PERIFERIE #6

Iueke – Live at Positive Education Festival 2023 (DDS)

La DDS, emanazione discografica dei Demdike Stare, ha cementato negli anni la reputazione di porto d’attracco per una varietà imprevedibile di produzioni elettroniche, dalla dub-techno-virata-house di Shinichi Atobe ai misteriosi mix dello stesso duo (Embedded Content è un ottimo assaggio). Gwenael Jamois aka Iueke è un producer proteiforme e mina vagante del sottobosco techno, con apparizioni distribuite su una rete di progetti che si annidano nella fertile oscurità dello sperimentalismo da dancefloor. Sembra tutto apparecchiato per un felice incontro, e così è: su una cassetta marchiata DDS trova accoglienza l’ultima esibizione di Iueke al Positive Education Festival di Saint-Etienne, che si rivela come musica psicoattiva di prima scelta. Jamois incanala su nastro quella rara capacità ipnotica di piegare le macchine al proprio volere, e talvolta di piegarle e basta. Impossibile non indicare come riferimento più prossimo l’oceano di registrazioni live degli Autechre dell’ultimo decennio, con dentro una goccia di potentissima essenza dei Coil di Time Machines. Quindi: droni spiralizzanti, drum machine polverizzate, humus di sintetizzatori plastici e rumore strisciante, manopole che si muovono nell’ombra producendo effetti colossali, la generale sensazione di stare assistendo alla nascita di nuove forme di vita acustica in un ecosistema collassato. C’è un ritmo qui, ma per abbracciarlo bisogna superare spessi strati di lava sonora prodotta dai circuiti ribollenti; la melodia invece è stata annientata come lusso non sostenibile, sostituita da emanazioni tentacolari e taglienti che metabolizzano le oscillazioni in energia sfrigolante. Il lato B è un esercizio in ottusità dalle caratteristiche geologiche, il lato A una delle migliori approssimazioni di un wormhole in musica che vi capiterà di ascoltare quest’anno. Officiate il rituale con l’aiuto di un impianto massiccio.

Ear to Ear – Live Recordings (Astral Industries)

La ricerca sonora verso una psichedelia atmosferica ha un proprio laboratorio collaudato tra le pubblicazioni della Astral Industries: la label inglese è specializzata nell’accogliere progetti di musica ambient dall’afflato cosmico e dilatato, caratteristica che si riverbera anche nelle lisergiche grafiche di Theo Ellsworth. Tra i più abili sciamani elettronici presenti nelle sue fila figura Samuel Van Dijk, di cui ricordiamo i 100 minuti da sogno evocati su Ancient Circuits nel 2020 sotto il nome Multicast Dynamics. La sua ultima trasmissione sulle frequenze Astral Industries è questa selezione di registrazioni create durante una serie di concerti in collaborazione con il producer ucraino Yevgen Chebotarenko, un contesto che restringendo gli strumenti a disposizione porta tuttavia ad allentare piacevolmente le briglie compositive. La musica contenuta in Live Recordings, più che in una determinata combinazione di elementi, sembra vivere nell’energia del loro flusso: fonti audio entrano ed escono continuamente dal mix con una fugacità che in controluce ne evidenzia la ricchezza, in un dialogo costante tra la miriade di registrazioni naturali e i sommovimenti elettronici che ne fanno da eco. Non a caso l’album inizia con una immersione nella foresta che ricorda la densità dei paesaggi ibridi di Amazonia 6891, per poi espandersi una dimensione aerea e sfuggente in cui la monumentalità di un tema o un pattern ritmico sembra lontana come la muraglia cinese vista da un satellite. Linee di basso appaiono solo per evidenziare la profondità dello spazio in cui si muovono, destinate ad essere fagocitate nuovamente dallo zampillare di suoni effimeri; all’oscurità placida dei droni che nella prima parte emanano la propria radiazione cosmica di fondo si sostituiscono poi luminosi pad di sintetizzatori, senza che si modifichi la sensazione di assistere al minuzioso ricamo di una cornice il cui centro rimane inafferrabile. È musica che rivendica orgogliosamente il valore del vagare senza meta e senza mappa, mantenendo per tutto il viaggio uno stato contemplativo di attenzione diffusa: un’esperienza espansiva, a dir poco.  

Roland Kayn – Hybriditys (RRR)

Per comunicare il concetto di una grande profondità, si possono usare alcuni riferimenti: la Fossa delle Marianne, la tana del Bianconiglio immaginata da Carroll, gli archivi musicali di Roland Kayn. Ma andiamo con ordine. Roland Kayn è una figura a cui non vanno larghi gli abiti del pioniere. La stessa definizione di musica elettronica, con cui per semplicità abbiamo accomunato i tre lavori qui selezionati, nella sua visione è in realtà due passi indietro rispetto all’obiettivo: la creazione di una musica cibernetica. In questa concezione l’artista cessa di essere un compositore che progetta la propria opera affidandone l’esecuzione alla calcolata attività di dispositivi elettronici; piuttosto, studia e appronta una rete di connessioni tra questi dispositivi per creare un contesto che ne orienti il funzionamento, senza però poter prevedere gli sviluppi che vedrà la materia sonora. Il sistema riceve gli input e li processa secondo le possibilità preparate dalla mano umana, ma l’interpretazione si realizza attraverso un accumularsi di passaggi non-lineari che contemplano esiti divergenti e salti di stato, per uno svolgimento imponderabile. Kayn trovò il substrato necessario alla realizzazione della propria idea nella tecnologia dell’Istituto di Sonologia di Utrecht e nella preziosa collaborazione di Jaap Vink, producendo un ampio corpus di opere che esplorano (o, in un certo senso, creano) i territori oltre questa frontiera. La pubblicazione postuma nel 2017 (Kayn è deceduto nel 2011) della impressionante raccolta A Little Electronic Milky Way of Sound, 16 CD di registrazioni inedite dalla potenza intatta, sembrava essere il lascito definitivo di Kayn, almeno dal punto di vista discografico. 

Invece, negli anni successivi la pubblicazione di musica dai suoi (evidentemente smisurati) archivi è diventata un fiume in piena, con un flusso costante di materiale rilasciato che assomma a più di UNDICIMILAOTTOCENTO MINUTI fino ad oggi. Un eccesso stordente che verrebbe naturale evitare, se non fosse che al suo interno sono contenute delle gemme: almeno The Man and the Biosphere e Made in the NL After the Sixties and Beyond, che hanno visto la luce nel 2020, sono due esempi fenomenali che si piazzano sullo stesso livello di lavori cardine del periodo olandese come Infra. Così, spinto dai precedenti favorevoli e dalla penuria di nuove uscite a inizio anno, qualche mese fa ho estratto dal mucchio questo Hybriditys e ancora una volta non sono rimasto deluso. È musica capace di trasportare in una dimensione dove è chiaro che il controllo degli eventi è in capo a un agente oltreumano. I segnali elettronici si dispongono all’udito come stelle baluginanti su un fondo nero di echi distanti, talvolta addensandosi in costellazioni inquiete, dense di eventi; nell’ordine instabile dato dai feedback loop di suoni spiritati possono irrompere all’improvviso tempeste di rumore metallico a scompaginare tutto quanto, per un attimo, primo che un nuovo ordine fragile si formi. Questa motilità convulsa sembra decadere in una lunga sezione centrale di frequenze desolate, ma le mutazioni del suono continuano ad avvenire nel profondo dei circuiti: avviene così che nel freddo deserto sorga per caso il simulacro di una melodia sintetica degna della serie Ambient di Brian Eno, ad annunciare una nuova pioggia di oscillazioni ed emanazioni elettroniche, dolorose e vitali come punture di spillo. Le parole si dimostrano strumenti grezzi per descrivere il senso di spazialità aliena insita in questa musica, con la percezione di vicinanza e lontananza costantemente ridefinita attraverso l’organizzazione imprevedibile del suono. E allora non resta che consigliarvi l’ascolto: se vi piacerà, sapete già che c’è un vasto oceano da cui pescare. 

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Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto