IMPERIAL TRIUMPHANT – SPIRIT OF ECSTASY
Per chi è un minimo appassionato di metal estremo e segue anche solo superficialmente quello che sta avvenendo all’interno delle sue propaggini più sperimentali, il nome degli Imperial Triumphant non sarà di certo nuovo. Per tutti gli altri, basti sapere che negli ultimi anni questo trio ha rappresentato un piccolo terremoto all’interno della comunità metallara: dischi come Vile Luxury (2018) e Alphaville (2020) hanno deformato il black/death metal attraverso la lente di un’iper-tecnicalità convoluta e cerebrale, con occasionali richiami al jazz tanto per la strumentazione (pianoforte, trombe, tromboni, tube) quanto per l’adozione dell’improvvisazione nei propri brani. Se nei momenti peggiori (Alphaville) la loro musica può suonare priva di direzione in maniera frustrante, in quelli migliori (Vile Luxury) svela una poetica capace di restituire una nitida e credibile fotografia del declino – pur ancora ammantato di sfarzo scintillante – della loro New York. Il particolare immaginario da cui attingono gli Imperial Triumphant, grandioso e al contempo decadente, è certamente esotico nell’ambito metal, eppure ben si sposa con un suono tanto frastornante.
Spirit of Ecstasy, uscito questo luglio, è il quinto album degli Imperial Triumphant – il terzo, volendo considerare solo il loro “nuovo corso” più apertamente jazzy e sperimentale – e prosegue con convinzione sul sentiero tracciato da Vile Luxury e specialmente da Alphaville, già a partire dai suoi dettagli macroscopici: esce di nuovo per Century Media; è di nuovo prodotto da Trey Spuance e, ovviamente, da Colin Marston (ma ormai farebbe notizia un disco di metal estremo d’avanguardia non prodotto da quest’ultimo); ospita di nuovo un vasto stuolo di collaboratori illustri. Addirittura vanta un brano come Bezumnaya, che prosegue in maniera evidente il discorso intrapreso nell’esperimento estemporaneo di Chernobyl Blues (da Vile Luxury): da quel pezzo vengono riprese la scelta di adottare testi in russo ad opera di Sasha Davydova, la performance vocale depravata di Yoshiko Ohara e il controcanto del coro di dannati in sottofondo, i tempi rallentati che sembrano impantanarsi nei fumi asfissianti della zona industriale di qualche metropoli. In generale, gli Imperial Triumphant si ritrovano ancora una volta a declinare la loro formula già ben strutturata nei due dischi precedenti, con il sound vorticoso tipico del death metal post-Portal contaminato dalle bislacche tentazioni sperimentali del jazz metal dei progetti di John Zorn, il tutto condito da spessi strati di rumore mutuato dal noise (altro omaggio alla gloriosa tradizione musicale di New York). E per spiegare per sommi capi come suoni Spirit of Ecstasy non ci sarebbe davvero bisogno di aggiungere altro.
Tuttavia, Spirit of Ecstasy è un lavoro che offre diversi, validi motivi per essere ascoltato e per legittimare la propria esistenza in un panorama che comunque può già vantare un modern classic del calibro di Vile Luxury, e che possono essere riassunti più o meno così: è un disco registrato bene ed eseguito meglio. Pur muovendosi nel solco stilistico dei due lavori precedenti, brani come Chump Change, Metrovertigo e Maximalist Scream beneficiano dell’esperienza maturata negli ultimi anni dagli Imperial Triumphant, ormai dei maestri nel gestire il flow della propria musica ora che hanno anche imparato a disinnescare, quando serve, l’intensità dei momenti più massimalisti con decelerazioni e digressioni meno assordanti che mantengono comunque intatta la tensione narrativa dei pezzi: assoli di chitarra jazzati, escursioni solistiche del basso con feedback in lontananza, su Maximalist Scream addirittura una sezione cosmica da cui emerge l’inconfondibile voce di Snake dei Voivod. Contando anche scelte molto felici in cabina di regia da parte di Marston e Spuance, che danno un volume più corposo ai suoni nel registro più grave e delineano con nitidezza il timbro di ogni strumento, anche nelle parti più dense, l’ascolto di Spirit of Ecstasy risulta molto meno faticoso di quello di Alphaville, che invece appariva così caotico e fitto di eventi da apparire impenetrabile – perfino piatto a livello di dinamiche.
Sarebbe però impietoso derubricare Spirit of Ecstasy come un mero more of the same, per quanto professionale e competente possa essere la sua realizzazione. Anzi, in diversi brani gli Imperial Triumphant si impegnano attivamente per cercare di trovare nuove risposte creative – alcune mai sentite prima, all’interno della loro discografia – al problema di inserire cori, strumentazione jazz, elettronica e arrangiamenti d’archi nel metal estremo. Possono essere gli ottoni (tromba e trombone) e le tastiere che su In the Pleasure of Their Company vengono inglobati con coerenza all’interno del soundscape metal, sovrapponendosi a delle parti jazzate di basso e batteria che suonano come una distorsione infernale delle classiche ritmiche del bebop; o possono essere le interferenze elettroniche che affiorano qua e là su Death on a Highway e soprattutto nella più cinematografica Tower of Glory, City of Shame, spingendole verso i territori di terrorismo sonico dei Flying Luttenbachers e dei Naked City di Torture Garden. È un cross-over stilistico estremo e delirante, solo parzialmente mitigato da qualche soluzione estemporanea – come gli autocompiaciuti assoli di chitarra di Alex Skolnick e di Trey Spuance su In the Pleasure of Their Company, dalla riconoscibile cifra stilistica guitar hero anni Ottanta, o ancora le parti di lead guitar più melodiche e atmosferiche che squarciano la cappa soffocante di distorsioni su Tower of Glory, City of Shame.
Ma la verità, ed è forse questo il motivo per cui Spirit of Ecstasy rappresenta un così gradito ritorno, è che al di là di concept tanto seriosi e critici delle metropoli della società capitalista, ogni nota di questo disco risuona comunque di un umorismo sardonico e tongue in cheek, come se gli Imperial Triumphant fossero per la prima volta completamente consapevoli di quanto over the top siano le loro maschere, le loro copertine, la loro stessa musica – il che, paradossalmente, finisce per rendere molto più digeribili le loro velleità più pretenziose. È una sensazione che trova la sua più eclatante conferma nell’opulenza di un brano come Merkurius Gilded, con arrangiamento struggente di archi in apertura, coro tragico sul finale, e in mezzo un assolo di sax soprano di Kenny G (sì, proprio il sassofonista che per milioni di appassionati è sinonimo di smooth jazz d’ascensore). Guardatelo come shredda nel video di lancio con la sua maschera antigas in mezzo a gente con capi oscuri e maschere d’oro che suona il metal più inintelligibile possibile, tutto all’interno di un salotto arredato alla Settecentesca, e chiedetevi: è davvero possibile che gli Imperial Triumphant non si stiano divertendo un mondo a suonare questa musica?