AMNESIA SCANNER & FREEKA TET – STROBE.RIP
Il fatto stesso che STROBE.RIP sia stata l’uscita meno cagata e chiacchierata del duo finlandese di stanza a Berlino Amnesia Scanner dice tantissimo su come il mondo dell’industria musicale vada avanti a clout e strette di mano e ignori totalmente la qualità dei suoi prodotti. L’ultimo appuntamento che abbiamo avuto con i producer è stato Tearless, una paccata di schifezza nichilista electro-industrial chiacchieratissima e spesso non nei toni più indulgenti. Gli Amnesia Scanner, d’altro canto, erano perfettamente incuneati nello Zeitgeist già dai loro debutti su extended e long play, con i primi a rappresentare delle taglienti sezioni di glitch-club da battaglia e i secondi a raccontare l’avventura dell’intelligenza artificiale ascrivendosi alla vasta schiera di cadetti di Holly Herndon. La cifra stilistica principale dei finlandesi è sempre stata quell’attitudine hyper, a mezza via tra il sarcastico e il terrificante, che ha glassato svariate uscite più normali con una ghiaccia da parvenu del situazionismo: l’elettronica decomposta a martellate, with a twist. La compilation dei 20 glitch più divertenti di The Sims 3, dove a divertire è una risata paralizzata che echeggia tra le pareti di una contorta uncanny valley. Tutto si è sempre abbeverato da questa fonte di contraddizione: i sintetizzatori di Another Life, i sound set di Truth e le atmosfere di Lexachast.
Queste le premesse. La notizia, invece? STROBE.RIP è probabilmente il disco che, a livello superficiale, suona come il capo più addomesticato dell’appezzamento Amnesia Scanner – allo stesso tempo una delle venture meno coerenti e strutturate del duo, un fatto più o meno confermato dalle opinioni che traspaiono da questa intervista per 032c. La suite di (poca) intelligenza artificiale Oracle, che da più di un lustro presta la voce alle uscite AS, in questa sede si sbilancia pesantemente sulla sua versione organica, IRL, e il lavoro di scrittura musicale è costantemente impegnato a ricostruire quell’esprit de club che era stato scarnificato a più riprese nelle uscite precedenti. Per dare un giudizio informato su STROBE.RIP, prima volta nella discografia degli Amnesia Scanner, è necessario avere un certo orecchio. Il paesaggio dell’album è sconnesso, di per sé incoerente e spezzettato in maniera quasi detestabile: può entrarci qualcosa l’intervento del coder Freeka Tet a scompaginarne l’ossatura? Non ho accesso alle chat dei tre, quindi posso solo fare delle educated guess a riguardo. Fatto sta che durante questa mezz’oretta la passione per l’uncanny valley degli Amnesia Scanner si compatta brano dopo brano in dei piccoli schizzi di creatività il cui unico filo conduttore è la voce pitchata di Oracle. La grande vetrata da Entrata di Cristo a Bruxelles di Tearless si frattura definitivamente in una dozzina di piccoli quadretti espressionisti che sono capaci di evocare tanto la Future Garage à la Burial (Bounds, Ledge) quanto il balearic beat versione gomma (Ride, Giggle); tanto l’electro tamarra anni ‘00 (Cat) quanto il trip-hop di prima fascia (abandoned.club) e il più scollacciato big beat (Tongue Demons).
Tutte queste piccole parodie di un’elettronica da battaglia che nel 2023 ha da tempo trasceso nel cult status sono felicemente affinate da una tinta emotiva cangiante che deriva dalle intrusioni accelerate di Oracle e dal lavoro di taglia e cuci del duo: l’orecchio, mentre è all’analisi del pezzo, viene costantemente disturbato, portato ad oscillare tra il nostalgico e il faceto. L’attenzione comincia a cedere il passo ad un’esperienza estetica di tutto punto quando la musica tira via degli snoffs e dei sighs con ritmo incerto e quindi imprevedibile. Oracle è, come abbiamo detto, al massimo della sua umanità (in alcuni brani ha praticamente lo stesso timbro vocale di Jerskin Fendrix) e sulle prime sembra l’unico legame che tratteggia tutto STROBE.RIP. Ad ascoltare e riascoltare con attenzione il disco, come sempre, è facile trovare la vera magia nei vuoti che si creano tra un pezzo e l’altro. Questa raccolta di quadretti espressionisti ha un suo baricentro virtuale che lega tutti i brani, come la catena di Nen che stringe il cuore di Kurapika in HxH. Ogni lamentela di Oracle, ognuno dei ricami atmosferici di matrice Witch House, ogni cavalcata interrotta tra i brani più galvanizzati, richiamano a un unico punto comune, difficilmente definibile. Un punto che, comunque, aleggia nel reame della depressione. Questa 2-step-gone-hyper è la colonna sonora di un sentimento di blues che oramai non è più localizzato nelle metropoli e nemmeno nel web 2.0. Gli Amnesia Scanner, forse anche in maniera un po’ naif, delineano la condizione di stanchezza mentale dell’essere umano nell’epoca di frontiera dell’intelligenza artificiale: a corredo di questo sentimento, la testimonianza spezzata di com’era la musica dance prima che i discorsi si facessero così complessi. E la risata amara di chi aveva provato pochi anni prima ad affrontare gli stessi temi a petto in fuori, uscendone con un pugno di mosche. Freeka Tet, parlando della possibilità di comporre per prompt, dà una risposta che sembra originale e brillante, ma che a pie’ di queste riflessioni risulta solo molto malinconica:
I’m interested in mistakes. In the creative field, I believe that mistakes are the closest thing to what we are. Emulating nice things is very easy but emulating mistakes is very hard. Mistakes are so personal.
A questo punto torno sulle sensazioni che provo all’orecchio, quel famoso orecchio – e per descrivere il modo in cui gli Amnesia Scanner e Freeka Tet maneggiano i loro soundpack riesco solo ad affidarmi a una riga di Soul Music (Terry Pratchett), e terminare così i miei cents su di un album che l’anno prossimo sarà già dimenticato, ma che io porterò sempre nel cuore.
It was sad music. But it waved its sadness like a battle flag.