CONTAINER BELLO

LA NUOVA PELLE DEGLI ORANSSI PAZUZU

ORANSSI PAZUZU – MUUNTAUTUJA

Nuclear Blast

2024

Avant-garde Metal

Quando quattro anni fa avevo entusiasticamente recensito su queste sponde Mestarin Kynsi, avevo descritto gli Oranssi Pazuzu come una band capace di fare un salto quantico all’interno del proprio genere; cambiando pochissime coordinate e mettendo qualche puntino sulle i, il paradigma del black metal a tinte psichedeliche che li accompagnava da più di un decennio era stato completamente stravolto. Il culo mi rodeva quindi giusto un pizzico quando, trovandomi senza una connessione internet stabile a dodicimila chilometri dal mio computer, gli Oranssi facevano uscire finalmente il loro nuovo disco, Muuntautuja, all’inizio di questo ottobre.

Non appena ho avuto modo di avere i file pronti sul mio hard disk, però, sono rimasto abbastanza spiazzato da Bioalkemisti, l’opener di questo nuovo sforzo concepito durante il tour di Mestarin Kynsi: la voce di Jun-His è sempre la solita lama arrugginita, ma il contesto attorno ad essa si è completamente trasformato ancora una volta. L’umore predominante non è più quello del disco precedente, con i suoi fumi stordenti da sabba che coprivano le scorie black metal del gruppo; Bioalkemisti, infatti, si avvicina molto di più ai paesaggi spogli dei Killing Joke o dei Nine Inch Nails più duri. È anche la canzone più “dritta” degli Oranssi che riesca a ricordare: gli unici elementi di disturbo alla marcia instancabile della batteria saturatissima e del basso roboante sono deflagrazioni rumoristiche di chitarra e cori che, nella seconda metà del brano, potrebbero pure venire da un altro pianeta.
Si fa appena in tempo a riprendersi da questo primo, inaspettato frastuono industriale che l’attacco della title track manda di nuovo tutto gambe all’aria: ok che i Death Grips sono citati all’interno dei presskit come un’influenza sulle composizioni, ma ritrovarsi faccia a faccia con quella che è a tutti gli effetti una versione ancora più scura e opprimente di Guillotine…

In quei primi dieci secondi di Voitelu in cui il feedback delle chitarre riempie di echi spettrali le cuffie, un pensiero inizia a spuntarmi in testa: “ma non staranno mica facendo la mossa Ulver?”. La mossa Ulver, per chi non è filologicamente interessato alle sorti del famoso complessino norvegese, si riferisce nella mia testa a quel periodo, situato all’incirca tra il 1998 e il 2003, in cui gli Ulver decisero definitivamente di smettere di fare metal. Fortunatamente, questo non sembra essere il caso degli Oranssi Pazuzu, che comunque continuano a picchiare come dei fabbri quando vogliono; la sopracitata Voitelu ne è un fulgido esempio, con il suo drumming selvaggio e le sue chitarre atonali. Ma è impossibile ascoltare Muuntautuja e non chiedersi se si è ancora davanti a un disco metal di una band metal. La successiva Hautatuuli, ad esempio, con il suo ostinato mid-tempo si carica delle stesse atmosfere malinconiche dei Radiohead più maturi; e anche nei momenti più evidentemente vicini alle radici del gruppo, Voitelu e Valotus, le intrusioni di un distante pianoforte estremamente riverberatosparpagliano le coordinate del gruppo ai quattro venti. Queste e altre trovate non sono però il segnale di una teatralità à la Arcturus: per quanto lontana nell’approccio e nella realizzazione, l’affinità che continua a rimbalzarmi nella testa è adesso quella con il formalismo raggelante degli Ehnahre, paradossalmente.

Un’altra parola su Valotus: la costruzione di questo brano continua a sfuggirmi tra le mani, indipendentemente da quante volte la ascolti. È, ad oggi, il pezzo che credo rappresenti al meglio l’umore e il tema del disco, con le sue tre sezioni che riescono a risultare tanto diverse quanto coerenti tra di loro nello spazio di quasi sette minuti, ognuna col proprio momento spaccamascella. In un’intervista rilasciata ad Invisible Oranges, Jun-His commenta appropriatamente così:

You can make whatever you created disappear. And also pose a question like, did it even exist in the first place there?

Muuntautuja, a quanto pare, si traduce in “mutaforma”. E più si scava dentro al disco, più appare ovvio che l’intento dichiarato viene rispettato in pieno: quando la “zona di comfort” di una band metal può essere rappresentata da una doppietta micidiale come la jam mutante e psichedelica di Ikikäärme (a tutti gli effetti il momento più alto del disco) e dai titoli di coda carpenteriani di Vierivä Usva, il sentimento provato da un ascoltatore è tanto ambiguo quanto eccitante. Da una parte, il rischio che gli Oranssi facciano il passo più lungo della gamba e precipitino in un pacchiano vortice passatista aleggia sempre più minaccioso sulla testa della band finlandese, specialmente a causa dell’approccio anything goes che il gruppo ha sempre adottato. Dall’altra parte, invece, è bello vedere che finora la passione, la devozione e la creatività degli Oranssi hanno quasi sempre avuto la meglio, e che siano state le intuizioni geniali al di là degli stilemi in cui, troppo spesso, il metal si confina ad averci regalato ancora una volta uno dei dischi più belli di quest’anno.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala