CONGOTRONICS INTERNATIONAL – WHERE IS THE ONE?
Oggi partiamo dalla cover: la musicista Juana Molina ha scelto di raccontare l’esperienza di Congotronics International con una ventina di stickmen che suonano tutti insieme. A guardare le cronache, questo mucchio di gente era esattamente la band che saliva sul palco durante i live del tour del 2011 da cui sono prese alcuni dei brani centrali di questa uscita. Fare i conti con la larghezza dell’organico che si è spesa nel tour è il primo passo per comprendere la musica ipercreativa e monumentale di Where Is the One?
Ma prima di andare al disco concediamoci un ripassino di storia.
Nel 2004 l’etichetta belga Crammed si impegna con un progetto commercial-culturale un po’ esotista (e un po’ no) partito dalle idee di un gruppone di immigrati a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, che si lega sotto il moniker Konono N°1, prende tre likembe (sono dei lamellofoni diffusi in centro-africa) e si mette a suonare prima in strada e poi in studio. Nelle registrazioni in sala i tre likembe e in generale le strumentazioni fai da te vengono distorte in continuazione a causa della qualità della sorgente, in quattro parole è nato un genere. Crammed prende al volo l’opportunità data dalla grana lo-fi ed elettrificata dei likembe e conia un termine per il disco: siamo davanti a un’occorrenza di tradi-modern, che lega la struttura call-and-response tipica dell’highlife su cui si basano i Konono a quelle sonorità più crude e digitali regalate dai likembe distorti: il disco viene chiamato, sapientemente, Congotronics, e apre la strada a una scena di musicisti orbitanti tra Kinshasa e i principali centri cittadini congolesi che cavalcano l’onda eccezionale di popolarità internazionale raggiunta dai Konono N°1. Congotronics diventa anche una raccolta di dischi che descrivono la scena di Kinshasa e in generale della Repubblica: Congotronics 2: Buzz ‘n’ Rumble From the Urb ‘n’ Jungle di vari artisti curato da Crammed, In the 7th Moon, the Chief Turned Into a Swimming Fish and Ate the Head of His Enemy by Magic dei Kasai Allstars, Très Très Fort degli Staff Benda Billi e Beware the Fetish, sempre degli Allstars – senza contare tutte le altre release dei gruppi citati e di altri che girano attorno a questo contesto urbano.
Il fenomeno Congotronics affascina tantissimo tanti luoghi dell’occidente e Crammed riesce a riportare la ricetta formulaica che ha fatto il successo dei Konono in svariate salse, fino a quella che è sicuramente la prova migliore della label dai tempi del primo Congotronics: Tradi-Mods vs Rockers, un divertentissimo disco di remix dei singoli della scena edito nel 2011 che ha chiamato a raccolta artisti dei più svariati background: ci sono Shackleton, Andrew Bird, gli Aksak Maboul, gli Oneida, gli Animal Collective e chi più ne ha più ne metta. Siamo quasi arrivati: in seguito al successo del disco Tradi-Mods vs Rockers, Crammed costruisce un ensemble ad hoc di musicisti che possano portare sui palchi internazionali un’interpretazione più omogenea del lavoro e presentare al meglio tanto i musicisti di musica indie e sperimentale coinvolti quanto le all-star congolesi. La band si compone di elementi da quattro continenti, che comprendono tra gli altri i Konono, i Kasai Allstars, Juana Molina, i Deerhoof, i Wildbirds & Peacedrums, un bordello. In seguito all’esperienza di questo nuovo supergruppo battezzato Congotronics International, il batterista dei Deerhoof, Greg Saunier, si mette a mixare il materiale e dopo un’onesta gestazione di un decennio netto partorisce per Crammed la summa di tutto ciò che è stata la Congotronics International dal 2011 al 2021: un disco che raccoglie le più belle prove in live di questa banda musicale impropria e patcha tutto con svariati lavori in studio che sono susseguiti nella decade, sempre sullo stesso progettone verticale. Juana Molina, come già detto, ci mette la copertina e Crammed il naso e la distribuzione. La conta degli strati che compongono questo disco è un po’ impietosa per chi si mette a calcolare: siamo davanti a un mix personalizzato di una serie di live e registrazioni in studio di un ensemble che interpreta dei brani di un disco che a sua volta è un giro di remix di una serie di dischi che già da soli vogliono porsi come un nuovo modo di intendere la musica popolare congolese. Contate voi, grazie.
Ma all’atto pratico come va a finire, per quanto riguarda la musica?
Non si descrive con agio lo scavallare di euforia e pura gioia che fa capolino nell’iterazione definitiva del progetto Congotronics: l’iter massimalista/democratico del gigantesco ensemble si incornicia in una batteria di brani robusta, rigenerativa e inconfondibile, sia per ciò che è stato registrato sul palco che per ciò che è arrivato direttamente dello studio, tutto filtrato dalla sensibilità di Greg Saunier, che ricama il suo marchio nei timbri che risuonano in cuffia. Il finale della Congotronics International lascia divampare lo spirito tradi-modern del roster di Kinshasa abbandonando definitivamente i mix di Mods vs Rockers e delle uscite più highlife dei Konono N°1 e dei Kasai Allstars, ripetitivi e para-atmosferici: la parte -tronics cede definitivamente il campo di danza a quell’impostazione organica e roboante che va tastata con tutto l’apparato di strumenti elettrici, effettati e apparecchiati direttamente dalla stagione più florida del math brillantato degli anni ’00 (i referenti che salgono dallo stomaco sono sempre quelli: Battles, tUnE-YaRDs, Zammuto) e di quello sperimentalismo freak-psych che ci ricordiamo a grandi linee sotto l’etichetta di New Weird America.
Partendo dal presupposto che nel suo lungo ventaglio di 80 e passa minuti non c’è un singolo momento morto di Where’s the One? in cui le orecchie hanno tempo per annoiarsi o lamentarsi con Crammed per aver portato un prodotto sotto la media, un ottimo risultato dell’ensemble Congotronics International è quello di aver lasciato a chi sa apprezzarli alcuni dei singoli storici di Congotronics nella loro forma più luminosa e coinvolgente. Vari brani, soprattutto quelli in cui interviene la bravissima Juana Molina, hanno un’impostazione sfilacciata e brodosa che ammicca a quella psichedelia generica e disseminata che in altre epoche ha fatto grandi gli Animal Collective (Where’s the One?, Many Tongues in Our Band, Mama’s Way/Above the Tree Line). Altri pezzi sono delle miniere di noise digital-synth da sfida di ballo che motosegano il materiale d’origine in holler selvaggi rigorosamente uptempo, delle imponenti mura di terracotta in cui provano a incastrarsi brevi assoli math da delirium tremens che colorano tutto quanto a pois grazie alle loro increspature elettriche (penso a Banza Banza, ma anche Ambulayi Tshaniye o la più delicata Super Duper Rescue Allstars).
Se vogliamo parlare di come si rimescoli tutto quanto il materiale dei primi dischi di Congotronics possiamo parlare di Kule Kule: nella sua versione del 2004 vedeva un lungo assolo di likembe accompagnato dall’incidenza marziale e ineluttabile delle percussioni; nel remix di Jherek Bischoff di Tradi-Mods vs Rockers era tutta concentrata su un lungo interludio orchestrale a scandagliare la grana e la potenza delle percussioni in originale. Kule Kule Redux è una baraonda delirante e caotica che getta in aria le convenzioni e i ragionamenti e dedica una quantità indefinita di strumentisti a scegliere il proprio percorso tra l’assolo e la pioggia di bombe percussive citata: si aggiungono riti di call-and-response sia nella vocalità che negli strumenti, il mix vagamente lo-fi dovuto alla dimensione live ha un sapore analogico paurosamente speziato dai pensieri in libertà della Congotronics International al completo, tutta presa nel suo jamboree frenetico e, ne sono certo, sudato. Un altro esempio e poi torniamo a noi, GIURO: Enter the Chief, un percorso di briciole di tape music redatto da Woof in Tradi-Mods vs Rockers, un pezzo vagheggiante che ha preso ispirazione dal piacevole debutto dei Kasai Allstars, genera la magistrale The Chief Enters Again. Questa versione macina di una vitalità che supera ogni confine, massacra i limiti del nastro riversandosi direttamente in quella dimensione reale e corale che solo la Congotronics International finora è riuscita a disegnare attorno all’uovo di Virgilio su cui si regge tutto quanto questo universo di contrasti, suoni, racconti, immersioni ed emersioni da quella che è a questo punto una naturale predisposizione alla rimanipolazione ad libitum dell’afropop congolese.
Il connotato volutamente ancestrale di quella che i presskit di Congotronics ha chiamato Bazombo trance music e di cui qui trovate un’approfondita analisi critica era già molto spurio nella prima uscita del 2004 dei Konono N°1. Forse è questa caratteristica che previene che il roster di musicisti congolesi si genufletta alla modernità meditata del lato più primomondista dell’ensemble: rimane fissa la prima impronta fragorosa a partire dalla quale costruire e iterare, lasciando in questo modo un sentire comune a tutti i brani di Where’s the One?, che patteggia una parità culturale giocosa e impattante, grazie a quel nome che nella musica contemporanea solo i musicisti della tradi-modern e pochi altri possono vantare. L’occhio di bue di Saunier ruota in continuazione tra i protagonisti delle Congotronics e tutti i loro emuli e fan, lì presenti in un palese apprendistato finalizzato a scoprire quali alambicchi e corbellerie usa la squadra giusta di Crammed. Il dietro le quinte di tutta questa operazione è caotico e terrificante come ci si potrebbe aspettare da un viaggio così ambizioso: in un’intervista per Uncut il buon batterista dei Deerhoof racconta come non passasse giorno senza che qualcuno scoppiasse a piangere. C’è da dire che una persona piange in media una volta al mese, le persone erano una trentina: dai, ci sta.
A parte gli scherzi: il clima distruttivo e scoppiato che si è respirato nei giorni del tour di Congotronics International lascia a chi ascolta ex post un materiale sonoro che troppo raramente arriva da qualsivoglia esperimento – e non sarebbe mai stata la stessa cosa senza questo benchmark di panico che si riversa senza cipria e trucchi nelle casse di chi ascolta. Alla fine del percorso tutta la calca del palco si sbriglia in un risultato che ha lasciato tutti gli artisti a terra, sfiniti, in una livella di fatiche e follia che, però, si traduce in una marea di onde sonore che hanno del miracoloso. Non si descrive con agio, infatti, neanche quello tsunami di aria fresca che solo un disco così colorato e multipotenziale può restituire, in un’epoca in cui tipicamente siamo incagliati tra uscite mediocri e album particolarmente cerebrali o finti tali, in agguato in ogni anfratto della musica contemporanea. Un po’ perché proviene per lo più da un tempo passato, un po’ perché è un lavoro che si staglia tra i suoi contemporanei come un gigante nella bassa, un po’ infine perché nasce in ogni sua iterazione come gancio tra passato e futuro, già dal primo ascolto di questo cluster di remix di remix di remix siamo rimasti atterriti da quanto si possa essere ancora vibranti, travolgenti, commoventi e senza pensarci due volte l’abbiamo schiaffato nella nostra classifica personale dell’anno in corso: tale è la potenza di convincimento di una raccolta che riesce minuto dopo minuto a stupire, coccolare, ammaliare.
A volte bisogna semplicemente avere il coraggio di dirci che siamo davanti a qualcosa di strepitoso.