CONTAINER BRUTTO

PARLIAMO DEL NUOVO DISCO DI BILLIE EILISH

BILLIE EILISH – HIT ME HARD AND SOFT

Darkroom, Interscope

2024

Musica Per Bambini

Su Livore non abbiamo mai parlato di Billie Eilish. La ventitreenne americana ha pubblicato tre dischi, vinto nove Grammy e due Oscar, fatto vari tour mondiali – risultati che la collocano già nell’Olimpo del pop in neanche dieci anni di carriera. Eppure, dato che queste sensazioni giovanili in gran parte le ignoriamo, non abbiamo mai speso neanche due parole su una musicista che insieme al fratello Finneas ha senza dubbio portato alla ribalta un certo modo di intendere il pop, scurendone i timbri, ovattandone la luminosità e incanalando l’angst adolescenziale in un cantato impeccabilmente preciso e decentemente espressivo. Non l’abbiamo fatto perché in linea di massima di queste cose non ci frega assolutamente niente. Tuttavia, il caso vuole che ogni tanto l’universo faccia condensare spiacevoli gocce di fastidio sulla tela cerata della mia mente. Le gocce pian piano si uniscono e formano prima rivoletti, poi pozze irritanti che attirano la mia attenzione: ogni tot è bene tirare un bel cazzotto da sotto la tela per farle schizzare via. Ci sono tante cose da dire sulle priorità totalmente sballate di un’ampia fetta di pubblico, e dischi come Hit Me Hard and Soft, assolutamente slavati e banali, sono occasioni perfette per esternare alcune opinioni su certe tendenze musicali e al contempo sfogare un poco del livore che ci rende, beh, Livore. Come ho detto, sul fronte musicale la carne al fuoco è pochissima: il disco è un accrocchio di melodie rimasticate e orpelli senza vera ragione espressiva, con una scrittura che flirta male con gli anni ‘80 e una banalità melodica deludente anche se comparata alla roba che i due fratelli avevano pubblicato prima d’ora. Billie sa cantare, ma non sa rendersi interessante mentre lo fa, e i minuti passano nel torpore più totale, eccezion fatta per due cosette. C’è The Diner, una ballatina semi decente che gli Eilish hanno avuto l’idea carina di vestire come una sorta di drinking song; poi c’è un altro passaggio, risultato di scelte talmente improbabili da farmi spalancare gli occhi e contorcere la bocca, inorridito come davanti a chissà quale scenario d’incubo. L’Amour De Ma Vie, che per i primi tre minuti scorre perfettamente in linea col vuoto pneumatico della solita depressione scialba, a un certo punto si perde nel silenzio, per poi ripartire con un motivetto cantato da una voce manipolata. Dopo poche frasi la vocina si incaglia ripetendo lo stesso verso, le manipolazioni si fanno più importanti ed ecco che dagli abissi imperscrutabili di chissà quale cattivo gusto sorge un beat italo disco. A caso. Il verso della vocina diventa quindi sample introduttivo a un’apertura dance in cui partono dei sintetizzatori terribili presi paro paro dalla bottega degli orrori di The Weeknd. E niente, a metà pezzo c’è questa improvvisa svolta dance. Eilish diventa Kavinsky per donne bianche, colonna sonora di una serata passata a bere spritz arrivando in città con la Cinquecento beige. Roba da lasciar senza parole. 

Il discorsetto che mi preme fare ruota attorno al valore della produzione, ovviamente di qualità. Parlarne è importante perché proprio qua cade tutta una fetta di pubblico che non dovrebbe curarsi del valutare attentamente l’inevitabile maestria con cui è confezionato un disco fatto da miliardari sotto contratto alla Universal. E invece, nonostante sia sotto tutti gli aspetti un disco per ragazzini, Hit Me Hard and Soft si è accaparrato una generosissima media su RYM, viene acclamato da Ondarock e preso sul serio da vari altri siti il cui target audience non frequenta certo i primi anni del liceo. Grazie al cazzo che il disco è prodotto con competenza. Anche se Finneas non fosse lui stesso un produttore, gli Eilish potrebbero lavorare con una schiera di maghetti della registrazione e arrangiatori con decenni di esperienza; la produzione da sola non conta assolutamente niente. In altri casi, quando la poetica dell’artista è valida e le composizioni solide, può essere un fiore all’occhiello che premia l’ascoltatore attento donando ulteriore tridimensionalità e profondità all’opera; in rari casi può persino trascendere questo status ancillare, diventando veicolo di ulteriori messaggi, ma non certo in un disco così inserito nelle ferree logiche del mercato mainstream globale. Ora, io sono un ascoltatore per certi versi atipico, nella misura in cui pur essendo molto appassionato e avendo un orecchio allenato abbastanza da cogliere certe finezze ho sempre avuto un po’ il rigetto per un certo tipo di audiofilia – è innegabile che a sentire la musica con apparecchiature di qualità si goda di più, ma un musicista non dovrebbe comporre tenendo troppo in conto come il suo lavoro verrà ascoltato. Il significato di un disco e la qualità delle composizioni sono tutto quello che serve, estremi permettendo. 

Nel pensare al futuro, seguendo questa mia opinione un po’ controversa pensavo ok, la fruizione di musica sta diventando distopica con gli smartphone e Spotify, ma almeno forse arriverà un’era in cui si darà più peso a ciò che può essere apprezzato anche da cuffiette Airpods di merda: la struttura di un pezzo, la logica e l’espressione che gli stanno alla base. Col cazzo. Anzi, a musica che quasi tutti sentono attraverso segnali audio monchi viene donata credibilità perché, quando un addetto ai lavori la ascolta col suo setup, la qualità del suono, del mixaggio, del master regge. Ciò diventa la scusa per non vergognarsi ad apprezzare da adulto una ragazzina che fa musica per le feste scolastiche. Un tempo gridavamo tutti al pericolo del poptimism, poi è diventato da sfigati indignarsi quando si trova Carly Rae Jepsen incensata ovunque, e adesso siamo così a fondo nella melma che neanche è più possibile immaginare di proporre come argomentazione il fatto che un disco è PER BAMBINI. Hit Me Hard and Soft è per bambini. Come i Pinguini Tattici Nucleari adesso, come gli Articolo 31 e gli 883 in passato, come Taylor Swift e Olivia Rodrigo e tutta sta gente qua. Se una persona ha motivi personali per godersi queste cose ben venga, io mi ascolto la peggio merda, mi ascolto l’eurobeat fatto dai pelati con le keytar. Perché sono fatti miei cosa mi piace. Ma cazzo, che è musica improponibile lo so. Non vorrei mai che l’eurobeat diventasse lo status quo, non vorrei mai che influenzasse le menti delle generazioni future. Si parla invece di Billie Eilish come di un’artista matura, c’è lei che fa la canzoncina per Barbie e la gente si commuove. Il film di Barbie. 

Ho finito, Vostro Onore.

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David Cappuccini
David Cappuccini