PoiL Ueda – PoiL / Ueda
Prima di tutto, qualche presentazione. I PoiL sono uno dei tanti nomi che popolano l’affollatissima scena avant-prog continentale europea: nello specifico, loro vengono da Lione e nelle loro composizioni hanno innestato sia i ritmi che gli impasti vocali del folk medievale francese, in particolare quello occitano e provenzale – e questo è più o meno tutto ciò che li distingue dalla caterva di gente che si cimenta in quel tipo di musica impestatissima, distorta, finanche metallica che in certi luoghi si ostinano a chiamare brutal prog. Se ascoltate il loro Sus del 2019 che finora rappresenta il loro lavoro più “celebrato” (nel senso: da chi è terminally online tipo me) vi renderete presto conto quanto la frequente adozione di canoni e polifonie della musica dei trovatori – che comunque ha più di qualche assonanza con roba tipo gli Extra Life – sia l’unico elemento davvero originale in una formula avant-prog che per il resto gioca, comunque con competenza e professionalità, con più o meno tutti i topòi del non-genere. Dall’altra parte, abbiamo invece Junko Ueda, che proviene da Tokyo e vanta un’educazione musicale quanto più lontana dal progressive (e dal rock in generale) si possa immaginare. Ueda è, innanzitutto, una delle più note allieve di Kinshi Tsuruta, probabilmente la più importante e celebrata suonatrice di satsuma biwa di tutta la storia della musica giapponese a prescindere dai generi (è stata pure una delle principali interpreti delle composizioni per biwa di Toru Takemitsu). La sua formazione l’ha portata a studiare sia il canto shōmyō sia la biwa nello stile usato nello heikyoku, che è il nome con cui si indica quel genere musicale diffusosi intorno al XIII secolo basato sulla recitazione cantata di passi dal poema epico giapponese Heike Monogatari, e di cui proprio Tsuruta è stata una delle massime esponenti. Da anni Ueda vive in Europa, e ha collaborato anche con nomi come Jordi Savall e Yo-Yo Ma, tra gli altri: bella lì.
Da qualche anno, i PoiL e Junko Ueda hanno cominciato a unire le proprie forze suonando una musica che – avrete già capito – ambisce a trovare un punto di incontro tra la musica cerebrale e post-moderna dei primi con la tradizione secolare giapponese incarnata dalla seconda. I più attenti avranno potuto udire il primo vagito di questo progetto nel 2021, quando era apparso su Bandcamp un breve teaser di nemmeno nove minuti (io, ovviamente, prima di mettermi a scrivere questo pezzo non ne ero a conoscenza); per tutti gli altri, da marzo c’è la possibilità di ascoltare direttamente l’album d’esordio PoiL / Ueda, che nell’arco di mezz’oretta scarsa di musica offre due possibili e distinti approcci al problema di coniugare due generi così distanti geograficamente e temporalmente.
Nelle prime tre tracce, che corrispondono alla rivisitazione delle prime tre parti della sutra buddhista Kujô Shakujô, il rapporto tra il canto shōmyō e l’arrangiamento rock pare di tipo squisitamente parassitario. Gli strumenti dei PoiL sembrano impadronirsi lentamente, ma inesorabilmente, della scena come un morbo che si diffonde nel corpo infetto, perché durante il primo movimento i vocalizzi antichi e solenni di Ueda sono sostenuti praticamente soltanto da un bordone elettronico di tastiere, che riecheggia la sacralità e il misticismo alla base del pezzo originale. Gli occasionali arpeggi di chitarra a malapena abbozzati, o i sibili elettroacustici che si odono sempre più frequentemente a partire dalla seconda metà, o ancora gli accenni percussivi con sfarfallii di distorsione sul finale sono soltanto le prime avvisaglie di un intervento più pervasivo degli strumenti dei PoiL nella seconda traccia – che però, per il momento, si limitano a un ruolo atmosferico, con il tema ostinato di chitarra e il battito incessante delle percussioni a dettare il ritmo sotto delle arcadiche e celestiali evoluzioni di tastiera. Soltanto il terzo movimento – preannunciato dalla coda dissonante della seconda parte – si apre infine a un pezzo avant-prog vero e proprio. Forse si paga leggermente la rottura della dimensione ascetica dei primi due brani, ma il passo metrico più frammentato e le più ricche partiture di questa sezione, costituite da contrappunti e intrecci cerebrali di riff di chitarra elettrica distorta, evoluzioni pirotecniche di basso fretless, tastiere che abbracciano lo spettro timbrico più ampio possibile arrivando a lambire i suoni di chissà che idiofono giapponese, rendono il terzo segmento di Kujô Shakujô comunque interessante.
Le ultime due tracce di Poil / Ueda preferiscono invece un rapporto più dialettico – e, di conseguenza, più intrigante e originale – tra rock e musica giapponese. Insieme, formano un’edizione abridged del classico Dan No Ura. È uno dei momenti chiave dell’epopea dell’Heike Monogatari – narra la sconfitta del clan Taira nella battaglia navale di Dan-No-Ura, che sancì di fatto la fine della guerra Genpei e la vittoria del clan Minamoto – ed è per questo uno dei brani heikyoku più noti, anche al pubblico occidentale. Tsuruta ne registrò una celebre versione nel 1972, edita nel 1991, e Ueda stessa ne ha incisa una versione pubblicata poi nel 2002: entrambe si distinguevano per un approccio particolarmente vivido e sanguigno sia dal punto di vista narrativo che strumentale, con momenti in cui il suono della biwa appariva dissonante e quasi distorto dall’aggressività dello strumming e dall’utilizzo di tecniche estese come il suri e il bouncing. La possibilità di avvalersi del quartetto dei PoiL offre semplicemente una più ampia gamma timbrica e strumentale per esaltare l’intensità tragica dell’interpretazione di Ueda: allʼarsenale di suoni prodotti dalla sua biwa si aggiungono ora la ritmica scomposta delle parti di basso e batteria e la ruvidezza quasi-metal dei timbri di chitarra e tastiere, che dialogano con lei per restituire l’immagine della feroce battaglia finale tra Taira e Minamoto. Quando però nella seconda sezione la guerra si spegne e il racconto si concentra sulla tragica fine di Taira no Tokiko, suicidatasi in mare con l’imperatore-bambino Antoku, il brano abbandona le sonorità aspre del primo movimento tingendosi di un’emotività disperata e dolorosa, con feedback di chitarra e tastiere che severamente concedono lo spazio alla voce e alla biwa di Ueda.
A una attenta valutazione, sono forse proprio i PoiL quelli che più hanno beneficiato di questa collaborazione. Ovviamente, il progetto concettuale alla base di PoiL / Ueda non ha permesso loro di ostentare le bellissime armonie vocali di ascendenza folk che si potevano ammirare in dischi come Sus; dall’altra parte, il prestare la propria capacità strumentale alla più definita visione narrativa di Ueda dà loro modo di non arenarsi nello stuolo di cliché avant-prog che ogni gruppo che sa suonare molto bene i propri strumenti è capace di elargire. La musica di PoiL / Ueda, non vergognandosi di adottare dinamiche piane e pianissime, suona al confronto molto più multidimensionale e viva. Rimangono ancora alcune perplessità sull’armonia della compenetrazione tra prog e heikyoku: i due elementi appaiono ancora piuttosto scollati, specie se paragoniamo l’operazione con esperimenti concettualmente affini come i Balungan; tuttavia, la strada tracciata da Dan No Ura indica numerose direzioni verso cui questa musica può ancora evolvere e migliorare. Aspettiamo di vedere che cosa ci riserveranno in futuro.