FRIKO – WHERE WE’VE BEEN, WHERE WE GO FROM HERE
Vorrei spendere qualche minuto per parlarvi dei sentimenti misti che mi ha lasciato il debutto su long play di questo trio dell’Illinois che in queste settimane è sulla bocca di tutti. I Friko sono attivi dal 2019-2020 nella scena di Chicago, potete trovare un piccolo specchietto sui loro primi passaggi su questo articolo del Chicago Reader che ho recuperato da Pitchfork. Il loro EP trattato nello specchietto, Whenever Forever, non è niente di che: una media reinterpretazione dell’indie rock più power che verso la fine dei noughties ha tenuto baracca in molte playlist dell’anglosfera, un lavoro che, avessi ascoltato nel 2020, avrei ignorato molto velocemente. Quest’anno il trio esce su ATO con Where we’ve been, Where we go from here, partendo da un livello di clout decisamente più massiccio; con l’aiuto ben sostanzioso delle manovre dell’etichetta di Dave Matthews e del tocco d’oro alla produzione della stagionata Heba Kadry (già al lavoro con chiunque, dagli Slowdive a Sufjan Stevens, da Björk ai Daughters, da Holly Herndon ai Japanese Breakfast) i Friko riescono a raggiungere i più svariati onori della stampa, assicurandosi un posto nella narrativa di questo 2024. Where we’ve been… si racconta facilmente in due parole: un disco di chamber folk luminoso e lineare, prodotto egregiamente per suonare come un disco della Bandcamp d’antan – distorsioni che spesso vanno al rumore, qualche lirica la cui tonalità emotiva è accentuata da un ringhio straziante, una generale delivery aperta, evangelica, che dà il palato di un gruppo di paese. Se al primo ascolto l’LP dei Friko riesce ad esprimere con un sorprendente fragore quella danza di gioia e sentimento che è poi l’obiettivo principale di tante uscite chamber folk, dall’altro lato nel tornarci e ritornarci il meccanismo comunicativo, soprattutto per chi ha ascoltato tanto, comincia a incepparsi e l’apprezzamento si ferma ad un livello solamente superficiale. Molti dei brani di Where we’ve been… si collocano nella tradizione melodica indie che parte da Harry Nilsson e Paul McCartney e va a finire su quei due binari che trovano un bellissimo sodalizio nei Neutral Milk Hotel ma che in realtà hanno tanti, tanti rappresentati nel chamber folk/pop di zona Dodos/Oh Hellos/Arcade Fire e nel noise/dream pop imbracciato da No Age, Japandroids, The Pains of Being Pure at Heart – purtroppo, sulle singole melodie, muovendosi al limite del plagio. Il caloroso gospel dei Friko al terzo/quarto ascolto si presenta per quello che è: una riproposizione di temi e melodie che ci piace tanto perché lo conosciamo già benissimo. Ci è facile canticchiarlo perché le nostre sinapsi sono già tarate su quella stringa di note, l’abbiamo già incontrata decine e decine di volte, fin dagli anni ‘60. Se vogliamo ammettere, fatta la quadra col debutto su EP, che la scrittura del gruppo è un mezzo furto e allo stesso tempo che il merito della produzione non è esattamente da trovare nel trio, cosa rimane?
Rimane il fatto che, per quanto i Friko rimastichino e ripropongano della musica già estremamente sentita, più o meno passatista anche nelle timbriche, nelle scelte di suono, l’espressività della musica e il mero effetto emotional che i singoli riescono ad ottenere sull’ascoltatore fanno del progetto qualcosa di un po’ particolare. Where we’ve been piace perché incarna e reincarna qualcosa che abbiamo inciso a fuoco nel nostro percorso musicale, perché concede ad una nuova generazione di ascoltatori di ripassare dalle stesse strade su cui abbiamo già camminato, perché per quanto l’eccellenza particolareggiata à la Big Thief ci possa prendere la testa e il cuore, c’è sempre qualcosa di amoroso nel dedicarsi a un’uscita senza starci a ragionare troppo. Il mio spirito critico è veramente un po’ perplesso dalla bruta quantità di – chiamiamole – citazioni che il disco sceglie di portare in cuffia, ma se queste devono essere le spondine con cui un giovane gruppo indie folk prova a bucare la sua scena e farsi vedere al grande pubblico per la prima volta, meglio di niente. Spero solo che il successo che i Friko stanno ottenendo non li condanni alla riproposizione di questo modus operandi, fondamentalmente sterile, ma che il trio riesca a sfruttare l’impulso generato da questo breve successo per mettere la propria, bella espressività al servizio di un progetto più creativo e originale. Solitamente sarei pessimista, ma nello scrivere sto riascoltando Crashing Through, e devo rispettare la vibe chiudendovi la recensione su una nota positiva. Il disco è breve, samey, va ascoltato con le pinze, ma se siete dell’umore giusto potrebbe anche cambiarvi la giornata; noi aspettiamo solo che questa musica di limitato spessore raggiunga la maggiore età, staccandosi al più presto dai suoi creditori.