EX WIISH – SHARDS OF AXEL
Come donare a un disco di musica elettronica una dimensione narrativa percepibile durante l’ascolto? Il musicista newyorchese Ben Shirken, dentro fino al collo all’underground della grande mela come DJ, producer, cofondatore dell’etichetta interdisciplinare 29 Speedway e membro del collettivo Nu Jazz, si deve essere posto questa stessa domanda con l’idea alla base di Shards of Axel, suo primo progetto sotto il nuovo moniker Ex Wiish. L’ispirazione di fondo va infatti ricercata nelle grandi avventure videoludiche: a detta di Shirken, l’obiettivo era immergere l’ascoltatore in un’esplorazione di panorami fantastici, distopie lontane e megalopoli dimenticate. Per riuscire in tale intento un solo genere non basta: qualsiasi peregrinazione degna di nota vive infatti di quiete e caos, di ambienti pacifici e situazioni pericolose, di dinamismo e meditazione.
Ne consegue che Shards of Axel debba essere prima di tutto un disco eclettico. Shirken mischia alla perfezione sintetizzatori ambient cibernetici, IDM metallica, beat techno e breakbeat nonché sottilissime timbriche lo-fi, stratificando texture sonore e progressioni ritmiche con la precisione di un orologiaio a delineare panorami di straordinaria vividezza. L’accartocciarsi elettronico di Ashes of Ambivalence e i quieti droni di Web9 – rotti all’improvviso da un synth arpeggiato subito seguito dal beat – riportano alla mente l’infinità cyberpunk creata in Blame! da Tsutomu Nihei, col suo spiraleggiare di torri imperscrutabili dentro spazi sconfinati. Tutto appare alieno, echeggiante in un futuro ormai mangiato dal passato: graffi e porosità su metallo consumato, sabbia grigia che frusta la pelle, ricordi sfocati che saturano l’ippocampo, macerando il passare del tempo fino a far perdere significato alla parola ‘domani’. Per trasmettere sensazioni tanto intense, Shirken si trova a pescare a piene mani dall’eredità musicale di quell’elettronica che da sempre flirta con questo tipo di tematiche (dalla raffinatezza di DJ Spooky alla visceralità impegnata dell’Underground Resistance, dal cibernetico sacrale di Lopatin alla ruvidità sonora dei Boards of Canada), tirando fuori una quantità impressionante di assi dalle maniche. Sintetizzatori materici (Shards of Axel) e violoncelli manipolati (Today, My Friend) si alternano a timbri acidi e impersonali presi in prestito agli anni ’90 (Externa Port); narrazioni robotiche (A Passive Wave) lasciano il passo a intime voci femminili (Like a Stone in Paper). Questi elementi diventano gli utensili con cui vengono cesellati i soundscape del disco, la cui calma contemplativa viene costantemente minacciata da battiti distorti, stridii elettronici, rumori metallici. Shards of Axel è dunque un lavoro molto focalizzato, che utilizza ciascun genere per un fine espressivo ben preciso: la componente ambient apre squarci in un tessuto sonoro altrimenti fitto di input su cui porre attenzione, punti di riposo dai quali poi ripartire verso la prossima tappa; techno e breakbeat dettano passi sempre diversi, stringendo o allentando il senso di urgenza; l’illbient, l’IDM e i passaggi di elettronica più sperimentale descrivono infine il mondo attorno a noi, acquerellando le vignette misticheggianti di Progress Trap oppure tracciando i labirinti scuri di Resident Deceiver.
Grazie al suo piglio da underground urbano, al suo saldo impianto estetico e tematico e al senso di direzione infuso in ciascuna traccia, il cammino tracciato da Shirken funziona egregiamente. Shards of Axel colpisce tanto per la sua forza evocativa quanto per la raffinatezza del design sonoro, segnando così uno degli esperimenti più riusciti dell’anno.