CONTAINER BELLO

GLI EXTRA LIFE SONO TORNATI PER CONQUISTARVI

EXTRA LIFE – SECULAR WORKS, VOL. 2

Vibe Abyss

2022

Avant-Prog, Math Rock

Una band newyorkese esordisce presentandosi fin da subito con un approccio originale alla musica che suona e si ricava un posto nel cuore di appassionatə del genere; a un certo punto però sparisce dai radar e riappare solo molti anni dopo pubblicando un nuovo disco che ne riconferma il valore. Scenario improbabile? Eppure nel 2022 si è verificato non una, ma due volte. Quest’anno abbiamo già accolto con immensa soddisfazione il primo album degli Aeviterne, che hanno in formazione i due terzi dei Flourishing – giusto una delle band death metal più peculiari e sottovalutate di sempre – e che hanno saputo riproporre con forza la propria visione artistica a quasi  un decennio dall’ultima testimonianza del gruppo madre. Poi ci sono gli Extra Life, che hanno pubblicato qualche mese fa questo Secular Works, Vol. 2 dopo un silenzio stampa altrettanto lungo; anche in questo caso parliamo di un disco fulminante che ci ricorda perché avevamo segnato il loro nome tempo addietro. Il ritorno in grande stile degli Extra Life era tuttavia ancor più impronosticabile rispetto all’evoluzione dei Flourishing. Nel caso del trio death metal si era trattato di una cesura repentina prolungata a tempo indeterminato, avvenuta quando il gruppo era ancora all’apice della propria potenza; gli Extra Life, invece, prima di mettersi in stasi avevano fatto in tempo a declinare. La loro opera prima ha attirato attenzione e curiosità in egual misura: Secular Works è un gioiello che ha un fascino raro per un lavoro musicale degli anni Zero, perché mette chi ascolta di fronte a qualcosa di sinceramente nuovo rispetto al passato. Per la prima volta, almeno a memoria di questa redazione, si sente un gruppo riprendere l’eredità di Magma e Aksak Maboul con forti accenti math rock sotto la guida di una voce che si esprime con naturalezza nello stile trecentesco dell’ars nova di Guillaume de Machaut. L’effetto è straniante, musica pesante dotata di una grazia ineffabile, con passaggi ostinati e convoluti (sia nelle frasi musicali che nelle parole dei testi) che trovano il contraltare in momenti in cui voce e melodie sembrano volteggiare leggiadre sul vuoto. Non durerà. Già dal disco successivo gli Extra Life stravolgono il proprio suono, incorporando un uso più ampio dell’elettronica e concedendosi ad una produzione che calca la mano sugli aspetti più pomposi della propria musica; nel nuovo corso stilistico si viene a perdere completamente l’austerità che rendeva la loro espressione così viscerale e non a caso a farne le spese è prima di tutto la voce di Charlie Looker, imbrigliata tra orpelli sonori che la costringono a normalizzarsi per non scivolare in effetti caricaturali. Ecco, a questo punto gli Extra Life sembrano diventare un gruppo normale e, una volta esaurita la spinta creativa degli inizi in due dischi dimenticabili, il loro percorso poteva dirsi concluso. Fino ad ora. 

L’iniziale What Is Carved sembra rimettere indietro gli orologi ai fasti di Blackmail Blues, che inaugurava Secular Works: bordate angolari di basso distorto e strutture rampicanti di basso e batteria che si sviluppano attraverso una ripetizione ossessiva in mulinelli scuri e densi. Questa ricorsività si riverbera nei richiami anaforici dei fonemi cantati, ma allo stesso tempo si scioglie attraverso l’intonazione celestiale della voce di Looker. Cilicio ed estasi: tutto come ai bei tempi? In realtà molto è cambiato. Innanzitutto, della formazione originale è rimasto solo il violinista Caley Monahon-Ward oltre al frontman: alla batteria esordisce Gil Chevigné e al basso elettrico si prodiga addirittura Toby Driver, tra le altre cose artefice dei maudlin of the well e dei Kayo Dot, che nonostante questi malus sul suo curriculum qui offre un contributo notevole.  Poi è mutato radicalmente l’orizzonte narrativo. Il Looker del 2008 trasmetteva nei suoi testi l’alienazione verso la vita spersonalizzata di una grande città come New York, utilizzando un linguaggio evocativo ma radicato nella contemporaneità; su Secular Works, Vol. 2 invece usa immagini di una solennità antica, di ispirazione neoclassica e gotica, a cui però vengono giustapposti riferimenti critici e mirati al mondo presente. Un esempio da We Are Not the Same:

Our lady of the wagging finger
Saint of lies, and maybe even truths
A functionary
Nothing but a gargoyle on that bloated old cathedral they pay you not to see
[…]
Our lady of the pushed paper
File our sins, perform confession
A form apology

Menzioni di statue, chiese e divinità sono la chiave allegorica per parlare di una realtà persa tra paranoia e burocrazia, la cui tristezza contrasta con un’idea più alta di spiritualità: conflitto che viene incarnato anche nella convivenza tra le dissonanze brutal prog e i volteggi da ars nova del cantato, con una compenetrazione profonda tra identità musicale e volontà comunicativa.

Il cambiamento più netto e impattante però risiede in qualcosa che chiunque presti attenzione al disco può captare: questa versione degli Extra Life possiede una spiccatissima sensibilità melodica. Non è un caso che metà della scaletta sia dedicata a pezzi di impostazione folk, spesso eseguiti con una strumentazione scarna che si trova a proprio agio ad interagire con silenzi e spazi vuoti, facendo emergere i punti di luce delle composizioni. L’arma vincente è l’abilità vocale di Looker, che forse udiamo in queste registrazioni nella sua forma più libera e vivida: capace di ergersi imperiosa o farsi di miele, scura invocazione o canto di sirena, mostra un controllo totale su un registro espressivo molto ampio che fa il bello e il cattivo tempo nei brani. Basta ascoltarsi What’s Been Lost? e How To Die, che si reggono in gran parte sul cantato con accompagnamenti minimali di strumenti e cori. Nel primo caso le percussioni medievali e la solennità delle campane innalzano la tragicità rovinosa da fine impero che emana con forza dalle corde vocali di Lookman, che diventa luciferina quando parte uno stab di elettronica ribollente sul suo cavernoso “Draw breath!”; poco dopo, nella chiusura elegiaca del disco, lo troviamo invece alternarsi tra una dolcezza sgomenta e una solennità ineluttabile di fronte al pensiero della morte, con chitarra, cori e delicata effettistica che sembrano orientarsi magneticamente intorno ai suoi umori. Un incantatore all’opera insomma, ma altrove ha un valido aiutante con cui compiere il rito: viola e violino hanno una presenza più centrale in questa formazione, con Monahon-Ward che si mostra felicemente ispirato lungo il corso del disco. Si sente nella coda conclusiva di We Are Not the Same, dove si intreccia con il sassofono di Nate Wooley fino a fondersi ad esso, e nella meravigliosa The Play of Tooth and Claw, dove riesce a trasmettere l’atmosfera festante e misteriosa del brano alternando vivaci passanti melodici a droni di note, ricamando alla perfezione l’incanto della voce.

I pezzi in cui la forza di questi Extra Life viene fuori in maniera più evidente sono però ancora quelli in cui tutti questi aspetti si legano a doppio filo con la parte più pesante e cerebrale della loro musica, diventando un modello difficilmente replicabile di math-prog dall’intensa emotività. Coming Apart e Diagonal Power sono le chiavi di volta del disco e due tra i pezzi più belli dell’anno. Mi esimo dal descriverli nel dettaglio e stavolta più che mai invito all’ascolto diretto. Giusto alcune sensazioni: il modo in cui la musica si mantiene frammentaria nella parte iniziale di Coming Apart, con le raffiche metalliche che si alternano alle frasi musicali sfilacciate degli archi, per poi ricongiungersi in un crescendo tooliano sotto l’egida di un canto emotivamente colmo di luci ed ombre, è da brividi puri; il tema di corno che introduce Diagonal Power è di un’epicità palese, ma lo è altrettanto il modo in cui corno e viola si passano il testimone e si compenetrano con gli avvitamenti math rock durante la progressione del pezzo, dando profondità alle parti più spigolose e colorando il brano di molte correnti espressive che emergono sempre più vivide con il passare degli ascolti. Momenti esaltanti di un lavoro che potremmo definire catartico. Pochi dischi nel 2022 hanno saputo arrivare al cuore e alla mente come questo: che sia la chiusura di un cerchio o un nuovo inizio, c’è troppa bellezza qui perché possiate ignorarlo.

My melody
Marks a trace

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Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto