NZE NZE – ADZI AKAL
Prima di lasciarci per le vacanze invernali volevo prendermi un po’ di spazio tra le recensioni per parlarvi di un disco recuperato in zona Cesarini dalla Top 100 del 2022 di TheQuietus, che clicca quasi tutte le mie sensibilità e che, nonostante non sarà tra le mie selezioni di quest’anno, non deve assolutamente essere abbandonato all’oblio di internet. Sto parlando di Adzi Akal, debutto in long play di un trio di musica sperimentale stanziato a Parigi composto da Matthieu Ruben N’Dongo (un immigrato di seconda generazione di discendenza centrafricana) e dai fondatori della label Okvlt, Tioma Tchoulanov e Gaëtan Bizien. I tre si sono incontrati all’Astropolis di Brest nel 2020, hanno collaborato alla Red Bull Music Academy di Parigi nell’anno successivo e quest’anno sono usciti per Teenage Menopause con il loro primo disco sotto moniker NZE NZE.
La discendenza di N’Dongo è il punto centrale da cui si dipana il filo estetico del disco: i brani sono cantati in lingua fang e la trama di tutto l’album espone una storia bellicosa, un epos che affonda le sue radici nelle warsong che hanno echeggiato nei secoli tra i Fang del Camerun, della Guinea equatoriale e del Gabon. La resa sonora di questa narrazione ha avuto su di me un effetto straniante, bifronte. Adzi Akal, nel corso di tutta la sua durata, non fa segreto dei suoi punti di riferimento più intimi: ma stavolta non ci troviamo più nei luoghi dell’elettronica contemporanea di Hakuna Kulala, né in quelle propaggini ottimiste di afrobeat che popolano grandi appezzamenti della musica contemporanea, che sia un pezzo dance-punk o una broda fusion o funk. Gli NZE NZE, se si ha il coraggio di farsi guidare dal loro progetto, tentano di traumatizzare l’ascoltatore riportandolo a una scrittura musicale di inizio anni ’80, in quella congiuntura storica e culturale del post-punk anglofono che ci ha regalato alcune delle esperienze uditive più sconvolgenti della nostra vita, che siano esse ritrovate nei Pop Group o nei Tuxedomoon. Sicuramente arrivare ai numi di un certo genere di musica sperimentale è un po’ eccessivo per descrivere l’effetto del trio parigino, ma nel disco spunta spesso una grottesca mescolanza di dub atmosferica e bisbigli gutturali à la Mark Stewart, questo è innegabile. E non è solo questo: Adzi Akal, tutt’altro che compatto, si slabbra e si sfilaccia in tantissime occasioni riportando l’attacco di guerra in una dimensione più libera e tribale che per certi versi sbertuccia gli African Head Charge in una loro versione più dark e turpe, con l’acquitrino dub che apre immaginari non troppo dissimili dalla Nwando Ebizie più sepolcrale.
Nel corso dell’esperienza, però, veniamo più volte riportati coi piedi per terra. Basta l’urlo clippato del refrain di Alu Da Ke Yang a ricordarci, col suo timbro che si apparenta a Jamie Stewart, che il trio parigino si muove nel campo del post-industrial: non un errore del sistema, tutto sommato. Forse quelle percussioni schiacciate come frittelle sono nel girone di Rey Sapienz più che in quello di Foetus – questa è la risposta che emerge da un rapido swish del rasoio di Occam. E questa contestualizzazione più plausibile getta luce anche su qualche altro difetto del disco: un vago disimpegno verso la complessità di scrittura, una certa ricerca ostinata dell’atmosfera, in generale una linearità che allappa il palato di un senso di incompiutezza, di occasione mancata. Però, però, però: da quanto tempo è che dei pezzi così sparpagliati non mi davano quel senso che tanto cerco di Rip It Up and Start Again? Com’è successo che i primi a venirmi in mente sono stati i Pop Group e i Tuxedomoon, e non i maledettissimi Xiu Xiu? Forse che sia questa la versione più vicina al post-punk revival come lo vorremmo noi? Forse è un abbaglio totale?
Non ho la risposta a queste domande, ma quel che è certo è che in questi giorni non riesco a non ritornare su Adzi Akal, tra una scarica di endorfine e una carica di sbadigli. Alla fine della fiera mi fossilizzo su Yemendzine, su Odzamboga, su Zis Da Tang Zis, e le risposte che mi do sono molto più concrete, molto meno peregrine. Questa roba si fa ascoltare, fa riflettere, è interessante e piacevole. Che cosa voglio di più?
(Voglio il prossimo disco dei NZE NZE)