LUIZA BRINA – PRECE

n/a

2024

Chamber Folk, Nova MPB

Ci sono alcuni dischi che tentennano nella soglia tra ciò che è normale e ciò che è fuori dal mondo. Un ampio mazzetto di uscite che si riversano nei nostri padiglioni anno dopo anno, che a loro volta possono essere classificate in diverse specie, dal disco rock tintato avant-prog al rap suburbano montato a neve in produzione. Un seme intero di questo mazzetto è dedicato a quelle uscite che provano ad andare di traverso ad un progetto che alle fondamenta è pop o folk, leggero, eminentemente ascoltabile, allo stesso tempo carico di passaggi intermedi che impongono un “ah, però, vedi”. Da un lato questa puntuale rappresentazione della musica leggera declinata in zona chamber lascia il tempo che trova, e qui intendo: lascia -davvero- il tempo che trova: piccole gemme di ascolto gioioso e affascinato che magari lasciano un solco a fine anno ma che nel grande gioco della storia della musica rimangono accantonate, a vivere nascoste, magari resuscitate qui e lì da un tiny desk o da una collaborazione con artisti più blasonati nel circuito mainstream. Owen Pallett, Cosmo Sheldrake, Sílvia Pérez Cruz, i primi nomi che mi vengono in mente quando ragiono su dei folksinger che hanno deciso di arricchire la propria poetica con scampoli di orchestra, e una semantica diversa dalla molle canzone intimista à la Carrie & Lowell. Quest’anno tocca a Luiza Brina rinfocolare la teda di questo tipo di cantautorato, che per categoria filerà un po’ indisturbato dagli allori e dagli strali della critica ma che non è il caso di lasciarsi sfuggire, soprattutto se le cifre stilistiche che vi ho inquadrettato risuonano con i vostri gusti. Prece è il più recente capitolo di un progetto più che decennale di messa in un musica di preghiere laiche (delle Oração), delle poesie semplici e delicate, appoggiate sempre su una decoratissima sezione strumentale curata da un’orchestra belorizontina piuttosto corposa – quartetto di legni, quartetto di ottoni, cinque archi, svariate percussioni e Brina stessa alla chitarra classica. Il campo largo dell’orchestra, fortunatamente, viene lasciato spesso in attesa, le composizioni ci tengono a lasciare che la palla passi tra le singole sezioni con un interplay intelligente e netto, a perseguire l’obiettivo più intimista della predicatrice. Laddove gli ottoni partecipano al progetto di folk da camera dando una rotondità molto piacevole, ma anche molto familiare, i passaggi più magnetici di tutto l’album sono costruiti con gli incroci, i trilli, le cuciture che arrivano dai clarinetti e dagli archi (Oração 1, Oração 19). È in queste situazioni che l’atteggiamento di Brina si scioglie dalle sue influenze MPB e jazz pop e rinasce sotto un segno fiabesco e pixie che ricorda le parti strumentali delle versioni accessibili di Joanna Newsom, quasi a gettare un ponte tra la duttile cuna sudamericana e il mondo anglofono, più abbottonato e signorile. Prece, così come i precedenti Tão tá e Tenho saudade mas já passou (anche questi da recuperare), si fa anche carico di varie collaborazioni di peso: tra cui spicca soprattutto la messicana Silvana Estrada (in Oração 2), nome famosissimo che però aggiunge molto poco all’alchimia del disco, portata avanti molto meglio dal dialogare romantico con gli altri brasiliani coinvolti, soprattutto la vanguardista Iara Rennó in duetto su Oração 19, il vellutato e attento Sérgio Pererê su Oração 13 e la ruvida, splendida Isabel Casimira in Rainha Belinha entoa Velhos de Coroa. Luiza Brina è capacissima di amministrare con grande grazia tutte queste anime nel suo dipartimento orchestrale, riuscendo a costruire una piccola, morbida macchina di Goldberg che lascia scintillare qui e lì le sue ambizioni di nova MBP, il trasparente affetto per le proprie radici, la capacità di unire gli strumenti del jazz pop, della classica contemporanea e del folk brasiliano a grande vantaggio di chi ha bisogno di un disco come questo. Fate buon uso di questo attrezzo.

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Alessandro Corona M
Alessandro Corona M