ESOCTRILIHUM – ASTRAAL CONSTELLATIONS OF THE MAJICKAL ZODIAC
Partiamo da un dato elementare, ma comunque molto significativo: negli ultimi due (2) anni la mente dietro alla one man band Esoctrilihum ha registrato e pubblicato una roba come 420 minuti di musica. Stiamo parlando di sette ore completamente votate a una delle più esoteriche manifestazioni del metal estremo contemporaneo, suonate in totale autonomia, licenziate a cadenza ormai semestrale dalla I, Voidhanger – e, non per essere maligni, ma non poteva che essere la I, Voidhanger: un’estetica tanto oscura, obliqua e dalla grandiosità così tronfia si sposa benissimo con la produzione di un’etichetta che spesso sembra interessata solo a produrre dischi degli artisti dallo stile più assurdo e improbabile in circolazione. Per carità, in passato il suo lavoro ci è pure piaciuto discretamente: pur con tutte le ingenuità del caso, sia Eternity of Shaog che il successivo Dy’th Requiem for the Serpent Telepath – che noi stessi abbiamo elogiato su queste pagine – avevano rivelato una personalità creativa dall’invidiabile gusto melodico e compositivo, ma soprattutto dotata di un’intelligenza rara nel concepire il matrimonio tra il death/black metal più lovecraftiano e l’elemento sinfonico. Poi però la mole di materiale che Esoctrilihum ha tirato fuori ha reso praticamente impossibile stare al passo con la sua prolificità. L’ultimo lavoro cui ho dato una chance è stato il più violento e privo di fronzoli Consecration of the Spiritüs Flesh (del giugno 2022), che qua e là flirtava con la brutalità del war metal, mentre non ho la minima idea di come suonassero invece Saopth’s (uscito soltanto tre mesi dopo il suo predecessore – troppo presto perché potessi prenderlo sul serio) e Funeral (gennaio 2023).
Questo nuovo Astraal Constellations of the Majickal Zodiac rappresenta l’ultimo parto di Esoctrilihum. Si tratta di un monolite dalla durata di oltre due ore composto da tre dischi essenzialmente indipendenti, ognuno dei quali provvisto di lunghissimo quanto pretenziosissimo titolo personalizzato, composti nell’arco di tre anni tra 2020 e 2022. Visto il lasso di tempo durante il quale è stato concepito e vista la mole di materiale contenuta, a Astraal Constellations of the Majickal Zodiac va riconosciuto perlomeno il merito di illustrare vividamente tutti i pregi – ma soprattutto tutti i difetti – della missione Esoctrilihum. I primi si possono ascoltare quasi tutti sulla prima parte In the Mystic Trance of Tȃimonh Ѳx, The Cosmic Bull God, che offre un more of the same di ciò che avevano già espresso Eternity of Shaog e Dy’th Requiem for the Serpent Telepath – e quindi: un metal sinfonico insieme terrificante e maestoso, con un suono imponente che che pare una declinazione lato black metal dell’idioma di gente come Phlebotomized e Septicflesh. Ovviamente non tutto è a fuoco, esattamente come non lo era nei passati dischi di Esoctrilihum sopra citati: il missaggio così grezzo intorbidisce il riffing delle chitarre rendendolo talvolta inintelligibile, ed è innegabile che la drum machine dia un suono asettico e monodimensionale che mal si sposa con la stratificazione timbrica offerta da archi e sintetizzatori. Oltretutto, la tortuosa scrittura dei brani, che indulge volentieri in strutture labirintiche e serpentini cambi di tempo, timbro e umore, appare erratica quando non confusa, il che non è un buon segnale quando i pezzi hanno una durata media di sette minuti. Ma è altrettanto vero che ogni traccia, che sia l’apertura Arcane Majestrïx Noir o il vertice relativo di Tȃimonh Ѳx, propone all’ascoltatore qualche momento di interesse capace di tramutare la curiosità in attenzione e ammirazione – che sia una qualche struggente idea melodica introdotta dal violino, una scelta di arrangiamento delle tastiere, o l’atmosfera misteriosa e conturbante ottenuta dall’incastrarsi di queste con il paesaggio black/death tratteggiato da chitarra, basso e batteria.
Poi però arriva In the Presence of AlŭBḁḁl, The 5-Eyed Star Beast, e la situazione comincia a farsi estenuante. La portata magniloquente degli orpelli sinfonici regredisce progressivamente alla dimensione degli abbellimenti barocchi tipici di tanto black metal sinfonico più tradizionale, mentre le sonorità si appiattiscono su un black/war metal più diretto e lineare che discende direttamente dai brani di Consecration of the Spiritüs Flesh. Il flusso narrativo della musica, così appesantito da una forma fondata essenzialmente sul rifforama e sulla concatenazione di microsezioni virtualmente indipendenti l’una dall’altra, implode su se stesso; la scrittura si fa così bozzettistica e frammentata che i brani iniziano a confondersi l’uno con l’altro, e non si riesce più a percepire dove termina uno e dove parte l’altro. Anche un brano come Skorpïus Nebŭlah Tyrant, che è forse l’unico di questo disco capace di offrire barlumi della creatività mostrata nella prima parte, suona assurdamente privo di direzione: la sua raison d’être sembra essere unicamente quella di inanellare in fila diverse sezioni che, per quanto accattivanti, sembrano non comunicare minimamente l’una con l’altra.
Quando si arriva infine alle due torrenziali composizioni che occupano l’interezza di In the Mouth of Zi-Dynh-Gtir, The Serpen-Time Eater – di fatto, indistinguibili da una mera concatenazione di brani dal minutaggio più contenuto come quelli che componevano i due dischi precedenti – la pazienza è ormai esaurita e l’ascolto di questi ultimi quaranta minuti di musica si fa quasi insostenibile. A parziale discolpa di Esoctrilihum, non è un problema intrinseco della qualità del materiale – che comunque non è all’altezza del primo In the Mystic Trance of Tȃimonh Ѳx, The Cosmic Bull God – quanto della prolissità del lavoro nel suo insieme: in due ore, si ha la spiacevole sensazione che Esoctrilihum enunci, ribadisca, ripeta e quindi ridica ancora una volta sempre lo stesso contenuto, con pochissime variazioni concettuali. Anziché limare la formula dei (ben più riusciti) album pubblicati in passato, Esoctrilihum ha semplicemente dilatato il minutaggio a disposizione.
Se proprio siete curiosi, magari perché come me avete apprezzato Eternity of Shaog e Dy’th Requiem for the Serpent Telepath, potete limitarvi all’ascolto del primo disco di Astraal Constellations of the Majickal Zodiac. Se non conoscevate Esoctrilihum prima di questa recensione, allora lasciate pure perdere.