CONTAINER BELLO

MONIKA ROSCHER HA FATTO UN SALTO DI QUALITÀ

MONIKA ROSCHER BIGBAND – WITCHY ACTIVITIES AND THE MAPLE DEATH

Zenna

2023

Avant-Prog / Art Pop

La chitarrista, cantante e compositrice tedesca Monika Roscher è attiva da un pezzo nell’ambito del jazz orchestrale, ma fino a quest’anno era praticamente sconosciuta fuori dai confini nazionali, nonostante due lavori piuttosto interessanti (Failure in Wonderland e Of Monsters and Birds) pubblicati tramite la storica etichetta jazz Enja. In questi dischi, la musica della sua Monika Roscher Bigband si muove nel solco dalle esperienze più bizzarre ed eccentriche dell’ambito big band (quindi ovviamente Stan Kenton, Carla Bley, ma anche la Exploding Star Orchestra e – perché no? – pure la Fire! Orchestra). Allo stesso tempo, l’elettronica di stampo radioheadiano, l’atmosfera tipicamente mitteleuropea che richiama il cabaret di Kurt Weil, e il canto pirotecnico di Roscher – a metà tra Björk, Regina Spektor, e Idina Menzel su Let It Go – esprimono una profonda vicinanza spirituale al mondo del pop più artsy degli anni Duemila. È una visione estetica affascinante e peculiare, ma a questo punto della carriera di Roscher ancora piuttosto contraddittoria: negli arrangiamenti e nella scansione metrica dei brani emerge evidente l’influenza del progressive rock, del math pop, dei balletti di Stravinskij; ma questa influenza così predominantemente bianca e occidentalizzata, ricollocata in un contesto comunque riconoscibilmente jazz, finisce spesso per ingessare la propulsione ritmica dei brani, privandoli di quell’energia che contraddistingue la migliore musica per big band. Questo importante limite spiega – e a tratti quasi giustifica – l’indifferenza della critica e del pubblico nei primi dieci anni di attività dell’ensemble.

Con quest’ultimo Witchy Activities and the Maple Death, uscito a maggio, Roscher ha però rimediato a questa debolezza in maniera molto intelligente – e cioè, spingendo sull’acceleratore verso una forma di art pop/rock progressivo e sfarzosissimo, che del jazz mantiene (oltre alla strumentazione e all’impianto bandistico) soltanto occasionali suggestioni trasmesse da qualche linea di contrabbasso, dall’energico comping del pianoforte, dal gusto per incastri metrici cervellotici degni di un Don Ellis. Soltanto su sporadici numeri come Creatures of Dawn il retaggio del linguaggio jazz si avverte più nitidamente anche nella pronuncia ritmica e melodica dei singoli solisti, con il contrabbassista Ferdinand Roscher che sembra tendere allo stile di Charles Mingus e con il trombettista Felix Blum che verso metà brano si erge solitario su un groviglio poliritmico di batteria, pianoforte e contrappunti degli altri ottoni con un assolo che, pur camuffato dal pedale delay, mantiene un carattere ruggente e irruente, facendo pensare pure alle ultime prove dei Fly or Die di jaimie branch. E pure in un pezzo così marcatamente jazz c’è comunque spazio per trovate stravaganti mutuate dal pop e dal rock – in questo caso specifico, una performance vocale sopra le righe che si situa da qualche parte tra lo zeuhl e i Queen. 

Alleggerita di molte delle forme più classicamente jazzy che venivano interpretate un po’ troppo rigidamente sui due album precedenti, la musica della Monika Roscher Bigband ha finalmente tutto il margine di manovra per librarsi in volo verso un sound opulento ed esuberante che vuole deflagrare in ogni direzione: melodie umbratili uscite da un qualche disco di Emilíana Torrini, fragorosi exploit orchestrali che invece paiono preparate per qualche colonna sonora particolarmente over the top, evoluzioni strumentali labirintiche quasi in odor di avant-prog, futuristici soundscape elettronici. Tutte le composizioni di Witchy Activities and the Maple Death vengono allestite seguendo il personale gusto della leader per l’artificio funambolico e per l’imprevisto, unico collante estetico di un album che per il resto sembra porsi l’obiettivo di sgretolare ogni concetto di omogeneità stilistica e, spesso, anche di senso della moderazione. Da un sinuoso e selvatico numero di art pop giocato su un ostinato ritmico in staccato può esplodere da un momento all’altro un sinistro unisono orchestrale dominato da un assolo di trombone, per poi tornare al punto di partenza con naturalezza (accade su 8 Prinzessinnen). O, al contrario, il brano può dapprima sovraccaricarsi di tensione sempre più debordante, partendo da un’incalzante linea di contrabbasso suonata con l’archetto e da un accattivante tema imbastito da tutto l’ensemble, per poi sciogliersi in una strofa delicatissima con la voce di Roscher accompagnata solo da una nervosa elettronica downtempo, da note di flauto e fugaci controcanti sullo sfondo (questo, invece, succede su Firebird).
Nell’arco dei sei movimenti della suite Witches Brew il pot-pourri stilistico di Monika Roscher raggiunge il proprio vertice di variopinto massimalismo, che elargisce all’ascoltatore alcune delle più temerarie e sgargianti scelte di arrangiamento di tutto il disco: pulsioni acustiche di stampo afrobeat si sovrappongono a percussioni elettroniche drum & bass (The Summoning); parentesi rilassate art pop (Moon Is Melting) vengono improvvisamente zittite da rapide fughe orchestrali stravinskijane (The Brew); suggestioni latine e ispaniche si impadroniscono della matrice prog/jazz rock, inglobando didgeridoo e inflessioni esotiche (The Woods); delicati numeri canterburyani (Dance of the Sleepy Spirits) sfumano in direzioni più tamarre che sembrano volersi affacciare sul progressive metal (Return of the Witches). È una giostra vertiginosa ma divertentissima, così frastornante nella rapidità con cui sfrecciano le varie sezioni che si arriva alla fine non del tutto consapevoli della quantità di stimoli cui si è stati sottoposti in soli dodici minuti.

Eppure, nonostante un passo ritmico tanto convoluto e fratturato, nonostante gli arrangiamenti densi e brulicanti di decine di voci strumentali, nonostante perfino una scrittura grandiosa e larger than life, che si contorce e si dimena lungo sentieri in continuo mutamento accidentati da climax inquieti, assoli, cambi di tempo, tonalità e umore, la scrittura di Witchy Activities and the Maple Death mantiene sempre un peculiare senso melodico pop alla base. È una natura che prescinde da qualsiasi acrobazia in fase di scrittura ed esecuzione e si riflette nella produzione scintillante, nel timbro limpido della voce di Roscher, nel modo in cui l’orchestra sembra voler concedere le luci dei riflettori al canto, esaltandone le inflessioni emotive con un accompagnamento elaborato quanto enfatico degno di uno show tune. È particolarmente evidente quando parte un anthem fatto e finito come Queen of Spades, che esalta e conferma l’associazione disneyana fatta dalla corretta recensione di Marco Sgrignoli su Ondarock, ma in tutta la seconda metà dell’album – per quanto in maniera non altrettanto eclatante – il misurato senso melodico del pop bianco e del jazz vocale più legato al pop tradizionale sgorga dal tessuto strumentale prog, affiorando nelle varie Starlight Nightcrash, A Taste of the Apocalypse, Direct Connection. E se possiamo salutare Witchy Activities and the Maple Death come un tale successo artistico si deve proprio all’intelligente, quasi miracoloso, punto di equilibrio che Roscher ha trovato tra la cerebralità timbrica, ritmica e armonica del jazz e del progressive rock con un gusto per la catchiness melodica e vocale che, in un contesto più propriamente pop, sarebbe facilmente risultata stucchevole: le due anime del progetto Monika Roscher Bigband valorizzano così i propri punti di forza vicendevolmente, e Witchy Activities and the Maple Death attinge a un suono davvero unico, capace di conquistare tanto i fan del progressive quanto i fan dell’art pop.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia