CONTAINER BELLO

I DOS MONOS DISTRUGGONO TUTTO

DOS MONOS – DOS ATOMOS

Deathbomb Arc

2024

Experimental Hip Hop

Una caratteristica alquanto divisiva dell’approccio giapponese al rock è il loro sconfinato amore per le sue derive più convolute. Dal prog al noise, dalle avanguardie alla plunderphonics, il Giappone è sempre andato a nozze con un certo modo di intendere l’estremismo musicale, tanto nella tecnica quanto nell’ideologia alla base. Questa fascinazione per l’eccesso ha generato negli anni molti dischi creativi e lungimiranti, eppure ostici da capire e soprattutto ascoltare – il primo esempio che mi balza in mente sono i magnifici Ruins di Tatsuya Yoshida, che prendono il già tortuoso zeuhl dei Magma e lo ibridano ulteriormente mischiandolo col noise e il math rock. La lista potrebbe poi andare avanti all’infinito: i Gerogerigegege, i numerosissimi progetti di Keiji Haino, i dischi più bestiali dei Boredoms, il free jazz di Toshinori Kondo e così via. Tutti nomi che hanno plasmato l’identità dell’underground giapponese, artisti prolifici, eclettici al punto da oscillare tra lavori avanguardistici e monnezza insensata. Questo approccio così radicale si ritrova quindi in diversi generi, ma per quanto mi riguarda brilla particolarmente quando applicato a due di essi: la plunderphonics e l’avant-prog, la cui intrinseca frammentarietà – prevalentemente timbrica nel primo e compositiva nel secondo – ben si sposa con questo febbrile impulso verso il contorto. La plunderphonics in particolar modo accoglie dentro sé brandelli di tanti altri tipi di musica, avant-prog compreso; c’è quindi la possibilità di ragionare su più livelli, stratificando campionamenti già belli densi a formare un prodotto ancor più impenetrabile. 

Nella prima parte della loro carriera, specie nel riuscito debutto Dos City, il trio hip hop dei Dos Monos non aveva mostrato particolare interesse per le astrusità descritte sopra, optando invece per un affilatissimo boom bap jazzato e pieno di swag; la loro forza stava nell’utilizzo creativo dei campionamenti e nell’interplay tra gli MC, a formare dischi dal sound contemporaneo e molto più internazionale di tanti altri progetti rap del Sol Levante. Dopo qualche altra uscita sulla stessa linea d’onda, col nuovo album Dos Atomos i tre sembrano essere inspiegabilmente impazziti – in senso buono. La loro concezione di musica hip hop, che seppur caotica non si staccava mai da una certa solidità strutturale, muta qua nell’equivalente sonico di un puledro imbizzarrito. Continui cambi di tempo, cadenze, timbriche e arrangiamenti coalescono in una gloriosa cacofonia in cui è del tutto impossibile prevedere cosa succederà entro pochi secondi; nonostante ciò, la direzione presa dalla band suona incredibilmente puntuale, rifacendosi distintamente ai collage deliranti dei Ground Zero di Otomo Yoshihide. Questo altro gigante della weirdness giapponese, che ha collaborato con mezzo mondo con risultati spesso totalmente fallimentari, verso la metà degli anni ‘90 si è però reso principale artefice di una delle sperimentazioni più riuscite del periodo. Appiccicando insieme avant-prog, plunderphonics, noise, drone, rock e jazz d’avanguardia, Yoshihide ha creato un mostro di Frankenstein unico nel suo genere. L’esempio più riuscito di questo modus operandi è sicuramente Plays Standards, geniale decostruzione di classici rock adult-oriented giapponesi, riassemblati poi in un horror vacui grasso, eccessivo, irresistibile. Un disco importantissimo, la cui attitudine riecheggia ancora dove meno ce lo si aspetta, da Mista Thug Isolation di Lil Ugly Mane a Paper Cut from the Obit di Celestaphone. Immaginatevi quindi la mia soddisfazione nell’accorgermi che Yoshihide è proprio presente sul disco, al giradischi in QUE GI, e che i Dos Monos sembrano aver capito alla perfezione come incanalare questa schizofrenia sonora attingendo al suo umorismo, al suo dinamismo, alla sua forza espressiva.

Troviamo quindi brani come MOUNTAIN D, mistura di schitarrate acide à la Nine Inch Nails, sassofoni tamarrissimi presi da chissà quale improbabile jazz rock e beat cibernetici sotto a un flow che si apre continuamente nel solito hook stonato e ossessivo; HI NO TORI, che incorpora nu metal a furiosi break elettronici in una frenesia che non ha niente da invidiare a DioControDiavolo; e ancora DATTO, dove un basso appiccicoso come una Big Babol fa da cuscinetto a mille suoni diversi di synth, mille campionamenti fugaci. Un disco hip hop così pesantemente off beat non si sentiva dai tempi dei Curse ov Dialect; si parla di musica in cui l’identità delle singole componenti ha poco a che fare con il valore del tutto. La stupidità timbrica, la scoordinazione dei passaggi melodici, gli arrangiamenti che si pestano i piedi da soli – tutte caratteristiche da valutare sotto l’ottica di una concezione musicale che vuole sbalordire e divertire, tirar via l’ascoltatore dai soliti lidi sonori e metterlo seduto alla tavolata del cappellaio matto. Dischi come Dos Atomos vivono sul filo di un rasoio: è facile ascoltarli nel momento sbagliato e venirne infastiditi, o sentirli distrattamente e non capire dove vogliono andare a parare. Se fanno click regalano tuttavia un’esperienza fantastica, un ascolto che ti resta in testa per tanto tempo e ti fa sentire un po’ più libero di prima.

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David Cappuccini
David Cappuccini