SOTTO IL 7 NON È VITA: LO STRANO CASO DI BILLY WOODS

“Somewhere in the buildin’, someone, somewhere makin’ beats, muffled
Cover the mouths of children when you hear the beast, shuffle
To another door, somethin’ scuttled along the floor
Belt buckle whip you raw, stood up all night
Every plan had a flaw
Pried every board from the floor
Pride before fall but he fell short”

Houti (Hiding Places)

Se qualcuno volesse catalogare le varie tipologie di performer hip hop, usando come criterio la matassa di informazioni sommarie ottenibile dalle tematiche affrontate in testi e musica, dall’estetica generale, dal flow e dal tipo di scena in cui ciascuno si colloca, probabilmente basterebbe questa manciata di archetipi: 

  • L’edonista
  • Il criminale
  • Il Maestro
  • Il businessman
  • Il predicatore
  • L’intellettuale
  • Il reietto

Al contrario di altri generi musicali, dove questi identifiers – pur rimanendo in qualche modo presenti – vengono stemperati dalla minore verbosità, dalla minore importanza riservata allo status e da un pubblico magari meno dedito al culto della personalità, l’hip hop ha sempre amato la mitizzazione delle sue figure rilevanti, nonché la costruzione scrupolosa di un olimpo in cui far risiedere gli artisti più significativi. Alcuni musicisti hip hop giocano questo gioco per decenni, finendo per diventare grottesche caricature di loro stessi; altri, più intelligenti o forse con meno scrupoli, piegano il gioco a loro vantaggio, manipolando le narrative e le informazioni che arrivano al pubblico con strategie degne delle migliori agenzie pubblicitarie. Per usare due personalità vicine tra loro, esempio della prima classe di persone potrebbe essere Snoop Dogg, esempio della seconda Dr. Dre. Tra gli archetipi che ho elencato sopra, quello del reietto è un po’ il calderone dove, convenientemente, finiscono tutte quelle personalità schive, quegli artisti per cui si farebbe fatica a inserirli in una scena, sia per le loro caratteristiche personali che per quelle della loro musica. Se infatti, che so, doseone oppure Aesop Rock possono essere piazzati tra gli intellettuali senza troppi dubbi, MC Ride dove potrebbe andare? Naturalmente questo giochetto lascia il tempo che trova, ma il principio che gli sta alla base è degno di essere preso in considerazione, poiché ridurre certe attitudini ai minimi termini può servire a dissipare almeno in parte l’aura mitologica che sembra circondare alcuni artisti, a mostrare che non sono queste figure dal carisma imperscrutabile, ma solo uomini a volte un po’ troppo ubriachi di elogi. Billy Woods, rapper attivo ormai da un ventennio, è forse il reietto per eccellenza: faccia pixelata, dischi autoprodotti, stretta cerchia di collaboratori abituali, e una prospettiva sulla vita da cane randagio. La sua prolifica produzione – oltre 11 album a suo nome, una ventina di progetti contando anche tutte le varie collaborazioni – è un affare di rara consistenza, un gigantesco blocco di tufo scolpito senza alcun fronzolo da sedimenti lavici di impossibile attribuzione. Questo corpus musicale in cui ci addentreremo ha secondo me una singola, incredibile peculiarità: è sempre e solo più che sufficiente. Il famoso 6.5/10, che a scuola veniva dato dal professore severo per riconoscere qualche indiscutibile merito, ma fiaccare qualsiasi tipo di vero entusiasmo. billy woods (che non a caso si firma tutto in minuscolo) non ha mai prodotto un disco meno ispirato che strappa magari una sufficienza risicata, né un progetto davvero brillante capace di imboccare il sentiero dell’eccellenza. Riuscite a immaginare quanto sia improbabile esistere in questa dimensione, senza alcuna eccezione, per ben oltre un decennio? Metto intanto le mani avanti dicendo che questa è, ovviamente, soltanto una mia opinione. Ci sono persone che reputano billy woods il messia dell’hip hop underground, ci sono persone che lo odiano. Non ho pretese di oggettività nella mia analisi, voglio solo parlarvi di come ho conosciuto e imparato ad apprezzare un musicista che non mi ha mai davvero stupito ma neanche mai deluso, di come ho trovato rifugio in una musica ossimorica: prevedibilmente sorprendente, noiosamente interessante, comunemente speciale.

“Clouds cleared, I’m looking at the city like jihadis in a cockpit”

Paraquat (Church)

La vita di billy woods si spende tra tre luoghi: Washington, dove è nato; lo Zimbabwe, dove ha passato l’infanzia seguendo il padre; New York, dove si è trasferito per andare all’università e dove è poi rimasto. A livello musicale, la sua formazione è avvenuta nella seconda metà dei nineties, in un’epoca di esplorazione e ammodernamento del linguaggio hip hop che avrebbe poi portato ai dalek, alla anticon., ai Cannibal Ox. In quel periodo, il genere stava davvero cominciando a transcendere i luoghi in cui era nato e le voci che lo avevano reso popolare, accogliendo persone con mentalità e gusti più eclettici e incorporando così tutta una serie di influenze provenienti dalla musica elettronica come dal rock più underground; la coalescenza di tutti questi input stava formando un nuovo modo di raccontare i problemi di sempre. Woods, classe ’77, non pubblicherà niente prima del nuovo millennio, ma già nel 1996 si accompagnava a Vordul Mega dei nascenti Cannibal Ox, che lo incoraggiò a scrivere le sue prime rime – i numerosi contatti col fertilissimo panorama hip hop newyorchese lo avrebbero poi gradualmente portato a interessarsi sempre più alla creazione di musica. 

Durante i noughties, nonostante un paio di release a suo nome (Camouflage nel 2003, The Chalice nel 2004) e tre dischi come parte del duo Super Chron Flight Brothers, la musica di billy woods era ancora ben distante dall’hip hop aspro e schivo su cui si sarebbe adagiato nella decade successiva; molto semplicemente, Woods doveva ancora trovare la sua voce, e pertanto i lavori prima di History Will Absolve Me, sebbene rimangano un ascolto interessante (anche per il grande numero di feature dei rapper della scena newyorchese, e certe barre incredibili di Vordul Mega), esulano dalle considerazioni di questo articolo. Proprio History Will Absolve Me (2012) serve invece come punto di partenza per iniziare a descrivere le caratteristiche fondamentali della musica di Woods: su tutte un flow plastico, con la cadenza violenta di chi vuole farti rimanere attaccato a ogni rima rallentando e accelerando ad arte la delivery, scandendo alcune parole e mangiandosene altre, rendendo i versi una strada accidentata da cui è impossibile distogliere l’attenzione. Questo modo di rappare resterà sostanzialmente lo stesso per tutto il resto della sua carriera, lasciando invece la timbrica della sua voce e i beat liberi di mutare da progetto a progetto, accordandosi ai produttori con cui collabora e alla naturale progressione della sua direzione artistica. Su History Will Absolve Me le basi sono infatti una mistura particolare – anche se un poco ingenua – di elettronica graffiante e rock quasi garage, con ritmiche scomposte che passano da fulminei inserti quasi drum & bass a pattern che sembrano usciti da qualche disco IDM dei più storti. Nonostante le timbriche un po’ sbiadite e la goffaggine di qualche pezzo, si tratta di un progetto già personale e più che degno. I testi sono incendiari e appassionati, con Woods in perenne (e precario) equilibrio tra una coscienza sociale indignata e quel nichilismo che nasce quando si conosce la storia e la si vede ripetersi. Questa battaglia interiore scandisce il passo di tutte le sue release, impregna i panorami da lui descritti e le immagini che crea. Dour Candy (2013) vede invece il beatmaking di Blockhead accompagnare billy woods verso un hip hop più solido e conscious. I ruoli si invertono: in questo progetto sono le basi ad essere più coese ed interessanti, con dinamiche gestite magistralmente e una malinconia di fondo raffinata ed espressiva, mentre il rapping appare invece vagamente avvizzito, come se Woods fosse un poco fuori posto, incapace di dare il meglio di sé. Non è quindi un caso che in Today, I Wrote Nothing (2015) il rapper newyorchese torni in parte ai beat percussivi e minimali del 2012, stavolta meglio modellati e incorporati nel tessuto musicale, nonché alternati a boccate d’aria fatte di sintetizzatori soffusi e bassi caldi. Le numerose tracce (24 per 53 minuti) e le grandi differenze di atmosfera tra un brano e il successivo fanno sembrare questo lavoro più un’interessante collezione di schizzi che un progetto dal fine ben preciso; queste caratteristiche sembrano corroborare le circostanze in cui l’album ha visto la luce, un periodo di blocco artistico superato anche grazie alla lettura del russo Daniil Kharm, autore di un’antologia di storie brevi da cui il disco prende il nome. Nonostante la poca programmaticità, anche questo approccio sembra avere un senso nel grande schema delle cose, creando un lavoro più eclettico e facendo luce sulla duplice vita artistica che il billy woods pre-Hiding Places sembra condurre – spaccato tra l’elaboratissimo e coeso rap à la Aesop Rock (con cui peraltro collabora spesso e volentieri) e un hip hop più strano e sbottonato, che lo vede incespicare furiosamente cercando di fare da collante a beat dilaniati. L’ultimo disco di questo periodo vitale è Known Unknowns (2017), dove Woods si affida di nuovo a Blockhead per la produzione – e pure ad Aesop Rock che presta un paio di basi, oltre che una feature. Arrivato a questo punto, billy woods ha ormai acquisito la capacità di entrare dentro a questo tipo di beatmaking più schematico senza fare alcuna fatica, e contrariamente a Dour Candy lo vediamo qua rinchiudere perfettamente a suo agio l’esplosività della sua delivery dentro i confini delle percussioni, caricando i beat fino a farli scoppiare. 

“Had the talent, missed your shot
Hard one to swallow, but it can’t be what it’s not
No intricate plot needed to put you in a box
Whether pacing or laid out front the congregation
Anyone could get knocked”

Groundhogs Day (Known Unknowns)

Hiding Places (2019), è forse il primo lavoro davvero maturo di billy woods. Il disco, stavolta nelle mani del producer di Los Angeles Kenny Segal, vede il rapper newyorchese infilarsi ad arte nell’awkwardness di basi grigie fatte di sintetizzatori traballanti e percussioni intermittenti. Il rapping di Woods respira, sputando gli ormai tipici paesaggi di desolazione urbana, rabbia, ingiustizia e nichilismo. Tra tutti i suoi progetti questo è probabilmente il più bilanciato, un disco che – visto alla luce della sua produzione successiva – rappresenta la transizione verso una musica più rarefatta, importante passo verso un’idea di hip hop ridotto ai minimi termini, fatto di pochi elementi perfettamente cesellati.  

Sin da History Will Absolve Me, Elucid è sempre stato collaboratore fisso di billy woods. Insieme formeranno il progetto Armand Hammer, anch’esso criticamente acclamato e qualitativamente solido. Le dinamiche tra i due sono talmente consolidate che non c’è una grandissima differenza tra i dischi del duo e quelli solisti di Woods; Haram (2021) è probabilmente il lavoro che gli si distacca di più, anche grazie alla produzione luccicante e raffinata di The Alchemist. In questo caso, le timbriche cristalline si pongono in netto contrasto al roco pontificare di billy woods, ma Alchemist è bravo ad assecondarlo dando una dimensione ossessiva a molti campionamenti (Indian Summer) o manipolandoli in modo da renderli più sfuggenti e angosciosi (Peppertree). In generale, il progetto Armand Hammer è l’ennesima testimonianza di come Woods riesca ormai a rimanere sempre fresco e attuale, sia nei suoi dialoghi con un artista che lo accompagna da un decennio sia nel metabolizzare nuovi suoni e approcci, piegandoli al volere della propria identità espressiva. Allo stesso tempo, questa costanza incrollabile fa sì che anche un progetto con nome diverso e producer diversi non ampli granché la sua proposta musicale. 

Il 2022 vede la produzione solista di billy woods concretizzare la rarefazione a cui ho accennato quando parlavo di Hiding Places. Le basi diventano più asciutte e minimali, con beat quieti posti quasi in sottofondo e arrangiamenti simili più a scricchiolii ritmici che effettive parti strumentali. C’è una nuova solidità in questa evoluzione, una maggior coesione. Aethiopes (2022) prende tale approccio e lo coniuga egregiamente: la delivery aggressiva e masticata di Woods si fa più lenta e ponderata, col rapping che adesso siede sopra al tessuto musicale senza più attaccarlo. Se prima la cadenza di billy woods era quella di chi guada una palude senza fine, adesso egli sembra camminare sopra l’acqua melmosa, senza costrizioni eppure ancora più stanco. In linea con questa nuova attitudine, i testi sembrano spaziare tra le orazioni segrete di chissà quale società nascosta e quei deliri fantastici che i senzatetto gracchiano a volte parlando tra sé e sé. Woods sembra essere ormai completamente assorbito nel suo mondo, sempre più distante dalle tribolazioni di chi vive all’interno della società – paradossalmente, questi sono i dischi che stanno ottenendo più riconoscimento internazionale. 

“Black astronaut, cop a space suit and jet off my steps
Challenger launch burnin’ bright, burn to death
Black boy burned crisp, pursed black lips
Burn in the firmament, charbroiled, catch the hair
Black marionettes dance limp over the pit
The kindly ones distant as the winter’s sun
A mad woman whistlin’, you can hear it if you listen
That’s that empty pipe hissin’, that’s him crying and twitchin’
That’s the vanishing point in the distance”

No Hard Feelings (Aethiopes)

Sempre seguendo questo nuovo modus operandi, uno dei dischi più particolari nella produzione di Woods è Church (2022). L’album è interamente scandito dall’incespicare di beat su sample sbiaditi che, come anticipato molto efficacemente dalla copertina, evocano panorami industriali di ruggine e polvere, vecchie costruzioni abbandonate delle quali è quasi impossibile carpire l’identità passata. Le voci nei campionamenti sono come colte di sorpresa, registrate in modo da distinguere solo mozziconi di parole o sospiri sfuggenti – sono, appropriatamente, i fantasmi che infestano le costruzioni sopracitate. Sta a billy woods e gli altri MC dar corpo a una musica così scheletrica, compito non banale che però viene eseguito egregiamente: i versi sono arguti e ben congegnati, i flow interessanti e personali. La chiarezza con cui vengono comunicati i messaggi e le immagini del disco si pone quindi in netto contrasto con la musica sottostante, con basi che finiscono quasi per assumere le vesti di droni distanti a ipnotizzare l’ascoltatore, aumentandone la concentrazione, rendendolo più ricettivo.

“I painted houses all summer, they paid by the shift
My boss was an enterprisin’ white kid
Eagle-eyed everything you did – shit gig, but I didn’t quit
MJG and 8Ball spittin’ out the whip, spliffs with kief at the tip
It felt sleepy at night, but I liked that, felt like you could relax
Like you could disappear, like I wasn’t surrounded by the past”

Falling Out the Sky (Haram)

Nei suoi ultimi progetti, billy woods ha definitivamente assunto l’aspetto di santone scontroso e trasandato, un predicatore di un’oscura religione con rime come sermoni da contrapporre a una società incomprensibile. Durante la sua carriera ha rappato storie di vita vissuta, elucubrazioni sulla società che lo circonda, visioni febbrili di sogno, caustiche opinioni politiche, nichilistiche dichiarazioni d’intenti, creando a tutti gli effetti un proprio universo. Gli artisti hip hop più sofisticati invecchiano in una maniera davvero particolare: ci troviamo di fronte a persone che anno dopo anno mostrano al mondo i loro pensieri e la loro visione delle cose in maniera molto meno simbolica e fumosa rispetto agli artisti di altri generi. Dieci dischi di billy woods significano migliaia e migliaia di parole, un fiume di opinioni e immagini e giochi linguistici e idiosincrasie che finiscono per creare un rapporto del tutto particolare con gli ascoltatori regolari. Allo stesso tempo, essendo la parola uno strumento dal significato molto più immediato di una linea di chitarra o un pattern di batteria, è impossibile non perdersi in una tale mole di materiale, impossibile non pensare che tutta questa montagna di versi non sia semplicemente un rimasticamento di tematiche e situazioni già affrontate in precedenza. D’altro canto se consideriamo soltanto il flow, disinteressandoci di ciò che viene detto, perdiamo inevitabilmente un aspetto significativo dei dischi, e abbiamo meno armi per capire il valore di un artista come billy woods. Ovviamente questo problema salta fuori per molti altri rapper precedenti e successivi, ma in un certo senso diventa ancora più difficile farci i conti quando si ha a che fare con un musicista così consistente dal punto di vista qualitativo. Per quanto mi riguarda ho scelto una via di mezzo: sento i dischi di Woods concentrandomi solo superficialmente su ciò che viene detto, drizzando le orecchie quando per un motivo o un altro alcune frasi catturano la mia attenzione; se poi mi sento ispirato, posso andare a riguardare i testi per capire come li struttura, che tipo di umorismo ha, cosa cerca a livello lirico, e questo aiuta anche a rendere meno annosi gli ascolti futuri. 

Soffermandoci ancora sulla mole di materiale con cui abbiamo a che fare, un altro problema con questo tipo di musica è in tutta franchezza il fatto che non è così unica. Un discorso analogo a quello fatto per billy woods si potrebbe probabilmente fare per un altro rapper newyorchese, Ka, che a livello tematico ed estetico segue binari molto simili. Prendiamo il 2022: durante l’anno sono usciti due progetti di Ka, Languish Arts e Woeful Studies, e tre progetti di billy woods – Aethiopes, Church e WHT LBL come Armand Hammer. Tutti questi lavori sono molto vicini qualitativamente parlando, hanno bei beat e belle rime, ma mancano di qualcosa che possa far spiccare uno sugli altri, e cadono inevitabilmente nella trappola più grande per questo genere musicale: l’essere semplicemente la somma delle loro parti. Ho scritto all’inizio dell’articolo “musica ossimorica”, e in un certo senso questa espressione cattura quanto è controintuitivo il mio apprezzamento per essa; ascoltando billy woods sono frustrato perché vorrei di più da un artista evidentemente molto capace, eppure dopo tutti questi anni sono anche grato del fatto che non cambi mai, che io possa mettere su un suo nuovo lavoro sapendo di non trovare sorprese, belle o brutte che siano, ma solo un nuovo capitolo, nuove idee semplici, nuove piccole innovazioni immerse in un contesto ormai molto familiare. Qua sta un altro degli innumerevoli controsensi: una musica senza dubbio sofisticata dal punto di vista tematico ed estetico diventa in realtà una sorta di muzak da ascoltare per spegnere la parte del cervello coinvolta nell’incontro/scontro col nuovo. Il mondo cambia, la società vortica vertiginosamente intorno a me, la vita va forse troppo veloce per i miei gusti. Ma quando ho bisogno di qualche bel beat e di una voce che capisca questo ripetersi infinito degli eventi saprò sempre dove guardare. 

“The guests start having doubts, the host nowhere to be found
It’s ghosts in the building’s bones, so many skeletons in the ground
When everything collapse, he just melt into the crowd
Suitcase packed, melted down the crown
But a haven’s only safe as long as they want you around
Tomorrow it’s no tellin’
Hollow when you done sellin’”

Asylum (Aethiopes)
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David Cappuccini
David Cappuccini