scorrettezza politica un po’ edgy, cfr. Altering the Future), solo sei mesi prima. I Morbid Angel, che ancora non sono entrati in studio per registrare Blessed Are the Sick, sono ancora dediti a orrori lovecraftiani e blasfemie varie e assortite. Gli Obituary, che nello stesso periodo nei Morrisound Studios stanno incidendo Cause of Death, non hanno nemmeno dei veri e propri concept, e John Tardy si destreggia equamente tra elementari associazioni di parole e growl privi di significato: nei press kit dell’epoca la Roadrunner arriva perfino a dire che l’assenza dei testi nei libretti dei loro album sia da imputare a un’inesistenza degli stessi. Anche in questo ambito, quindi, gli Atheist giocano un campionato a parte.
Dopo la registrazione di questa demo sensazionale, gli Atheist riprendono assiduamente la loro attività live. Nel dicembre successivo si esibiscono per la prima volta in Europa, e precisamente in Norvegia e in Svezia, suonando come band di supporto per tre date dei Candlemass – anche loro, come gli Atheist, all’epoca sotto contratto con la Active. Nonostante la profonda insoddisfazione del gruppo per la sporcizia degli alloggi e per l’alto costo della vita scandinava, l’accoglienza europea è caldissima. Secondo la testimonianza di Shaefer stesso, tra il pubblico in queste tre serate figurano anche molti musicisti che faranno parte dei grandi gruppi della scena europea come Dismember e At the Gates: considerate anche le numerose dichiarazioni di stima pronunciate da personaggi come Tomas Lindberg (che ai tempi di The Red in the Sky Is Ours inseriva gli Atheist tra i propri gruppi preferiti) e Jon Nödtveidt (che nel 1990 compilava questa playlist sulla sua Mega Mag), è lecito supporre che questi concerti in Svezia e Norvegia abbiano avuto un ruolo importante per lo sviluppo dell’estetica death metal svedese. A ulteriore prova di questo fatto, basti pensare che Alex Hellid, chitarrista degli Entombed con cui gli Atheist hanno condiviso il palco a Fagersta (Svezia) in una di quelle tre date, non ha mai nascosto che la scrittura di Clandestine, sensibilmente più elaborata di quella dell’esordio Left Hand Path, sia stata profondamente influenzata dall’aver ascoltato la musica degli Atheist in quel periodo.
Nemmeno due settimane dopo, nel gennaio 1991, gli Atheist sono di nuovo in tour, di nuovo di supporto ai Candlemass, ma questa volta negli Stati Uniti per un set di ventotto date “in casa”. Per gli Atheist è l’occasione di pubblicizzare in sede live, oltre al materiale appena inciso sulla demo, anche quello registrato per Piece of Time, visto che in America la Metal Blade ha cominciato a distribuirlo da poco più di un mese. Tuttavia, la scelta del gruppo headliner non si rivela particolarmente azzeccata: in effetti, il quartetto vorrebbe suonare con i Sepultura, vista l’evidente maggiore affinità estetica e stilistica, ma questo progetto non va in porto. Il risultato è che il pubblico che viene attratto ai concerti per via dei Candlemass non è quello più adatto per gli Atheist, che quindi da questo tour non riscuotono particolari guadagni né dal punto di vista della popolarità, né dal punto di vista delle vendite; in ogni caso, l’esperienza è formativa e il gruppo ha modo di conoscere (e farsi conoscere da) molti altri musicisti, cementando perlomeno il loro nome tra gli addetti ai lavori.
Il tour finisce in California, al Waters Club di San Pedro, il 9 febbraio 1991. Nemmeno due giorni dopo, l’11 febbraio, gli Atheist sono già sul loro furgone diretti verso la Florida, per riposarsi in vista della registrazione del loro secondo album.
As we travelled we had a lot of time to chat and eerily enough talked about what we would do without any one of us in the band (if one of us quit, or were hurt and could not play any longer, etc.)...
Kelly Shaefer
12 febbraio 1991
Il 12 febbraio 1991 gli Atheist sono nella fase finale del loro viaggio di ritorno verso Sarasota. Sono circa le 10 di una gelida mattina invernale, e dopo ventinove ore sulla strada l’autista è esausto; per questo, un roadie – tal Carl Hamilton – si offre per sostituirlo. Tutti e quattro i membri del gruppo stanno dormendo.
Nei pressi di New Orleans, Hamilton perde il controllo del furgone dopo aver superato un camion ed esce fuori strada. Il veicolo rotola su se stesso diverse volte: Shaefer, Burkey e Flynn fanno a malapena in tempo a svegliarsi sentendo il rumore degli pneumatici che inchiodano sull’asfalto e riescono ad aggrapparsi ai sedili per minimizzare i danni. Patterson, tuttavia, non è altrettanto fortunato, e viene sbalzato fuori dal finestrino.
Shaefer è il primo a raggiungerlo. Patterson è ferito gravemente, tanto da non riuscire ad alzarsi da solo, e in più sta precipitando rapidamente in stato di shock termico a causa dello sbalzo di temperatura dopo essere stato scagliato fuori dal furgone. I suoi tre compagni tentano in ogni modo di accudirlo e di tenerlo al caldo, coprendolo con la sua giacca, in attesa della prima ambulanza che arriva quarantotto minuti dopo l’incidente. Ai soccorritori le condizioni di Patterson appaiono immediatamente come le più disperate, ed è perciò il primo a essere portato in ospedale; gli altri vengono raccolti da una seconda ambulanza che arriva circa tre minuti dopo. Una volta giunti a destinazione, però, Shaefer, Burkey e Flynn scoprono con orrore che Patterson non ha fatto nemmeno in tempo a raggiungere l’ospedale: è morto durante il tragitto.
I tre membri superstiti sono completamente scossi dall’evento, che li ha privati in un solo colpo di uno dei loro migliori amici, di un bassista semplicemente insostituibile, e della convinzione che la band possa continuare a esistere. Al loro ritorno in Florida, diversi fan esprimono il loro cordoglio arrivando anche ad assistere ai funerali di Patterson vestendo maglie degli Atheist. Viene seppellito con indosso una maglietta di Piece of Time, insieme alla sua caratteristica giacca di pelle, birra, sigarette ed erba, una sua foto insieme a Doug Keyser e, ovviamente, il suo basso BC Rich Warlock.
Importanti esponenti della scena metal non mancano di onorare immediatamente la dipartita di Roger Patterson: i Napalm Death dedicano alla sua memoria l’EP Mass Appeal Madness, pubblicato nella primavera del 1991; qualche mese dopo, in ottobre, seguiranno i Suffocation di Effigy of the Forgotten. Paul Masvidal e Sean Reinert dei Cynic, ai tempi impegnati con i Death di Schuldiner, ricordano invece l’amico scomparso nei ringraziamenti di Human. Nel settembre dello stesso anno gli Atheist si esibiscono inoltre ai Tampa Bay Metal Awards, dove Patterson riceve simbolicamente il titolo postumo di miglior bassista. Il mondo metal è consapevole che la perdita appena sofferta è incalcolabile.
It was just a terrible tragedy. And it turned out to be probably the beginning of the end.
Steve Flynn
Il declino e il primo scioglimento: 13 febbraio 1991-1992
A questo punto, gli Atheist devono fare il conto con un’altra importante difficoltà oltre al lato umano. Un po’ per fedeltà alla decisione fatta insieme a Patterson da vivo di proseguire con il progetto Atheist, un po’ per sincera fiducia nella qualità del materiale fino ad allora composto, il trio superstite decide di dare alle stampe il secondo full-length come testamento musicale del loro amico. La musica però è già quasi del tutto scritta, il che vuol dire che gli Atheist devono trovare un bassista che abbia delle capacità almeno paragonabili a quelle di Patterson per poter suonare le linee già composte – il che, nel panorama metal del 1991, è un’impresa disperata. Il primo pensiero va a Doug Keyser dei Watchtower, che Patterson aveva avuto anche il piacere di incontrare ad Austin, Texas, nel mezzo del tour americano di gennaio. Keyser, però, glissa l’invito, rispondendo semplicemente che la musica degli Atheist non corrisponde al suo stile.
La seconda persona contattata è Tony Choy, che da circa un anno è il nuovo bassista dei Cynic e che gli Atheist avevano conosciuto durante un concerto ad Hallendale insieme ai Monstrosity, il 3 febbraio 1990. Nel 1991, i Cynic non hanno ancora pubblicato un full-length, vittime – come gli Atheist – dell’eccessiva avanguardia della loro proposta; per questo, il gruppo accoglie con favore la possibilità che Choy suoni con un’altra band, con la non tacita speranza di portare notorietà di riflesso al progetto madre.
Cubano di nascita e americano d’adozione, Choy è un bassista estremamente peculiare nel panorama metal floridiano, anche se in maniera diversa da Roger Patterson. Con lui condivide una formazione sui generis, contesa tra il metal (classico ed estremo) e il jazz fusion di Allan Holdsworth e del Chick Corea dei Return to Forever, ma anche profondamente legata alle musiche popolari tradizionali di Cuba e dell’America Latina. Proprio per questo, il suo stile – per quanto anch’esso caratteristico e sopra le righe, come si può apprezzare sulla demo dei Cynic finanziata dalla Roadrunner nel 1991 – è radicalmente differente rispetto a quello del suo predecessore. Dal punto di vista della potenza del suono, il confronto è impietoso a favore di Patterson; tuttavia, Choy ha dalla sua parte un caratteristico senso del ritmo, mutuato dalla musica brasiliana e cubana oltre che dal jazz fusion, che dona alle sue linee un groove non comune. Il suono rotondo e urbano del suo basso e la sua padronanza di tecniche come lo slapping e il tapping, implementate con successo anche su pezzi completamente death metal come quelli dei Cynic, lo avvicinano maggiormente a bassisti jazz moderni come Anthony Tidd piuttosto che a un qualsiasi altro bassista virtuoso di formazione metal dell’epoca.
Nell’aprile 1991, con questa rinnovata formazione, gli Atheist tornano ai Morrisound Studios, ancora una volta sotto la supervisione di Scott Burns, per incidere il tanto agognato secondo album che verrà intitolato Unquestionable Presence. Anche in questo caso, però, il budget è limitatissimo, e dopo aver speso quasi due anni dedicando un’attenzione maniacale a ogni dettaglio degli arrangiamenti e del flusso dei brani gli Atheist sono ancora una volta costretti dalle circostanze a registrare il tutto in fretta e furia. Grazie al contributo quasi stacanovista di Burns, che dimostra di comprendere appieno la visione della band e si condanna a ritmi di lavoro forsennati per aiutarla a realizzare la propria musica, il risultato è comunque il migliore possibile date le premesse.
Il materiale di Unquestionable Presence consta delle sei tracce della demo del 1990 più due tracce ulteriori, rimaste incompiute al momento della morte di Patterson. La prima di queste, che era già stata quasi completamente ultimata dal quartetto classico degli Atheist, è Mother Man, un altro capolavoro di death metal schizofrenico e contorto dal tema rabbiosamente ambientalista: la «Madre Uomo» altri non è che l’umanità intera che ha inquinato e devastato Madre Natura (seppur in versi come «And nature becomes illegal / According to rules / Made by fools», Shaefer coglie l’occasione per lamentarsi di un altro dei temi a lui più cari – la legalizzazione della marijuana). Come al solito, è un brano che scaturisce da una geniale invenzione di Patterson: è sua l’assurda linea di basso che ondeggia tra 10/8 e 11/8 che compone l’ossatura di Mother Man, e come nella migliore tradizione Atheist le chitarre vi volteggiano sopra descrivendo armonizzazioni volte al cielo stellato, indipendenti dal riff sottostante. La struttura del pezzo è in realtà più lineare di molti altri brani di Unquestionable Presence, ma l’esplosiva prestazione di Flynn (che sembra improvvisare liberamente tutta la sua parte: incredibile pensare che sia invece interamente fissata) cela lo sviluppo logico e consequenziale del materiale melodico. Quando Choy si unisce agli Atheist, al brano manca soltanto il finale: tira quindi fuori dal cilindro il conclusivo breakdown sincopato in tapping, che fornisce a Mother Man un carattere latino che prima di allora si era apprezzato tanto nitidamente solo nel beat bossa nova di An Incarnation’s Dream.
L’ultimo brano concluso con il contributo di Choy è posto in chiusura dell’album. Intitolato And the Psychic Saw, al momento della morte di Patterson è ancora un cantiere aperto a differenza di Mother Man. Proprio per questo, appare piuttosto differente strutturalmente dal solito standard Atheist, presentando una costruzione dall’impianto essenzialmente strofico con una più evidente ripetizione delle stesse sezioni: la seconda metà è quasi completamente sovrapponibile alla prima. Il momento più interessante è però incastonato nel punto di raccordo tra queste due parti: prima, Burkey e Shaefer si esibiscono in un lungo fraseggio all’unisono, ribadito ulteriormente dal basso di Choy; quindi, Choy e Flynn inaugurano, intorno a 1:23, una delirante digressione ritmica al crocevia tra jazz rock e death metal, disarticolata come se si assistesse alla falsa partenza di quattro o cinque diversi sviluppi possibili in rapida successione.
In mezzo a queste due tracce, gli Atheist inseriscono le sei che si erano già potute apprezzare sulla demo del 1990. Your Life’s Retribution e Brains vengono fornite di un testo; Unquestionable Presence vede la sezione introduttiva con le armonie siderali di Burkey arricchita di effetti di post-produzione naturalistici, che aumentano le affinità elettive con la title track di Piece of Time (lì si udiva il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia, qua il fischio del vento che ulula in uno spazio aperto); all’assolo in clean di Burkey che inaugura An Incarnation’s Dream si aggiunge un arpeggio acustico. Tutto il resto, a meno di una produzione che dona più spessore alle chitarre e minoritari abbellimenti tecnici, è sostanzialmente rimasto invariato rispetto alla demo, escluso un solo ovvio aspetto – il basso. L’approccio di Choy allo strumento manca della violenza metallica di Patterson, anche e soprattutto nei momenti in cui le partiture si fanno più convolute, e pertanto il suo suono appare all’orecchio decisamente più morbido e pastoso. Inoltre, per imparare tutte le sue parti, Choy non ha avuto a disposizione alcuno spartito ma soltanto le registrazioni di solo basso e batteria dell’agosto precedente, fornitegli direttamente da Scott Burns. Choy trascrive le linee di basso a orecchio a partire dall’ascolto di queste incisioni: se una strategia del genere funziona per la maggior parte dei riff, nei momenti in cui Patterson dà via libera al suo estro per Choy (così come per tutti gli altri membri degli Atheist) è impossibile capire davvero nel dettaglio che cosa stesse eseguendo sullo strumento. Si rivela quindi necessario apportare modifiche più o meno evidenti agli arrangiamenti di basso: talvolta, queste alterazioni beneficiano del background più funky di Choy, e forniscono così un valore aggiunto alla musica (vedasi intorno a 1:00 di Brains, dove l’uso di slapping e popping dà un colore esotico alla performance di tutto il quartetto); talaltre, invece, il confronto con le linee originali pende decisamente in favore di Patterson. L’esempio forse più lampante di quest’ultima situazione si ha nell’apertura di The Formative Years, dove il groviglio di note che compone la linea di basso che si poteva apprezzare sulla demo viene sciolto, perdendo così sia in potenza sia in carattere. Il fatto che semplificare le parti di Patterson porti comunque a incidere su disco uno dei bassi più indecifrabili della musica metal è forse la più grande testimonianza postuma del suo genio.
Si è molto parlato delle influenze jazz e fusion di Unquestionable Presence, ma dal punto di vista sonoro e timbrico più superficiale è difficile trovare punti di contatto evidenti, eccezion fatta per le chitarre di An Incarnation’s Dream, oppure il basso su Mother Man, e poco altro. Insomma, non è un death metal dall’influenza fusion eclatante come sarà invece quello di Focus dei Cynic due anni più tardi: l’eredità concettuale del progressive e del jazz in Unquestionable Presence è invece più subliminale, ma non per questo meno radicale. Tale retaggio si manifesta innanzitutto nella pronuncia ritmica della musica degli Atheist: a trent’anni di distanza suona ancora più unica che rara. Merito non solo della tecnica e del timbro di Choy, che sembra reinterpretare lo stile di bassisti di jazz elettrico e fusion anni Settanta/Ottanta come Stanley Clarke in un contesto death metal (non troppo diversamente da quanto avrebbe fatto Steve Di Giorgio su Human e Individual Thought Patterns dei Death, e ancora più drasticamente Sean Malone sullo stesso Focus), ma anche e specialmente della performance alla batteria di Steve Flynn, senza esagerazione una delle più impressionanti di sempre a prescindere dal genere di riferimento. Il modo in cui si avvale di ogni componente del suo strumento, sfruttando il doppio pedale per contrappuntare i riff di basso e chitarre e i piatti per colorare e ampliare la gamma di dinamiche a disposizione del gruppo, tradisce il suo background jazz: il suo stile straripante, che sembra avere come scopo principale quello di colpire il maggior numero di pezzi della batteria nel più breve lasso di tempo possibile, e le continue trasformazioni cui sono soggetti i suoi fill quando invece la linea melodica tracciata dalle chitarre rimane sostanzialmente invariata, sposta continuamente in maniera quasi schizofrenica il baricentro ritmico del brano. Se qualche passaggio individualmente suggerisce più di un’analogia con Marvin “Smitty” Smith, l’estremismo di matrice metal mutuato da Dave Lombardo e Gene Hoglan lo avvicina, involontariamente, a terroristi della batteria jazz come Ronald Shannon Jackson.
Meno ovvia, ma egualmente straordinaria, è l’impronta concettuale che jazz e progressive imprimono sul particolare processo di dialogo delle chitarre e sullo sviluppo della fase solistica. Gli assoli (quasi sempre suonati da Burkey) si sviluppano mantenendo una forte continuità melodica e umorale con il materiale tematico presentato nelle strofe – talvolta, anche per via della loro brevità e concisione, è perfino difficile distinguere tra assoli e semplici lick particolarmente articolati. Pertanto, la seconda chitarra e il basso di Choy hanno un maggiore spazio di manovra per quanto concerne il lavoro di supporto ritmico, che diviene in questo modo molto più elaborato e creativo. Quel che accade durante gli assoli di Enthralled in Essence (3:09), The Formative Years (2:22), Brains (2:02) e And the Psychic Saw (1:43) è completamente inedito in un contesto metal: contrariamente a quanto succede solitamente nel genere, la chitarra solista non solo è consapevole delle parti eseguite dalla chitarra ritmica e dal basso, ma vi dialoga e costruisce il proprio fraseggio di conseguenza, in armonizzazioni spregiudicate che, a fasi alterne, separano e ricongiungono le voci dei diversi strumentisti. Un interplay tanto intelligente nel metal estremo si è visto raramente, e mai prima degli Atheist.
Come e (molto) più dei brani più creativi di Piece of Time, la musica di Unquestionable Presence compie in una sola volta due salti concettuali importantissimi. Non solo è death metal tecnico, sofisticato, esigente tanto per l’esecutore quanto per l’ascoltatore, ma in più intraprende con convinzione la strada che, trent’anni dopo, è ancora la meno battuta nel genere: quella che opta per la complessità strutturale, ritmica e armonica, piuttosto che per quella meramente performativa. Al contrario di molte sedicenti declinazioni progressive del metal (non solo estremo), la musica degli Atheist è infatti intrinsecamente difficile, e non potrebbe essere altrimenti. I brani di Unquestionable Presence sembrano continuamente tesi nello sforzo di riuscire a convogliare la maggior quantità di informazione nello spazio minore di cui sono capaci; per far questo, devono suonare il più velocemente possibile, sovrapporre le frasi impilandole una sopra l’altra, senza ripetersi inutilmente e senza concedersi soste che non siano funzionali a dare ancora più impatto alla ripresa della propria elucubrazione. Privare queste composizioni degli intricati intrecci melodici, livellarne le indicazioni metronomiche e di tempo, risolvere anche solo qualcuno dei numerosi puzzle ritmici proposti all’ascoltatore, altererebbe drasticamente la semantica stessa del discorso musicale degli Atheist, e non solo la sua formulazione. Cosa ancora più straordinaria, una tale densità formale si manifesta sorprendentemente in una musica che, per tutta la sua durata, non perde mai un carattere essenzialmente astratto e contemplativo: la sinuosità degli inviluppi strumentali e il particolare impianto sonoro ricreato da Burns danno sempre l’impressione di star ascoltando una band che suona in mezzo alla natura e in sintonia con l’universo, anche quando i brani si sovraccaricano di dettagli armonici e ritmici.
Unquestionable Presence viene finalmente pubblicato il 30 agosto 1991, questa volta fortunatamente distribuito contemporaneamente dalla Active (in Europa) e dalla Metal Blade (in America) senza ritardi di sorta, pur se con qualche disattenzione e leggerezza. L’edizione della Active reca degli errori nei credits del disco, mentre la Metal Blade, non convinta dell’interesse del pubblico per una musica tanto peculiare, rinuncia alla possibilità di inserire come bonus track le tracce demo con Roger Patterson registrate nell’agosto precedente. In ogni caso, Unquestionable Presence è uno dei più grandi album metal della storia, e in relazione alle condizioni al contorno e al contesto musicale dell’epoca, uno dei più incredibili e innovativi di sempre. Trent’anni dopo la sua uscita, il suo impatto sul genere appare incalcolabile, a partire in primo luogo dalla scena death metal che, sull’onda lunga di questo lavoro, ha cominciato a sperimentare sempre più con soluzioni più inusuali e ritmiche più scomposte. Ma la sua portata va oltre l’aspetto strettamente musicale: la sola idea che una musica del genere potesse essere insieme tanto estrema e tanto sofisticata è stata una rivelazione recepita anche fuori dal canone death metal, con band come Today Is the Day e Dillinger Escape Plan in prima fila. E anche se ora è comune trovare musicisti eccezionali nel metal estremo, con una padronanza del proprio strumento paragonabile (e spesso anche superiore) a quella mostrata dagli Atheist nella loro formazione storica, la prospettiva da cui Unquestionable Presence ha approcciato la problematica di “rendere virtuoso il death metal” è ancora rarissima.
Ovviamente, però, all’epoca l’accoglienza è tiepida. Nonostante qualche eccellente recensione su magazine più smaliziati, la maggior parte degli ascoltatori metal viene scoraggiata dalla complessità dell’album e muove agli Atheist la più stereotipata tra tutte le critiche che si possono muovere a un gruppo che sa suonare i propri strumenti: la loro è musica che ostenta le qualità tecniche dei singoli strumentisti difettando di sostanza. Le vendite sono disastrose, il pubblico sembra poco ricettivo a una concezione tanto moderna del death metal, e le stesse Active e Metal Blade offrono poco supporto alla band, organizzando meno date per portare i pezzi di Unquestionable Presence in concerto di quanto gli Atheist non desiderino e necessitino. Come se non bastasse, poco dopo la pubblicazione dell’album Choy interrompe senza preavviso la sua collaborazione con la band.
Durante le sessioni di registrazione di Unquestionable Presence, infatti, i Morrisound Studios stanno ospitando anche i Pestilence di Patrick Mameli, in quel periodo alle prese con il loro terzo full-length Testimony of the Ancients che vedrà la luce nel settembre 1991. Nonostante siano ora considerati esponenti di spicco del death metal tecnico al pari di Atheist, Cynic e Death, i Pestilence che nell’aprile del 1991 si trovano ai Morrisound sono ancora il gruppo brutale e privo di fronzoli che ha prodotto, nemmeno due anni prima, Consuming Impulse. Conversando e ascoltando la musica che gli Atheist stanno realizzando in quel momento, però, Mameli viene folgorato dalle possibilità del death metal tecnico e decide di tentare la stessa strada, licenziando in tronco il loro bassista e chiedendo a Choy di sostituirlo. Secondo i racconti di Shaefer, Choy impiega una sera soltanto a imparare tutte le parti di basso per i Pestilence (contro le circa otto settimane spese per imparare quelle di Unquestionable Presence), incidendole il giorno seguente mentre gli Atheist sono occupati nel missaggio delle chitarre: se magari le tempistiche possono essere esagerate, di certo la disparità di livello tecnico, di creatività e di visione tra le due band non lo è. Quando infine i Pestilence devono partire per un tour europeo per promuovere Testimony of the Ancients, Mameli chiede a Choy di accompagnarli; viste anche le scarse disponibilità finanziarie degli Atheist, che non possono convincerlo a rimanere, Choy accetta la proposta.
I was fucking furious, I mean I told Patrick Mameli: «Hey man you fired your bass player asshole, ours was killed, and your bass player is replaceable, ours is not!».
Kelly Shaefer
Di nuovo senza bassista, nell’ottobre 1991 gli Atheist trovano un sostituto in Darren McFarland dei Blackkout, che poche settimane dopo – il 17 novembre – debutta con la band in occasione della celebrazione dell’uscita di Unquestionable Presence, replicando una settimana dopo in uno show di supporto ai Coroner. Nonostante un’accoglienza positiva e il buon lavoro di McFarland come bassista, è però evidente l’ulteriore perdita, sia come bagaglio tecnico sia come potenza sonora, rispetto a Tony Choy. (Per fare un paragone personalmente, si possono ascoltare le bonus track della ristampa Relapse di Elements del 2005, che contengono un live con McFarland registrato durante una trasmissione della BBC nel 1992.)
Nei mesi successivi, pur avendo restaurato con successo la formazione in quartetto, tutto va a rotoli. Poco prima di partire per un tour americano con Death e Pestilence, sempre nel novembre 1991, Schuldiner si impone per impedire agli Atheist di suonare come band di supporto (al loro posto, verranno presi i Viogression). Nel gennaio successivo, gli Atheist intraprendono quindi un altro tour tra America e Canada, questa volta in supporto ai Cannibal Corpse, accompagnati anche dai Gorguts freschi del debutto Considered Dead. Se la convivenza con le altre due band è ottima, i concerti in sé sono un disastro: il pubblico si aspetta dagli Atheist una musica paragonabile stilisticamente a quella dei Cannibal Corpse e dei primi Gorguts (il tour, d’altronde, si intitola Blood, Guts and Gore), e si trova invece spaesato da cambi di tempo a rotta di collo e armonizzazioni bizzarre di chitarre e basso. Le contestazioni sono rumorose ed esplicite, con persone che fischiano e urlano «you suck» agli Atheist durante il loro set e altre che richiedono a gran voce l’inizio anzitempo dell’esibizione dei Cannibal Corpse. Tutto questo è ulteriormente aggravato dalla fragilità emotiva di Darren McFarland e dalla drammatica situazione economica del gruppo: durante il tour Rand Burkey si trova perfino a mettere in vendita al banco dei pegni i propri strumenti e amplificatori per racimolare qualche soldo, per poi recuperarli pochissimo tempo prima degli show.
Considerando anche che tutto ciò avviene nemmeno un anno dopo la morte di Patterson, il carico psicologico per il gruppo è devastante. Prima ancora che il tour con i Cannibal Corpse si concluda, Flynn ha già deciso di mollare gli Atheist e andare al college per concludere i propri studi, e Shaefer si ritrova di conseguenza privato di un altro amico fraterno; le tensioni con Burkey, nel frattempo, sono invece sempre più accese. Nell’aprile del 1992 gli Atheist avrebbero in programma di tornare in Europa per un tour con i Suffocation e i Gorefest di supporto, ma questo progetto non si concretizza: la band è già implosa su se stessa, sopraffatta dalla sfortuna e dalle nevrosi interne.
Some bands just have no luck, and Florida’s Atheist seem to be one the unluckiest.
Borivoj Krgin
Reunion e secondo scioglimento: 1993
Nei mesi passati dalla fine dell’esperienza con gli Atheist, Shaefer ha intrapreso un progetto musicale completamente agli antipodi rispetto al death metal, perseguendo l’altra sua grande passione rappresentata dalle ultime derive dell’hard rock in epoca grunge, dai Guns N’ Roses ai Soundgarden: è così che dà vita ai Neurotica. Intorno alla fine del 1992, Shaefer si trova in uno studio di Gainesville per preparare alcuni pezzi, quando riceve una telefonata da Dave Constable della Active Records. Gli Atheist sono ancora legati da obblighi contrattuali all’etichetta, che esige un terzo album – e deve essere scritto, registrato, e missato in quaranta giorni. Non potendo dedicarsi a tempo pieno ai Neurotica fino a che il nuovo disco degli Atheist non sarà ultimato, Shaefer è costretto ad accettare l’ultimatum della Active.
Come al solito quando si parla degli Atheist, la situazione però è critica. Oltre all’evidente problematica delle tempistiche ridotte, Shaefer in quel momento è senza band, non può sperare di recuperare Flynn (impegnato con il college), e oltretutto i rapporti con Burkey non sono proprio rosei, ed è perciò costretto a inventarsi una nuova formazione dal nulla. Shaefer contatta così Frank Emmi, chitarrista di una band thrash metal floridiana ormai completamente dimenticata, i Gentlemen Death; per completare la line-up, per il momento si affida al batterista (Mickey Hayes) e al bassista (il cui nome è stato sepolto dalle sabbie del tempo) che suonano con Emmi, anche se le loro capacità come musicisti non sono quelle che Shaefer si aspetta. Tempo un paio di giorni e il bassista viene licenziato; al suo posto viene chiamato di nuovo Tony Choy, che ha chiuso definitivamente il suo rapporto professionale con i Cynic e che accetta con entusiasmo l’offerta di Shaefer. Poco dopo Hayes viene rimpiazzato da Josh Greenbaum, un valido batterista di formazione jazz che Shaefer aveva conosciuto negli studi di Gainesville dove si stava occupando del materiale dei Neurotica (ai tempi, Greenbaum stava registrando insieme alla band di River Phoenix).
Gli Atheist sono ora di nuovo un quartetto, ma a sorpresa, dopo due settimane che il gruppo si sta già cimentando nella scrittura di nuovi brani, si rifà vivo Rand Burkey: dopo il primo scioglimento della band, ha tentato diverse volte di mettere su dei progetti musicali, ma ogni volta è sopraggiunta la frustrazione vedendo la differenza di livello con i musicisti che aveva conosciuto nella sua esperienza negli Atheist, ed è in più sinceramente incuriosito dalla direzione che sta prendendo il nuovo materiale. A questo punto, mancano ventisei giorni alla deadline, e circa due settimane devono essere dedicate alla registrazione delle tracce. La formazione in quintetto degli Atheist ha quindi soltanto una dozzina di giorni per comporre tutto il nuovo album.
Nonostante la situazione difficile, sono molte le sfide che intrigano gli Atheist in questa nuova incarnazione. Per Choy, è l’occasione di inserirsi in maniera più pervasiva nell’operazione di composizione del gruppo. Per Burkey, è l’opportunità di poter vedere parte del materiale che ha scritto nell’ultimo anno nelle mani di musicisti dalle competenze tecniche necessarie per maneggiarlo. Infine, Shaefer è affascinato da un triplice rompicapo: comporre una musica che suoni pesante ed estrema pur non utilizzando la doppia cassa (d’altronde, Greenbaum non è un batterista metal, e usa pertanto un solo pedale), riuscire a valorizzare nella scrittura dei brani i diversi timbri delle tre chitarre a disposizione, e realizzare un convincente concept sui quattro elementi, che affascina tanto lui quanto Burkey. Il tempo però stringe, e Shaefer non ha la possibilità materiale di declinare la musica che il gruppo compone per farla corrispondere ai suoi testi; perciò, li scrive interamente la notte, alla fine di ogni sessione di registrazione, ricamandoli sopra la musica che gli Atheist hanno inciso il giorno stesso.
Alla fine gli Atheist riescono a completare la loro opera, pur con tutte le difficoltà e gli ostacoli del caso – l’ultimo brano composto per il disco, Mineral, viene realizzato frettolosamente il giorno prima di trasferirsi verso Gainesville per registrare, senza alcun tipo di ispirazione dovuta alla marijuana, «which I can safely say is the only time it ever happened in the history of Atheist» (Shaefer). L’album, che coerentemente con il filo conduttore dei testi viene intitolato Elements, viene inciso ai Pro-Media Studios sotto la supervisione di Mark Pinske, che negli anni Ottanta aveva curato vari lavori di Frank Zappa e Steve Vai e che Shaefer aveva conosciuto durante la sua parentesi con i Neurotica. L’intenzione dichiarata è quella di distanziarsi ulteriormente dal metal estremo più tradizionale, e quindi di rifuggire il caratteristico suono dei Morrisound Studios che, nel 1993, è visto come una sorta di cliché nella comunità death metal – e, secondo la testimonianza di Burkey, Scott Burns rimase un po’ indispettito dalla decisione di non affidarsi nuovamente a lui. Il suono di Elements è in effetti molto differente da quello dei due lavori precedenti: l’esperienza di Pinske con il phasing rende l’impianto sonoro degli Atheist più imponente rispetto a Piece of Time ed Unquestionable Presence, e conferisce alla musica del quintetto un taglio luminoso e di ampio respiro che è completamente inedito in ambito death metal, valorizzando per altro il tono del basso di Choy e i molteplici intrecci timbrici delle tre chitarre. Dall’altra parte, è anche la primissima volta di Pinske con un gruppo di metal estremo (anche se sempre nel 1993 e proprio grazie all’esempio degli Atheist, i Pro-Media Studios accoglieranno i Malevolent Creation di Stillborn e i Demented Ted di Promises Impure): la sua inesperienza con il genere e con i suoi densi strati di chitarre lo porta a saturare il suono durante il missaggio, portandolo spesso al punto della distorsione e quindi sporcandolo con il clipping nei momenti in cui la musica si muove più esplicitamente su coordinate death metal.
Nonostante le indiscutibili imperfezioni tecniche del suono e la situazione emergenziale che l’ha concepito, Elements è comunque un altro lavoro prodigioso, e uno degli album più originali del metal anni Novanta. Certamente, da un punto di vista strutturale, la mancanza per la prima volta nella storia della band dell’apporto compositivo di Steve Flynn (ma soprattutto di Roger Patterson) si percepisce in maniera lampante: rispetto ad Unquestionable Presence, tutti i brani di Elements sono organizzati secondo un’ossatura più tradizionale, dove per la prima volta dai tempi delle prime demo non solo sono perfettamente discernibili strofe, ritornelli e bridge, ma anche la sequenza e l’alternanza delle varie sezioni seguono schemi logici più canonici. In questo senso, Elements è un disco di death metal tecnico in un’accezione più “classica” rispetto ad Unquestionable Presence. La connotazione technical questa volta deriva principalmente, piuttosto che da una complessità strutturale, dalla difficoltà performativa delle parti strumentali in sé, da quelle di Choy e Greenbaum che interpretano il tempo fratturando il ritmo tra terzine, sincopi e contrattempi, a quelle di Burkey ed Emmi che intrecciano le loro chitarre in lick arzigogolati.
Tuttavia, l’introduzione nel sound Atheist di così tante voci peculiari spariglia ulteriormente le carte e rende la musica di Elements estremamente sui generis, aliena a tutto ciò che l’abbia preceduto in ambito metal e non, Unquestionable Presence compreso. Innanzitutto, Greenbaum è un batterista molto dotato, ma con uno stile più misurato ed essenziale rispetto a Flynn, e soprattutto estraneo al mondo metal. Per questo, i suoi fill sono lontani tanto dal batterismo tentacolare del death metal tecnico, quanto da quello brutale dei gruppi death metal più tradizionali fatto di blast beat e skank beat (che comunque, con il suo pedale singolo, non potrebbe suonare adeguatamente): anche nei momenti più estremi (cfr. la strofa di Earth, o tutta Air) il suo supporto ritmico opta per un groove più cadenzato che gioca con eleganza e gusto con l’alternanza tra pieni e vuoti, tra rullante e grancassa. La sua concezione della batteria si sposa alla perfezione con l’idea di basso di Choy, che nonostante la sua esperienza pregressa con il metal estremo ha preferenze votate alla musica cubana e latin: la determinante partecipazione di quest’ultimo alla fase compositiva di Elements comporta un abbassamento dei battiti per minuto e una focalizzazione inedita sull’aspetto ritmico – che cannibalizza sentori di funk, salsa, bossa nova, samba e jazz fusion in un mix panculturale. Il suo basso a cinque corde slappato si intreccia ai pattern di Greenbaum dando vita a una base ritmica che, come nelle migliori tradizioni popolari latine, ha un pronunciato aspetto materico, come a voler indurre l’ascoltatore al ballo (si ascolti a tal proposito la fisicità dei groove di basso e batteria nelle strofe di Green, Water, Animal, Air). In questa fisicità della propulsione dei pezzi di Elements, distante dall’atmosfera più meditativa di Unquestionable Presence, il lavoro ritmico del duo è assimilabile a quello di gruppi di funk metal come i Living Colour o i misconosciuti The Beyond (che, nello stesso anno, avevano pubblicato il loro secondo album Chasm proprio per la Music for Nations).
In secondo luogo, vi sono le tre chitarre. Shaefer a questo punto si occupa soltanto dei compiti ritmici, mentre Burkey ed Emmi si occupano degli arrangiamenti e dell’impalcatura melodica e solistica dei brani. Lo stile inusuale di Burkey appare come un’evoluzione ultra-tecnica di quello già ampiamente apprezzato su Piece of Time e Unquestionable Presence, anche se questa volta è più chiaramente votato alla sua vocazione di guitar hero. Per questo, le sue parti sfruttano ancora di più tutta la lunghezza della tastiera e la gamma di suoni di cui la chitarra dispone – vedasi gli armonici che mimano il verso degli animali in apertura ad Animal, oppure le distorsioni onomatopeiche su Fire, o ancora il timbro che ricorda quello di un flauto nelle note introduttive di Air – mentre gli assoli implementano maggiormente tecniche associate ai chitarristi neoclassici come shredding e sweep picking. Come nel caso di Choy, la personalità mostrata da Burkey su Elements è probabilmente da imputare al ruolo più importante rivestito nella scrittura dei pezzi: molto materiale composto per i suoi progetti personali dopo la fine dell’esperienza Atheist l’anno precedente viene infatti riciclato su questo album – il suo primissimo contributo alla scrittura di Elements, secondo le cronache, sarebbe proprio l’arioso assolo in apertura ad Air. (Anche per questo, probabilmente, Elements è il disco degli Atheist preferito da Burkey.)
Anche Emmi, come chitarrista, è votato alla costruzione di parti virtuose e convolute, come si può apprezzare sul finale di Mineral o nell’unisono in shredding con Burkey intorno a 2:03 della title track. Il suo maggior contributo, però, risiede nella varietà timbrica che Emmi offre agli arrangiamenti di chitarra degli Atheist: è lui a occuparsi delle numerose parti in clean disseminate lungo il disco (con il vertice indiscusso nella title track, prima con il delicato arpeggio in delicato fingerpicking esibito a 0:48 e poi con il funambolico assolo che chiude la traccia e con essa il disco), sfoggiando anche una discreta padronanza del flamenco su Water (a 0:53 e nuovamente a 4:11).
Infine, vi è Shaefer, che con la recente esperienza nei Neurotica ha cominciato ad apprezzare l’idea di esprimersi in maniera diversa rispetto al suo solito e migliorare le sue doti canore. Per questo motivo, per quanto con gli Atheist si sforzi di suonare aggressivo e la sua voce sia resa meno naturale dall’effetto riverberato che la ricopre, la sua parte su Elements non ha più nulla a che fare con il death metal: lo stile ruvido e minaccioso che adotta su questo album gli permette di utilizzare un ventaglio più ampio di dinamiche e di intensità, talvolta avvicinandosi di più a un canto più pulito, talvolta lanciandosi in qualche scream – per quanto meno tagliente che in passato –, in maniera non dissimile da certi gruppi thrash metal meno estremi. Ed è sempre Shaefer a occuparsi dei testi di Elements, che sviscerano il rapporto conflittuale dell’essere umano con l’ambiente e l’impatto distruttivo – finanche sacrilego – che la civiltà ha sulla natura elaborando alcune idee già manifeste su Mother Man dall’album precedente. Come suo solito, però, il significato letterale dei suoi testi cela una visione spirituale, quasi panistica, del mondo: i soggetti naturali di Elements vengono tutti contemplati da una prospettiva prettamente animista. I vari minerali protagonisti di Mineral, fossero dotati di parola, educherebbero l’uomo che non li rispetta; il legame tra i cicli lunari e le maree in Water vengono viste come il segno di un’amicizia tra forze sovrannaturali; nella title track, lo spettacolo degli elementi è letteralmente «divino». E anche il monito alla preservazione del «piccolo pianeta sulla collina» su Earth, minacciato dalla negligenza umana, sembra provenire da entità eterne e sovrumane.
Per sviluppare ulteriormente il concept elementale, Shaefer pensa inoltre a quattro brevi interludi strumentali da inserire nella tracklist per spezzare il flusso dei brani principali. Ognuno di questi viene scritto da un solo membro degli Atheist – e proprio per questo, per quanto non tutte queste digressioni siano necessarie nell’economia dell’album, si rivelano fondamentali per comprendere appieno l’estetica dei maggiori protagonisti di questo disco. Burkey firma Displacement e Fractal Point, due escursioni chitarristiche che mostrano il suo caratteristico approccio melodico e timbrico allo strumento; Emmi, invece, si occupa del toccante minuto e spiccioli di See You Again, che parte come intimo arpeggio per sfociare quindi in un esercizio solistico progressive; infine, Choy tira fuori dal cilindro la più bizzarra e intrigante delle quattro, la celebre Samba Briza. Per questo brano, la formazione viene ritoccata leggermente: Shaefer e Burkey non vi partecipano, mentre il pianista David Smadbeck accompagna il trio di Choy, Emmi e Greenbaum (che qui si diletta anche con le conga). Nonostante il titolo, Samba Briza è un pot-pourri di diversi generi sud americani e cubani – il più evidente tra questi è la salsa, seppur qualche richiamo alla samba-jazz e alla bossa nova sia comunque ben distinguibile nella parte di piano e percussioni – reinterpretati in un contesto fusion, come ben esemplificato dalla ritmica in tapping di Choy e dagli assoli vagamente jazzati di Emmi e Smadbeck che chiudono il pezzo. Niente male, per un gruppo death metal.
Elements viene pubblicato il 30 agosto del 1993, e di nuovo la distribuzione è contesa tra Metal Blade negli Stati Uniti e Music for Nations in Europa. La differenza, rispetto a Piece of Time e Unquestionable Presence, sta nel fatto che questa volta gli Atheist hanno firmato un contratto con la Metal Blade, che non riesce più a giustificare l’investimento di soldi a perdere in una band che di fatto appartiene a un’altra label. La differenza di budget e promozione per Elements non vede comunque grosse differenze rispetto ai due album editi per la Active: anche per questo, nonostante sia un album sensibilmente più melodico e lineare in confronto alla produzione precedente della band, le vendite sono di nuovo deludenti. In America le recensioni sono anche piuttosto aspre, apostrofando gli Atheist di essere «grown men caught in their own guitar strings» e «so technical that they are up their own ass». Tuttora, Elements è visto come un passo falso nella discografia degli Atheist dal pubblico metal statunitense, per via della sua maggiore accessibilità e della sua visione inclassificabile. È il destino che accomuna, negli Stati Uniti, molti lavori di band di culto che si sono allontanate dal loro stile classico esplorando sentieri meno old school: un altro esempio di questa mentalità lo si ha guardando la considerazione di cui gode in America un album come Grin dei Coroner.
In Europa, dove l’audience metal underground è un po’ più aperta rispetto alla omologa USA, la ricezione dell’album è invece molto più calda, fin dal primo momento. I critici lodano la commistione innovativa di elementi fusion, cubani e latino-americani in una matrice death metal, e anche il pubblico apprezza molto lo stile di Elements: tuttora, in certi ambienti, è comune considerarlo come il vero capolavoro degli Atheist. Non a caso la stragrande maggioranza dei gruppi death metal che, nei dieci anni immediatamente successivi alla sua pubblicazione, hanno provato ad attingervi come fonte di ispirazione proviene dall’Europa – vedasi i Disharmonic Orchestra di Pleasuredome (Austria), i Wayd di Barriers (Slovacchia), i Farmakon di A Warm Glimpse (Finlandia).
Agli Atheist viene anche proposto di partire per un tour europeo in supporto ai Benediction al fianco dei Cemetery, di fatto completamente spesati dagli headliner. Nonostante i fantasmi del tour con i Cannibal Corpse del 1992, gli Atheist accettano l’offerta (anche perché nel loro contratto con la Metal Blade non è compreso un budget adeguato per portare in sede live il materiale del nuovo album), e partono ancora prima che venga licenziato Elements, rimaneggiando leggermente la formazione. Nell’ultimo anno, infatti, Shaefer ha sviluppato la sindrome del tunnel carpale per via dello sforzo innaturale cui ha sempre sottoposto il braccio destro per suonare e cantare contemporaneamente: per questo, in concerto si occupa solo delle parti vocali, affidando quelle di chitarra ai soli Emmi e Burkey. Inoltre, Greenbaum è ancora impegnato con la band di River Phoenix in studio, ed è perciò sostituito in questo tour da Marcel Dissantos. Non vi sono molte registrazioni di qualità degli Atheist con Dissantos alla batteria, ma Shaefer non ha mancato di rimarcare, in diverse interviste, il suo rimpianto per aver deluso i fan europei che aspettavano da tempo di vedere Steve Flynn in concerto: è quindi legittimo supporre che la differenza di livello tecnico tra i due fosse considerevole. Ciò nonostante, il tour è un successo strepitoso, i rapporti con i membri delle altre due band sono eccellenti, e anche il pubblico dei Benediction si mostra aperto e ricettivo alla difficile musica degli Atheist. Addirittura, per la prima volta nella loro disastrata carriera, Shaefer & co. strappano qualche richiesta di bis – a riprova dell’entusiasmo con cui viene accolto Elements nel Vecchio Continente.
Le soddisfazioni, per questa incarnazione degli Atheist, finiscono però con il ritorno in patria. La loro ultima esibizione insieme è in quel di St. Petersburg (Florida), il 24 ottobre 1993, e nonostante il discreto responso e i piani di un nuovo tour europeo nel novembre successivo a fianco di Agressor e Wargasm, gli Atheist si separano nuovamente per un letale connubio di sfortuna e malcontento interno. Dissantos e Choy sono infatti in rotta di collisione con Shaefer, Emmi e Burkey per questioni finanziarie – vogliono essere pagati immediatamente, ma gli Atheist sono, tanto per cambiare, senza un centesimo. La questione economica sul momento sembra essere risolta quando, giusto una manciata di giorni prima della partenza per il secondo tour europeo, Burkey provoca un disastro che gli costa la possibilità di lasciare gli Stati Uniti: ubriaco in auto dopo aver assunto ingenti quantità di tequila, viene fermato dalla polizia a una stazione di servizio e viene intimato di aspettare che gli passi la sbornia prima di rimettersi alla guida.
Well, while I was sitting there, I was listening to N.I.N. on my car stereo and the battery went dead. Then the tequila started kicking in real hard and I got mad. Somehow I thought it was the police’s fault and I called 911 and told them to give me a jumpstart for my car. They hung up on me. That’s when I became furious and began making threats.
Rand Burkey
Burkey, completamente ubriaco e colmo di collera, comincia a minacciare di far saltare in aria il distributore di benzina e il palazzo di giustizia: viene arrestato immediatamente da una ventina di poliziotti, con l’accusa di «threatening to discharge a destructive device». È anche piuttosto fortunato – con un reato del genere rischia il carcere per cinque anni, ma se la cava soltanto con una multa e la libertà vigilata.
Anyway, I got tired of not getting any money for our music – shows and albums sales, and said «Fuck it!» I have bills to pay, I’ve got a house, car payments etc… Do they expect me to live in the street and go play whenever they ask me to?!
Rand Burkey
L’avventura degli Atheist si conclude così, dopo circa una decina d’anni dal loro inizio a nome Oblivion, tra lutti, nevrosi e dissidi interni, senza un soldo e senza un briciolo del clout che meriterebbero dopo aver concepito tre dei più importanti dischi del death metal floridiano. Dopo l’ennesima delusione, tutti i membri hanno perseguito le loro strade artistiche e professionali individualmente. Shaefer, dopo essersi gettato a tempo pieno nel progetto Neurotica, nel 2003 ha anche rischiato di diventare una rockstar presentandosi per l’audizione per i neonati Velvet Revolver e arrivando nella selezione finale tra soli quattro candidati: il fatto che tuttora racconti questo episodio come un sogno che si avvera la dice lunga su quanto infame il destino è stato con gli Atheist.
Conclusione
È difficile credere a una storia come quella degli Atheist, soprattutto visto che, trent’anni dopo, sono giustamente riconosciuti ovunque come una delle esperienze fondamentali della storia del metal e il loro apprezzamento ha pure trasceso la nicchia del pubblico della musica estrema. Anzi, è anche per gruppi come Atheist che il versante tecnico del death metal è una tra le poche declinazioni del metal considerate à la page anche tra coloro che solitamente non si fanno problemi a bollarlo come un genere sciocco e adolescenziale.
Alla fine, la loro unica colpa – essere troppo in anticipo rispetto alla loro epoca – è stata espiata. Decine di realtà, sorte già a partire dalla metà degli anni Novanta, hanno dimostrato al pubblico che coniugare sonorità estreme a partiture più sofisticate non era un’operazione pretenziosa ma, anzi, una delle più promettenti strade che il metal potesse esplorare. I dischi di Death, Cynic, Meshuggah, Today Is the Day, Dillinger Escape Plan, Gorguts, Ved Buens Ende, Opeth, Human Remains, e chi più ne ha più ne metta – dischi che, in molti casi, sono stati partoriti anche grazie all’esempio fornito dagli Atheist – hanno retroattivamente riabilitato lavori come Unquestionable Presence agli occhi del pubblico, che ne ha finalmente compreso l’importanza e le intuizioni visionarie. L’interesse intorno agli Atheist è quindi aumentato esponenzialmente nei dieci anni successivi al loro scioglimento, tanto da raggiungere infine i membri degli Atheist stessi: le ristampe Relapse dei primi tre album, pubblicate sul finire del 2005, si devono proprio alla sorpresa e all’indignazione di Shaefer nello scoprire che i suoi album, ignorati quando la band era in vita, venivano battuti all’asta su eBay per cifre intorno ai 90 dollari.
A partire da quelle ristampe, gli Atheist hanno cominciato finalmente a riscuotere tutti gli elogi e le celebrazioni che sono mancate loro nei dieci anni in cui hanno calcato i palcoscenici della Florida. Gli attestati di stima hanno cominciato a piovere da ogni dove, pure da fan insospettabili (perfino Marilyn Manson), e le pressioni per una reunion sono diventate sempre più assillanti: nel 2006, Shaefer e Flynn rimettono in piedi la sigla Atheist, insieme a Choy, Burkey e al chitarrista Sonny Carson (del recente progetto death metal di Flynn, i Gnostic, per suonare le parti di chitarra di Shaefer), con l’obiettivo di esibirsi per un paio di date in Europa. Pochissimo tempo dopo, però, Burkey è già fuori per nuovi problemi legali: i concerti in Inghilterra, Italia e Repubblica Ceca dell’estate 2006 vedono già la partecipazione di Chris Baker (anche lui, come Carson, nei Gnostic di Flynn). Il 5 agosto dello stesso anno gli Atheist vengono addirittura invitati a suonare al Wacken Open Air, uno dei massimi festival metal europei – che, per una band che solo quindici anni prima ambiva come massimo risultato a finire il proprio set senza essere fischiata, è un upgrade non da poco.
Back in the day, playing a festival like Wacken was a dream, reserved only for the biggest, most popular, most embraced bands, and not for Atheist. My only memories, for I had been removed from the music scene for so long and had no experiences to replace them, were of scant crowds, scattered applause, boos, and, most often, an air of tepid tolerance for the time and space Atheist occupied on stage until other bands came on.
Steve Flynn
Il concerto – registrato e pubblicato tre anni più tardi dalla Relapse con il titolo Unquestionable Presence: Live at Wacken – non è esattamente imperdibile. Si sente il fatto che il gruppo non suona insieme da troppo tempo (e talvolta non suona da troppo tempo e basta, come Flynn che ha messo da parte la batteria subito dopo la fine dell’esperienza Atheist), che la voce di Shaefer è rovinata dalla mancanza di allenamento, dalle sigarette e dall’alcol, e anche la strumentazione in sé non è irreprensibile (come si può notare anche dal tono del deludente assolo di basso di Choy su Mother Man). È quanto basta però per far aumentare ulteriormente le quotazioni degli Atheist tra un pubblico di qualche generazione più giovane che è completamente ignaro delle loro vicende degli anni Novanta. Chi scrive li ha conosciuti proprio in quel periodo, sull’onda lunga di quel processo di riscoperta.
A questo punto, Shaefer e Flynn si rimangiano anche le parole di sdegno con cui avevano liquidato la possibilità di registrare un seguito ad Elements nelle numerose dichiarazioni degli anni precedenti, pubblicando per la Season of Mist un quarto disco, Jupiter, l’8 novembre 2010. Per l’ennesima volta, gli Atheist suonano con una nuova formazione: questa volta, i soliti Shaefer e Flynn sono affiancati dal solo Chris Baker alla chitarra, mentre Jonathan Thompson sostituisce al basso Tony Choy che, per motivi mai meglio precisati, diserta gli Atheist pochi mesi prima dell’inizio delle sessioni di registrazione per Jupiter, quando la notizia di un imminente comeback album con la formazione quasi-classica sta già rimbalzando da mesi su tutte le webzine. Jupiter, come tutto ciò che riguarda gli Atheist della reunion nel nuovo millennio, più che una dovuta puntualizzazione al discorso già compiuto dal gruppo decenni prima, mai detta per mancanza di tempo e fortuna, suona come il lecito tentativo di capitalizzare sui riconoscimenti, la stima, e la gloria che gli Atheist hanno sempre anelato senza mai ottenere, e che è giunta inaspettatamente dopo anni dall’infelice conclusione della loro epoca classica. Tutto, negli Atheist degli anni Duemila, tradisce la serena pace interiore di chi, dopo mille peripezie, ha trovato finalmente il proprio posto nel mondo.
Non importa quindi che Jupiter sia un album tutt’altro che indispensabile, tragicamente viziato da una produzione che appiattisce le dinamiche del suono e privo dell’urgente magia dei tre dischi classici; non importano tutti i proclami che Shaefer scrive periodicamente dal 2010 su Facebook riguardo un imminente nuovo album degli Atheist che dovrebbe essere il migliore su cui lui abbia mai messo mano; non importano nemmeno i cambi di formazione a cadenza quindicinale cui gli Atheist sono sottoposti fin da quando si sono riformati nel gennaio del 2006, con il solo Shaefer come unico elemento stabile. Per una volta, la sorte sembra aver ripagato – per quanto parzialmente, per quanto tardivamente – una di quelle tante band grandi e uniche della storia della musica rock che si è divertita a tormentare con angherie e sfighe proprio perché grandi e uniche. E se vedere operazioni nostalgiche come Unquestionable Presence: Live at Wacken o Jupiter farsi spazio all’interno del canone degli Atheist è il prezzo richiesto per vedere per una volta un lieto fine, una qualche giustizia superiore ricompensarli di tutte le tragedie, le nevrosi e gli abusi del music business, retribuendoli finalmente con ciò che hanno meritato durante la loro breve vita negli anni Novanta, saremo ben lieti di pagarlo.
Fonti
Per scrivere questa monografia mi sono avvalso, oltre che dei miei ascolti, anche di numerosissime testimonianze dirette da parte dei musicisti dell’universo death metal, così numerose che è impossibile fare una lista completamente esaustiva. Le più essenziali, e senza il quale questo articolo non avrebbe mai potuto essere concepito, sono probabilmente state:
- Le parole di Kelly Shaefer e Steve Flynn, nei libretti delle ristampe Relapse di Piece of Time, Unquestionable Presence ed Elements e nel libretto di Unquestionable Presence: Live at Wacken.
- L’intervista a Kelly Shaefer e Steve Flynn su Snakepit.
- L’intervista a Rand Burkey su Voices from the Dark Side.
- L’intervista a Kelly Shaefer su Voices from the Dark Side.
- L’intervista a Kelly Shaefer e Tony Choy su Metalstorm.
- La pagina Facebook Black Death Nostalgia, per inestimabili contributi grafici e curiosità dell’epoca.