PIOTR KUREK – WORLD SPEAKS
C’è tutto un filone di musica moderna che senza troppo clamore ridefinisce costantemente i confini sonori della nostra immaginazione: si tratta della nutrita schiera di artisti che reinterpretano gli elementi della musica classica utilizzando le numerosissime possibilità offerte dalla manipolazione elettronica. Queste creazioni liminali tra esperimenti vocali, droni e strutture post-minimaliste sembrano in questo 2022 trovare terreno fertile in Polonia, da cui sono arrivate già due interessanti uscite di “classica elettroacustica”. Una è Syphon di Wojciech Rusin, che ha dato seguito alle apparizioni sfilacciate del precedente The Funnel arricchendole di parti vocali e umori che spaziano dal pastorale allo spettrale, meritandosi più di un ascolto. Ma dove veramente le trame si confondono fino a generare l’impressione di un sortilegio è tra le sette tracce di World Speaks di Piotr Kurek, un sentiero sterrato tra territori carichi di presagi.
Al centro del mondo di Kurek c’è un organo. In varie produzioni recenti si è assistito ad una vera e propria riscoperta dello strumento (ne abbiamo parlato qui), scelto spesso per il tono meditativo e dilatato, anche in apparente contrapposizione con la frenesia strutturale di ritmi e fonti sonore in tanta elettronica dell’ultimo grido. L’organo suonato da Kurek però non conosce nessuna placidità secolare, anzi, sembra perennemente tormentato e alla spasmodica ricerca di un esorcismo impossibile. Le sequenze oblique delle sue note sono un grimaldello per accedere a una dimensione che mette insieme sacro e profano, dove la solennità è presente ma sconvolta, capace di acquisire ad un momento vaporose connotazioni folk (Montufar) e al successivo un ghigno indemoniato di musica da cabaret (World Speaks). Addirittura in Key & Stop la timbrica viene esasperata al punto da far sembrare le ripetizioni e variazioni di microtemi come un esercizio di minimalismo applicato all’elettronica glitch che non risulterebbe fuori posto in un disco come Plux Quba. Nelle retrovie lavora sempre con discrezione l’apparato elettronico, che allunga le ombre e distorce suoni già sghembi rendendo il tutto ancor più surreale; quando poi prende il sopravvento, come nella conclusiva Orgue, la musica guadagna un ulteriore grado di astrazione e diventa un dipinto di echi nebbiosi e ruderi di frequenze in cui le poche note appaiono come lampi fantasmagorici.
Poi ci sono le voci, che Kurek origina da un archivio di campioni vocali e cuce insieme immaginando di sonorizzare vecchie foto di persone riunite in congregazione. Nonostante la filigrana analogica dell’ispirazione, in questo caso il materiale sonoro è fortemente manipolato già in partenza e le coralità che si vengono a creare sono assimilabili ad illusioni post-umane. Questa è la sensazione che viene restituita quando le voci processate infestano i brani, palesandosi e dissolvendosi come presenza enigmatiche che vanno a rinforzare il carattere ambivalente della musica. Forse non è un caso che Chordists, un brano in cui queste parti vocali occupano l’intero spettro sonoro ricreando una credibile versione aggiornata (e manipolata) di Music for Church Cleaners, sia posto in apertura del disco alla stregua di una seduta spiritica che permette di accedere alla dimensione evanescente di World Speaks.
In A Source of All Scenery, il brano migliore del disco, organo, voci e alterazioni elettroniche si fondono magnificamente in un paesaggio mutevole senza punti di riferimento, incorporando anche un sassofono che nella sua alterità rispetto al contesto suona come una catarsi. È un manifesto non solo dell’abilità con cui Kurek riesce a creare un mondo sonoro immaginifico a partire da pochi elementi impiegati in maniera originale, ma anche delle numerose potenzialità ancora da scoprire oltre le nebbie di questa mezz’ora di musica. Per ora, su World Speaks c’è abbastanza magia da lasciarsi incantare.