VERDE PRATO – ADORETUA

PlanB-Rec

2023

Art Pop

Mi sono imbattuto nell’album d’esordio di Ana Arsuaga (aka Verde Prato) quasi per caso, su suggerimento di un amico, soltanto qualche mese fa. Kondaira eder hura era uscito oltre un anno prima, a marzo del 2021, ma era passato più o meno inosservato; tuttora, le ricerche su Google a riguardo non restituiscono ancora alcuna recensione. C’è da dire anche che una così misera copertura era giustificata dal fatto che ogni singola caratteristica di Kondaira eder hura sembra il risultato di un piano diabolico architettato appositamente per silenziare il più possibile ogni possibile clamore intorno alla sua pubblicazione: si tratta di un dischetto di folktronica artsy di poco più di venti minuti, inciso da una cantante esordiente proveniente da Tolosa (la cittadina spagnola sita nei Paesi Baschi), uscito per due minuscole etichette madrilene quali la Lago/Cráter e la PlanB-Rec, perdipiù cantato unicamente in euskara – i.e., in lingua basca. Niente di particolarmente appariscente, no?
E invece, Kondaira eder hura è un disco bellissimo dalla rara potenza evocativa ed emotiva. Il che è ancora più impressionante visti i mezzi piuttosto minimali adottati per la sua realizzazione: tutto si gioca semplicemente sull’interazione tra le scarne e glaciali trame minimal synth, abbozzate da una sola tastiera e supportata dal beat di una drum machine, e la splendida presenza vocale di Arsuaga, che ovviamente rappresenta la vera, grande protagonista del disco. La sua delivery struggente è pervasa dalla forza ieratica della musica sacra, ma è convogliata con la delicatezza onirica di una Hope Sandoval; le sue linee vocali sono riconoscibilmente pop, ma sono anche chiaramente contaminate dalle melodie ancestrali della tradizione musicale popolare basca. Se si aggiunge anche l’utilizzo poetico dell’euskara, ne emerge un acquerello sinestetico pervaso di un profondo attaccamento nostalgico in cui si respirano la musica, i colori, i paesaggi, lo spirito dei Paesi Baschi. Sette brani, venti minuti: se non l’avete ascoltato è il momento di interrompere la lettura e andarvelo a recuperare.


Come potrete capire, ero perciò piuttosto eccitato all’idea di un nuovo disco di Verde Prato, a due anni da quel gioiellino passato tanto in sordina. Purtroppo, però, le aspettative che riponevo in questo Adoretua sono state parzialmente deluse: la formula è sostanzialmente la stessa, ma il baricentro dell’operazione è sensibilmente sbilanciato sul lato art pop e minimal synth, specialmente per quanto concerne gli arrangiamenti. A mente fredda, si può dire che ciò che rendeva l’impatto emozionale della musica di Kondaira eder hura così travolgente era proprio il fatto che le basi strumentali fossero tanto scarne e ridotte all’osso, limitandosi a offrire un elementare controcanto alla melodia portante enunciata dalla voce o a disperderne una flebile eco; talvolta, le tastiere e le drum machine addirittura tacevano lasciando spazio soltanto alla dimensione atavica del canto di Arsuaga, in alcuni dei vertici più solenni del lavoro come la splendida Neskaren kanta. Su Adoretua, invece, le parti di tastiera si fanno (relativamente) più dense e stratificate, la pulsazione ritmica appare più nitida e incalzante, e pure i volteggi canori si fanno di conseguenza meno liturgici e più poppy, con il risultato che la componente melodica di estrazione folk e l’aura spirituale che avvolgeva l’interpretazione vocale di Arsuaga su Kondaira eder hura appaiono decisamente compromesse. Forse non è un caso che queste riemergano con vigore esattamente quando le tastiere vengono nuovamente relegate ai margini come accadeva nel disco d’esordio: si ascoltino a proposito Harrapatu ninduen e soprattutto la Izar baten begitazoa posta in chiusura, in cui si percepisce nuovamente l’intimo legame che intercorre tra Verde Prato e gli esponenti della euskal kantagintza berria (lett. nuova canzone basca, una forma di folk basco dal connotato sottotesto politico e identitario emersa nell’underground spagnolo tra gli anni Sessanta e Settanta). 
Non fraintendete: Adoretua rimane un disco carino, cantato in maniera affascinante, e pure capace di offrire discreti numeri di pop sintetico come Ahizpak e Garai galduak che richiamano brillanti precedenti al femminile come Laurie Anderson (con un’inflessione più gotica che può ricordare addirittura Jarboe). Oltretutto, il minutaggio è anche questa volta molto contenuto – si arriva a malapena a venticinque minuti di musica – quindi la delusione non fa in tempo ad affondare appieno i suoi denti nell’esperienza d’ascolto; ma a riascoltare Kondaira eder hura – io l’ho fatto, più volte, per mettere a fuoco cos’è andato perduto nel mezzo di questi due album – si percepisce un netto gap in personalità e ispirazione. Peccato.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia