ESOCTRILIHUM – DY’TH REQUIEM FOR THE SERPENT TELEPATH
La I, Voidhanger, probabilmente anche per orgoglio nazionalistico, è una di quelle etichette che qualsiasi metallaro un attimo più smaliziato qui in Italia incensa a dismisura. Fa parte di quel novero di label che negli anni hanno forgiato un’estetica riconoscibilissima che, pur espandendosi verso direzioni sperimentali e insolite, mantenevano sempre un certo quid di “fedeltà alla linea”, e sono così riuscite a conquistarsi una street cred particolarmente solida tra il pubblico (in maniera non dissimile, nei risultati per quanto non nei principi, da quanto fatto dalla Profound Lore). È un’estetica che potremmo riassumere in un estremismo permeato di una grandiosità larger than life e una vocazione quasi parossistica al famolo strano: nel loro catalogo si può trovare black metal atmosferico e cosmico che proietta visioni glaciali colte nel vuoto siderale (Mare Cognitum e Spectral Lore), death/black funereo e lovecraftiano che spinge verso lidi astratti e squilibrati le proprie premesse (gli Ævangelist e gli Howls of Ebb), ultimamente pure macigni indigeribili a cavallo tra drone metal, suggestioni psichedeliche e jazzy, digressioni ritualistiche, sviluppi sfilacciati e convoluti degni dell’avant-prog (i Neptunian Maximalism e il progetto collaterale ZAÄAR). Musica molto interessante sulla carta ma che alla fine, troppo spesso, si rivela un coito interrotto: scrittura priva di direzione, atmosfere bidimensionali, crossover stilistici che si risolvono in superficiali riferimenti a questo e quell’altro genere senza mai cogliere l’essenza delle cose. (Questo giudizio piuttosto severo non si applica, ovviamente, a tutto il loro roster: gli stessi Spectral Lore e Howls of Ebb qui citati hanno fatto dischi degni di ben più di un ascolto.)
Esoctrilihum, one-man band di un tizio francese di cui non si sa nulla a parte il moniker indecifrabile e la provenienza, rappresenta uno di quei casi in cui la I, Voidhanger è riuscita a mantenere le proprie promesse. In attività già da qualche anno (il primo full-length è del 2017) ha progressivamente scalato le gerarchie dell’etichetta agli occhi del pubblico grazie a una commistione di (anche lui) death e black metal vorticoso e oscuro che, però, non teme di compromettere la propria brutalità asfissiante con minutaggi sostanziosi, strutture serpentine e addirittura, in Eternity of Shaog del 2020, arrangiamenti sinfonici. Pare il preludio a un disastro, e invece proprio quest’ultimo album ha definitivamente consacrato Esoctrilihum tra i nomi più creativi del metal estremo odierno.
L’anno scorso, verso fine maggio, Esoctrilihum ha dato seguito a Eternity of Shaog con Dy’th Requiem for the Serpent Telepath, che è esattamente tutto ciò che era Eternity of Shaog ma acceleratissimo fino alle estreme conseguenze: più progressivo, più magniloquente, più tortuoso, più asfissiante, più lungo. Esoctrilihum conferma la sua direzione sempre più sofisticata e vota completamente il proprio sound a una dimensione più esplicitamente sinfonica: quelli che nel disco precedente erano inserti occasionali e dal peso specifico fortemente minoritario rispetto alla componente metal distorta diventano ora un punto nevralgico dell’impianto sonoro di Esoctrilihum, funzionali non solo a ingigantire la già ragguardevole grandeur ma anche a dare una componente emotiva gotica e disperante alle composizioni del disco. La musica di Dy’th Requiem for the Serpent Telepath è sempre venata di un deviato senso di tragedia strisciante, che emerge dagli unisono di archi e legni sintetizzati e soffoca (complice anche il missaggio non esattamente brillante) la brutalità di brani che, spogliati dai numerosi orpelli orchestrali, si muoverebbero volentieri nel solco del death/black più infernale ed esoterico tracciato dai Portal e dai Deathspell Omega (come ben confermano, in chiusura del lavoro, Zhaïc Daemon e Xuiotg). Così, ascoltando Salhn e Eginbaal ci ritroviamo a pensare agli At the Gates di The Red in the Sky Is Ours e ai Phlebotomized, talvolta (Agakuh) perfino ai My Dying Bride di The Angel and the Dark River, piuttosto che ai recenti innovatori del death/black meno ortodosso. Il che è ben lontano dall’essere un difetto, visto che Dy’th Requiem for the Serpent Telepath è uno degli aggiornamenti più brillanti e intelligenti di un filone di metal estremo sinfonico che, pur molto interessante, si è tristemente perso nei meandri della storia e ora vive solo nella pallida imitazione di gruppi che di quello stile suonano più come una parodia che veri prosecutori.
Vista la sua essenza squisitamente sperimentale, in Dy’th Requiem for the Serpent Telepath non tutto funziona alla perfezione. Come già detto, il missaggio torbido e confuso – probabilmente a causa dell’inesperienza di Esoctrilihum di trattare con una tale quantità di strumenti che si contendono la scena per così tanto tempo simultaneamente – lascia piuttosto a desiderare; tuttavia, quel che è peggio è l’uso criminale dei fade-out. Quasi ogni brano si spegne in un abbassamento repentino dei volumi – spesso, dal momento in cui i decibel diminuiscono e quello in cui la traccia successiva irrompe a piena intensità passano solo un paio di secondi. Ancor più inspiegabilmente, sovente Esoctrilihum enuncia un nuovo riff o una nuova sezione giusto pochi momenti prima di chiudere i pezzi in maniera tanto sconsiderata: contro il cliché che vuole il fade-out come un mezzo per concludere un brano quando latitano le idee, Dy’th Requiem for the Serpent Telepath lo usa per soffocare in culla possibili nuovi sviluppi che meriterebbero molto più approfondimento. È un difetto su cui non si potrebbe mai passare sopra, se non fosse che la musica contenuta in questo album è tra le più originali ed evolute che Esoctrilihum abbia mai pensato: malgrado tutto, è uno dei lavori metal più stimolanti usciti nel 2021.