KALI UCHIS – ORQUÍDEAS
Allora, sappiamo già come funziona: è gennaio, tutto tace, la neve si posa sulle macchine, nessuno ha voglia di fare un cazzo, la redazione di Livore si sveglia con una sottile lama di luce che entra dalle finestre senza fornire alcun tepore (dormiamo tutti nella stessa stanza), l’industria musicale procede con due dischi ogni venerdì e con i vari save the date per le settimane successive. Chi si prende le vacanze sta tranquillo, dorme sereno, non piglia pesci, zero ansia, la seconda parte dell’ouverture del Guglielmo Tell in sottofondo. Chi non si prende le vacanze e deve spellarsi le mani sulle tastiere pena essere acquisiti da GQ (salvo che poi GQ ti prende lo stesso) si alza dal letto alle 6, si spacca d’ansia, e cerca di capire quale dei grandi nomi ha fatto un disco passabile che si possa promuovere come trovata dell’anno senza farsi mezza domanda su cosa dica tutto ciò dell’anno che sta cominciando. Kali Uchis pubblica nella prima metà dell’anno dai tempi di Por Vida, l’EP che l’ha consacrata al successo: ORQUÍDEAS segue la stessa schedule e ottiene, senza troppo sforzo, quel risultato brillante che solo chi parte a gennaio può ottenere a quel rapporto qualità/prezzo. Non annoiamoci troppo a tracciare la parabola storica dell’artista colombiana-americana, che oltre al suo particolarissimo (perché no, anche avanti) Drunken Babble si presenta piuttosto come una linea orizzontale: Isolation, Sin Miedo, Red Moon in Venus sono incagliati sulla stessa operazione con poche variazioni sul tema, quindi possiamo derubricare tutto ciò che Uchis ha già presentato dentro a un insipido zuppone di R&B contemporaneo, da cui traspare più la figura di una bonne vivante che quella di un’artista con un progetto e un’idea. Poco poco è cambiato nella poetica della musicista negli ultimi 5-6 anni: scurdammoce ‘o passato e confrontiamoci direttamente con questo zircone di pop.
ORQUÍDEAS presenta, in effetti, più di un momento bizzarro e entusiasmante, tutti quanti saggiamente aggregati negli spazi più importanti del disco: l’apertura ¿Cómo así? sa stregare con i suoi break globulari e tutti percussivi da dancehall, costruisce back and forth rotondi e magnetici che aiutano ad attirare l’attenzione e a settare il mood; il principale singolo estratto Te Mata pare rovesciare nel bolero gli obiettivi di revival del doo wop dei primi dischi di Kali Uchis (operazione sempre interessante nell’epoca del pop scotennato di Rosalía o Akini Jing); il finale del disco Dame Beso // Muévete è notevole nella sua venerazione del reggaeton duro e puro e genera più di un sintomo da PTSD nella mente di chi ha dovuto aver a che fare con i balli di gruppo a un certo punto della sua vita. Queste le cose buone. Il prevedibile problema di ORQUÍDEAS è che a Kali Uchis manca semplicemente la benzina per costruire un’uscita capace di rompere le architetture autoimposte di chi sembra essersi consacrato al suono del piacevole e del sensuale, quel dominio composto da un grappolo di sintetizzatori da tendaggio di seta, un cantato la cui espressività si riduce alla nenia da materasso king size, una produzione amapiano/lounge che deve lavorare sul più totale piattume creativo per generare quell’onda di serotonina che si associa all’accoppiata lusso-lussuria. La maggior parte di ORQUÍDEAS si muove proprio in queste acque, si adagia, annoia chiunque voglia qualcosa di più di un sottofondo, con picchi di tenuità come l’insopportabile Pensiamentos Intrusivos, che ripropone per tutto il pezzo la stessa linea in falsetto su di una sezione ritmica egualmente inerte e incerta, una Perdiste che se non fosse per il soundkit elettronico potrebbe essere un brano di Julieta Venegas e una pessima No Hay Ley Parte 2 che mi vergognerei ad ascoltare pure in filodiffusione in una commercial gym. Ups, downs, ma il problema principale di Kali Uchis è la grande sacca di mediocrità in scrittura che spadroneggia nel disco e che si fa strada brano dopo brano solo grazie a scelte dettate dalla convenienza più che dall’ispirazione: qualcuna di queste scelte è musicale e si può intuire dalle parole che ho speso per il disco, ma altre sono completamente al di fuori della sfera dell’ascolto e riguardano la commercializzazione, l’artwork, il network, un ottimo ufficio stampa. Se siete hardcore fan del c.d. Latin pop ORQUÍDEAS (come i suoi predecessori, peraltro) è uno dei dischi migliori che potete trovare in circolazione nel panorama contemporaneo. Se eravate venuti solamente a cercare una big thing di cui parlare in queste settimane post-capitoniane, come credo sia il caso, state sereni: potete sbattervene di Kali Uchis e aspettare che arrivi qualcosa di meglio.