BLOOD INCANTATION – TIMEWAVE ZERO

Century Media

2022

Space ambient

Quando Hidden History of the Human Race, nel 2019, li consacrò definitivamente come fenomeno di primo piano del nuovo death metal evoluto agli occhi di un pubblico più vasto di quella metallaro, i Blood Incantation erano comunque un nome di punta già da diversi anni. Probabilmente, la prima uscita che li ha resi celebri tra gli addetti ai lavori è stato l’EP Interdimensional Extinction, del 2015, e la loro situazione è migliorata ulteriormente con l’uscita del primo full-length Starspawn, nel 2016. Tutto questo per dire che i Blood Incantation sono già da un bel po’ una delle formazioni più interessanti e creative del metal contemporaneo, e che noi – che siamo stati testimoni diretti della loro ascesa di popolarità – li seguiamo da tempo con tutte le migliori intenzioni: il loro perturbante death metal dissonante e progressivo (con ovvi riferimenti ai Death, ai Morbid Angel e, un po’ più defilati, anche ai Gorguts e ai Mithras), con i suoi scorci cosmici e siderali, li ha resi i migliori interpreti attualmente in circolazione della gloriosa scuola di “death metal psichedelico” che fa capo ai Timeghoul e agli Alchemist, e che nell’ultima dozzina d’anni – tra gruppi come Ghastly, Zealotry e Obliteration – sembra ritornata di moda.

Perciò, che il loro ultimo Timewave Zero fosse un disco completamente ambientale, fatto di due sole composizioni in quattro movimenti ciascuna, non ci creava a priori alcun tipo di problema. La musica ambient spesso ci piace, specie quella di estrazione kosmische / berlinese come quella contenuta in questo album; in più, loro sono stati finora bravi a inserirne suggestioni nei suoni e nelle atmosfere negli album precedenti. A dirla tutta, secondo le stesse dichiarazioni del chitarrista e cantante Paul Riedl, l’idea di chiudere la propria trilogia con un lavoro del genere era addirittura ben definita già dieci anni fa, il che garantisce perlomeno una progettualità dietro a Timewave Zero. Certo, se avessimo saputo per tempo che i Blood Incantation rilasciano interviste dove si bullano di “voler parlare al lato intellettuale e spirituale degli ascoltatori” e che non sono interessati a robe derivative e poco originali, sfottendo apertamente gruppi di estrazione più old school come i Gatecreeper (salvo poi lamentarsi che la colpa sia tutta di Metalsucks che ha editato convenientemente le loro dichiarazioni) avremmo probabilmente anche pensato che sono dei miserabili arroganti con la testa nel culo e saremmo partiti molto più prevenuti, ma vabbè.

In generale, non abbiamo nemmeno nulla in contrario ai gruppi metal che si muovono verso nuove direzioni – molto lontane dal metal – senza preavviso. Non vogliamo però nemmeno incorrere nell’errore opposto. Essere chiusi di mente è l’accusa standard che si muove a chi si macchia del crimine di non apprezzare drastici cambi stilistici di musicisti, in particolar modo nello spettro metallico, a prescindere dalla validità di ciò che si suona; ma sarebbe anche opportuno piantarla di tirare fuori sempre gli Ulver (sono sempre loro, dio buono) per legittimare qualsiasi capriccio e salto dello squalo di un artista. Non tutti i gruppi metal sono bravi a cimentarsi con sonorità diverse, e anzi se si guarda alla storia il confronto numerico tra chi ne ha le capacità e chi no è abbastanza impietoso: tra Burzum (il progenitore di questa nefasta tendenza), i Wolves in the Throne Room e Jute Gyte, si perde il conto degli artisti che semplicemente non hanno le carte in regola per fare dischi elettronici decenti, pur essendo musicisti metal capaci e creativi. (Se poi si includono nel body count anche i decorsi più soft di gente come Anathema, Cynic, Opeth e Baroness, che però non si sono mossi verso lidi elettronici, si comincia semplicemente a coventrizzare la croce rossa.)

E quindi, ‘sto Timewave Zero sta dalla parte degli Ulver o di Burzum? Ma ovviamente del secondo: si tratta di un disco insignificante, che pare fatto sfogliando distrattamente qualche pagina di wikiHow su come suonare come i dischi di fine anni Settanta di Tangerine Dream e Ashra, senza nessuna ricerca timbrica inedita o un’impronta atmosferica personale che possa far cessare, durante l’ascolto, il pensiero ossessionante che sarebbe stato meglio rimettere su Timewind o Ricochet. In particolare, se almeno Ea tira fuori qualche occasionale e interessante dialogo tra chitarra acustica e sintetizzatori sullo sfondo (cfr. il terzo movimento), nelle quattro sezioni di Io non si capisce quale scopo si siano prefissati i Blood Incantation oltre a quello di poter, infine, essere usati come muzak di sottofondo per il prossimo servizio al tg sul telescopio James Webb. Non c’è entusiasmo, curiosità, senso di mistero, angoscia o terrore, negli scenari dipinti da Io ed Ea; non c’è però nemmeno un’esplorazione musicale, qualche colpo di scena improvviso nella strumentazione, nei timbri, nelle strutture, nella scelta dei suoni e delle tecnologie adottate per la realizzazione dell’album. La musica di Timewave Zero galleggia in un limbo in cui, semplicemente, esiste, senza alcuno scopo: una parodia edulcorata della scuola di progressive electronic tedesca.

Per la cronaca, abbiamo mentito poco sopra: era ampiamente prevedibile che Timewave Zero, viste le condizioni di partenza, sarebbe stato un buco nell’acqua.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia