SANAM – LIVE AT CAFE OTO
Il nome dell’etichetta londinese Mais Um Discos potrebbe non dirvi granché, ma è molto probabile che negli ultimi anni abbiate ascoltato e apprezzato diversi dei dischi che ha licenziato – da Juçara Marçal e i Metá Metá a Kiko Dinucci e Elza Soares. Ma, nonostante una missione prevalentemente votata alla nuova musica brasiliana, il suo catalogo ha recentemente ampliato il proprio bacino geografico di provenienza; tant’è che giusto un anno fa ha pubblicato Aykathani Malakon, il disco di esordio dei libanesi Sanam. La storia dei Sanam sembra fatta apposta per seguire il più possibile il canovaccio di quei tanti gruppi rock che, pur non provenienti dal mondo occidentale, grazie al supporto di illustri personaggi della musica rock europea o americana sono riusciti a bucare la nicchia del mercato locale per venire scoperti anche da pubblici solitamente meno attenti a ciò che succede ai confini dell’impero. Nel caso dei Sanam, l’illustre personaggio è nientemeno che Hans Joachim Irmler dei Faust: è stato lui nel 2021 a mettere insieme il gruppo, come one night stand, pescando alcuni dei musicisti attivi nella scena alternativa locale di Beirut allo scopo di farli partecipare al festival Irtjal; ed è stato sempre lui a spingere per la registrazione di Aykathani Malakon intorno al maggio successivo.
La musica di quel disco, scaturita spontaneamente da sessioni improvvisate sotto la direzione artistica di Irmler, è poco sorprendentemente legata a doppio filo con il rock europeo più sperimentale: tra atmosfere allucinate che richiamano la psichedelia più acida quando non il post-rock più dilatato, asperità armoniche e timbriche mutuate dal noise rock, incursioni elettroniche e ostinati ritmici di chiara ascendenza krautrock e post-punk, è evidente il debito stilistico che la musica di Aykathani Malakon paga con il panorama occidentale. Sono tutte parole fiche e tutti generi giusti, ma la realtà è che tutti questi riferimenti finivano per inficiare negativamente sull’arte dei Sanam. Nonostante l’utilizzo di materiale melodico proveniente dalla tradizione araba (per esempio, la melodia di Ya Nass è tratta da una canzone di Sayed Darwish, uno dei padri fondatori della musica popolare egiziana) e nonostante il canto melismatico di Sandy Chamoun alle prese con i versi di poeti come i libanesi Bassem Hajjar (per la title track) e Paul Shaoul (su Ayouha Al-Taiin Fi Al-Mawt) o l’arabo-andaluso Ibn al-Khatib (su Mouathibatti), il sound complessivo di Aykathani Malakon suona castrato dei suoi caratteri più intrinsecamente regionali e locali – quelli che, in definitiva, renderebbero la musica di un gruppo rock sperimentale libanese un’entità a sé rispetto a qualsiasi band omologa europea o americana. Il materiale di partenza è chiaramente interessante, ma la resa finale non rende giustizia alle premesse del progetto.
Tuttavia, Aykathani Malakon ha ricevuto un discreto plauso (è stato pure coperto entusiasticamente dal Guardian), tanto che a novembre dell’anno scorso i Sanam sono riusciti a portare il materiale di quell’esordio in Europa – pur nel mezzo della tempesta di difficoltà portata nel mondo arabo dalla riapertura delle ostilità a Gaza. Questo Live at Cafe Oto è stato registrato a Londra proprio in occasione dell’ultima data di questo tour (qui potete pure reperire il video integrale del concerto, il cui audio peraltro è esattamente ciò che potete ascoltare su disco) e documenta un gruppo profondamente diverso da quello che solo un anno e mezzo prima aveva inciso Aykathani Malakon: il che sembra assurdo, contando che la scaletta contiene precisamente i nove pezzi di quell’album, anche se riarrangiati in ordine differente, e nessun materiale nuovo. Il batterista Pascal Semerdjian attribuisce il merito di questa rinnovata prospettiva musicale al suonare per molte date di fila gli stessi brani, facendoli evolvere da improvvisazioni istintive a opere più compiute, ragionate e coerenti. In realtà non sempre è facile stabilire quanto queste modifiche siano dovute a una deliberata intenzione del gruppo e quanto invece siano state forzate dalla dimensione concertistica, che per forza di cose costringe il sestetto a saturare meno la propria musica con effetti, distorsioni e volumi. Paradossalmente però proprio questo approccio più contenuto, che fa emergere con maggior decisione il contributo del buzuq di Farah Kaddour, finisce per esaltare l’aura nervosa e l’impatto espressivo di pezzi come Aykathani Malakon, Bell, o 94, insieme evidenziandone il carattere regionale che avvicina l’estetica dei Sanam a quella più propriamente folk degli Al-Rahel Al-Kabir (altro gruppo della cantante Sandy Chamoun). Ma quando si tratta invece di scelte in fase di arrangiamento ed esecuzione – specialmente per quanto riguarda il tempo e le parti strumentali, che soprattutto a livello ritmico sono discretamente più sofisticate e meno quadrate – è evidente non solo la ricerca a monte di tutta l’operazione, ma anche il netto miglioramento apportato al materiale dell’album di debutto. Si prenda per esempio Ya Nass, che su Aykathani Malakon non arrivava ai sei minuti e che nella sua interpretazione al Cafe Oto sfora invece i sette: i battiti per minuto si abbassano e il contributo dei vari feedback di chitarra, riverberi ed echi che trasportavano la versione in studio verso territori più psichedelici viene ridimensionato, mentre si accentuano le grottesche manipolazioni e le distorsioni della voce di Chamoun. In questo modo il suono dei Sanam diventa più spoglio, brutale e sinistro, e il pezzo assume una forma completamente inedita: sembra davvero di ascoltare una collisione tra i primi Swans e Umm Kulthum. Anche la durata di Mouathibatti guadagna due minuti netti, trasformandosi da un lisergico numero di krautrock scandito dalla rigida pulsazione ritmica e venato soltanto subliminalmente da tinte melodiche melodiche arabe a un numero di avant-folk estremamente più peculiare, grazie al ruolo di primo piano conquistato dal buzuq che sull’album d’esordio non aveva minimamente.
Certo, sicuramente il fatto che Live at Cafe Oto non abbia fatto alcuna fatica allo scopo di editare via gli applausi e le urla del pubblico all’inizio e alla fine di alcuni pezzi della setlist inficia un po’ l’esperienza d’ascolto, disturbando l’atmosfera ipnotica e immersiva che i Sanam riescono egregiamente a convogliare durante la loro performance. Ma forse proprio per via della genuinità e dell’assenza di qualsivoglia intervento tra la registrazione in presa diretta e la pubblicazione di questo concerto la musica contenuta in Live at Cafe Oto suona tanto più cruda e intensa, riuscendo dove l’esordio in studio aveva fallito. Un ottimo esempio di come, anche nel 2024, un album live possa suonare rilevante e arricchire di mille sfumature l’estetica musicale di un artista.