CONTAINER BELLO

LA TERRIBILE MITOLOGIA DEI SENYAWA

SENYAWA – VAJRANALA

The State51 Conspiracy

2024

Avant-Folk, Industrial

I Senyawa sono un duo indonesiano che seguo da diverso tempo. Non ricordo nemmeno come fossero inizialmente finiti nel mio radar di scoperte, ma il mio interesse per il progetto diretto da Rully Shabara e Wukir Suryadi si era riacceso recentemente: l’insolita storia di pubblicazione che aveva riguardato il loro ultimo disco, Alkisah, mi aveva incuriosito, e il suo ascolto mi aveva convinto a tal punto da inserirlo nelle mie menzioni d’onore del 2021. Vajranala, il nuovo full length della band, era immediatamente finito in lista d’ascolto non appena lo avevo spiato nel solito roll di uscite. Il presskit, molto filosoficamente, evita quasi ogni discussione sulla musica contenuta all’interno, impostando invece il discorso sul ruolo del potere, sulla maniera in cui le cerimonie classiche della cultura indonesiana siano state recuperate dal gruppo per aggiornarle alla sensibilità estetica del ventunesimo secolo, e di come il progetto di Vajranala comprenda anche l’installazione di un’enorme scultura di pietra capace di sputare fumo e fiamme. Tutto normale.

Ma andiamo con ordine: cosa rende speciali i Senyawa? Ascoltando Vajranala, si è immediatamente immersi all’interno di un soundscape alieno: un bordone che evidenzia immediatamente un cordofono a cui si aggiunge, in lontananza, quello che sembra un ruggito di una belva. È un primo incontro con la voce di Shabara, che riesce a trasformare la propria voce da un tono sciamanico che ricorda lo Yamantaka Eye più recente in uno sguaiato latrato nel giro di istanti: è una visceralità cruda, tribale, quasi ancestrale nel modo in cui modula la propria impostazione. Improvvisamente, una bordata distorta che farebbe sorridere Stephen O’Malley riempie lo spazio sonoro, sovrapponendosi a un ossessivo ritmo dal timbro industriale. Queste fonti sonore, tutte suonate da Suryadi, provengono da strumenti da lui appositamente costruiti, a volte modificando oggetti totalmente estranei al mondo musicale: sulla title track questa esistenza ibrida degli strumenti è accentuata  dal carattere a metà tra il percussivo e il plettrato che viene percepito con ogni nota.

I Senyawa non sono però solo una gimmick, per quanto essa sia affascinante: è estremamente intrigante la modalità con cui i brani della band, nonostante siano limitati dalla presenza di un solo strumentista a tutti gli effetti, riescano a trovare modalità espressive costantemente cangianti e stupefacenti. Kaca Benggala, il brano che chiude la prima facciata di Vajranala, è ad esempio tanto distante dall’identità dei due primi brani quanto lo è l’Italia dall’Indonesia. La furia di stampo quasi -core e il sacro fervore dell’opener Alnilam sono ora sostituite da un’ipnotica meditazione accompagnata da un gutturale borbottio di Shabara che non sfigurerebbe dentro un disco degli Egschiglen. L’impressione è quella di assistere a un’invocazione mistica a una divinità perduta, una riflessione sul potere del divino nel mondo fisico. È solo una serie di grugniti agonizzanti a chiudere il cerchio della prima metà del disco, riportando l’attenzione sul motivo musicale principale che lega assieme i tre brani che lo compongono. 

La reprise di Kaca Benggala sparpaglia ancor di più le carte in tavola, proponendo una ballata che inquieta con i suoi echi cavernosi, sdoppiando la voce di Shabara in un duetto spettrale con se stesso in cui è il vuoto a farla da padrone di fronte all’arrangiamento estremamente spoglio di Suryadi. Allo stesso modo, la seconda parte della title track decide ora di adottare un approccio più serpentino e sommesso, che presagisce il fuoco ruggente che aveva aperto l’album invece di mostrarlo. Fino all’ultimo momento, ascoltando il mantra che la voce di Shabara ripete incessantemente, siamo tenuti a pensare che la direzione del brano stia per strabordare in un’altra crivella di colpi mostruosi. Questa violenza però non si realizza mai, tenendo l’ascoltatore costantemente impegnato a captare segnali che emergono magmaticamente dall’insolito mondo sonoro del gruppo.

Hikmah, l’ultimo brano del disco, decide invece di immergere le mani in un fitto strato di rumore, che ricopre come un velo pesante il freakout di percussioni impazzite, invocazioni istrioniche e picchiate furenti sulle corde prima di chiudersi in maniera quasi inaspettata su un semplice motivo pizzicato sottovoce. Così, si è immediatamente catapultati fuori da Vajranala, quasi come se il mondo che tenta di descrivere non ci appartenesse, come se una grande porta di pietra fosse stata solennemente chiusa davanti ai nostri occhi, impossibile da aprire senza che interceda per noi la volontà divina: ciò che succede al di là di essa può esserci rivelato solamente dai Senyawa; ed è impossibile non identificarli come araldi, assieme ai Raja Kirik e ai loro progetti collaterali, di una nuova, audace e innovativa scena che sta finalmente iniziando a emergere da un angolo di mondo troppo a lungo ignorato dalla critica musicale e non solo.

Condividi questo articolo:
Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala