ANTI​-​MASS COLLECTIVE x NEVER NORMAL SOUNDSYSTEM – GUKUBA

Never Normal

2022

Techno, Jungle, Footwork

È da almeno un decennio che in Uganda (e in particolare nella capitale Kampala) si sta sviluppando una scena di musica elettronica tra le più fervide ed entusiasmanti del globo. La ricchezza delle voci coinvolte, insieme alla sensazione che ad ogni passo la peculiarità dello stile si rinnovi e le barriere vengano spostate un poco più in là, ha superato la diversità delle nostre sensibilità individuali e ha fatto appassionare tutta la redazione di Livore agli sviluppi di questo melting pot dell’Africa Orientale. Ci siamo immersi nell’esplorazione di questa realtà con un approfondimento colmo di stimoli e abbiamo segnalato con entusiasmo di volta in volta le uscite che più hanno lasciato il segno, dall’orgogliosa forza sonora del recente Afrorack al terremoto futuristico di Tewari l’anno scorso. Nel frattempo la Nyege Nyege Tapes e la Hakuna Kulala continuano a sfornare punti esclamativi al ritmo di una nuova uscita ogni due settimane, il Nyege Nyege Festival sembra una delle esperienze di musica dal vivo più belle dell’esistenza e insomma, si ha l’impressione che in questo momento a Kampala abbiano capito come tradurre in realtà il tocco di Re Mida.

Per questi motivi GUKUBA, una raccolta di contributi e collaborazioni tra un collettivo di artistə ugandesi e un insieme di producer statunitensi eredi della diaspora africana, è finita subito nei radar come ulteriore avventura sonora a cavallo di un’elettronica eclettica e ibrida capace di superare le frontiere geografiche e musicali. Purtroppo stavolta l’entusiasmo sarebbe mal riposto: in queste sedici tracce non c’è granché da segnalare. La musica inclusa in GUKUBA è sì aperta all’inclusione di molteplici stili e influenze, ma non sembra riuscire a sviluppare nessun discorso originale. Quasi tutti i pezzi sembrano andare ognuno per la propria strada, faticando a disegnare un percorso coerente e mancando spesso anche di una proposta personale che li renda autosufficienti. Ci sono tante idee ritmiche che vengono lasciate senza svolgimento, affidate a una ripetizione con poche varianti che non le valorizza e lascia l’impressione di stare ascoltando del materiale incompleto. Va anche detto che nella concezione dei pezzi la fisionomia di stili tipicamente africani, quali il battito cadenzato della gqom o le accelerazioni iperpercussive della musica singeli, emerge non immediatamente e non sempre; la struttura portante infatti richiama principalmente il suono codificato di techno, jungle e footwork, espressione delle comunità nere in Occidente e con diffusione primaria fuori dai confini africani. Questa non è certo una caratteristica negativa di per sé, ma applicata alle numerose e vaghe traiettorie dei brani finisce per creare un effetto di deterritorializzazione in negativo: una musica cioè le cui caratteristiche sono talmente sui generis che potrebbe essere stata prodotta in ogni luogo da chiunque abbia accesso a un software di composizione elettronica e una connessione internet. Trattandosi di una collaborazione costruita spesso a distanza tra nuclei diversi di una decina di artistə è comprensibile che non ci sia una direzione stilistica netta, ma allo stesso tempo è difficile interessarsi alle diverse creatività qui proposte se la forma con cui sono presentate risulta avere un’identità così sfuggente.  La parte centrale della scaletta offre comunque qualche buono spunto: i due pezzi a cui contribuisce No Eyes sono begli esempi di deconstructed breaks tra bombardamento ritmico e stratificazione sonora sulla vena del miglior Christoph de Babalon, preceduti dalla contagiosità appiccicosa di un numero ghettotech come Make It Shake. Raccogliamo intanto questi frutti, vedremo poi se la pianta crescerà.

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Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto