CONTAINER BELLO

DOG WHISTLE È UNO DEI MIGLIORI DISCHI HARDCORE DELL’ANNO

SHOW ME THE BODY – DOG WHISTLE

Loma Vista

2019

Hardcore Punk

I newyorkesi Show Me the Body si sono formati quasi dieci anni fa – nel 2010 – ma solo da pochi anni hanno cominciato a pubblicare effettivamente la loro musica. Dopo un paio di EP avevano rilasciato il loro debutto nel 2016 tramite la Loma Vista: Body War era un disco selvaggio e nichilista, ispirato tanto dalla grande scuola hardcore punk della East Coast quanto dall’hip hop più dissonante e sperimentale, una furiosa reazione al processo di gentrificazione che sta subendo New York e al conseguente, devastante impatto sulla sua popolazione.

Da allora un ulteriore EP, un mixtape e infine il successore di Body War, pubblicato un paio di settimane fa nuovamente per la Loma Vista. Dog Whistle è estremamente vicino nello spirito a Body War (il filo conduttore è sempre la testimonianza diretta e il rifiuto delle politiche attuate da una città che abbandona e respinge gli abitanti dei quartieri meno abbienti, amplificando le disuguaglianze sociali), ma musicalmente si muove su coordinate alquanto diverse. Se l’esordio sembrava profondamente influenzato dalla musica di collettivi sperimentali del nuovo hip hop quali Death Grips e clipping. (non solo per il considerevole e non comune apporto dell’elettronica, ma anche per lo stile vocale di Julian Cashwan Pratt, spesso molto vicino al rap), Dog Whistle ribadisce con più convinzione la provenienza del trio dal mondo del noise rock e dell’hardcore punk, senza però rinunciare a rileggere la tradizione del rock duro newyorkese sotto la stessa lente di hip hop ed elettronica più estrema (in particolare dell’harsh noise, di cui il gruppo si dichiara avido consumatore).

Il suono cui giungono gli Show Me the Body diviene quindi peculiarissimo, anche per via della strumentazione inusuale (non solo il sampler, gestito dal bassista Harlan Steed, ad accompagnare la formazione, ma anche un banjo – suonato invece da Pratt – che sostituisce la chitarra elettrica e conferisce alla musica del gruppo un carattere timbrico particolare e a suo modo alieno). L’accordatura ribassata e le pesantissime distorsioni tradiscono più di un debito con i momenti più pesanti e lenti del primo hardcore americano, soprattutto i Black Flag della seconda metà di My War, e con le derive dello sludge metal successivo stile Fudge Tunnel: quest’influenza emerge particolarmente nell’oltretombale downtempo di Now I Know, che sfiora quasi il suono industriale dei primissimi Swans. Tuttavia, la struttura e l’esecuzione dei brani generalmente hanno più a che vedere con le sfuriate hardcore di Cro-MagsMinor ThreatVoid, e Unsane, talvolta lambendo il suono più metallico e angolare dei seminali Rorschach e dei Today Is the Day epoca AmRep. Le principali eccezioni, senza contare la breve digressione harsh noise di Animal in a Dream e il frammento recitato di Die for the Earth to Live (che complessivamente non raggiungono il minuto e mezzo di durata), sono Camp Orchestra, posta in apertura e aperta da un lento, sinistro e malinconico duetto di due minuti tra il basso e il banjo (anche se si chiude con un hardcore a rotta di collo, dal riff portante di discendenza addirittura slayeriana), e Arcanum, guidata per quasi tutta la sua durata da un bellissimo arpeggio del banjo (e in cui vi è una delle prestazioni vocale di Pratt più vicine allo pseudo-hip hop di Body War in tutto il disco).

Ciò che però fa la vera differenza rispetto a molti altri gruppi noise rock e hardcore punk attuali è il creativo utilizzo del sampler. La componente elettronica pervade tutti i brani, ritagliandosi un ruolo primario nell’economia dei brani e interagendo direttamente con gli strumenti classici del rock (in questo si differenziano da gruppi simili che l’hanno utilizzata invece in maniera più subliminale, come i Pop. 1280). Nella strofa di Not for Love (a pochi passi dai Death Grips) è lei a scandire il ritmo insieme alla batteria di Noah Cohen-Corbett; nell’intro di Badge Grapper arriva a fare il verso alla propulsione ritmica della techno hardcore (e quindi a dialogare con le bordate dissonanti del banjo e i colpi irregolari delle percussioni); su Forks and Knives dapprima fa il verso all’EBM, poi ricopre di colate di rumore bianco tutti gli altri strumenti; sulla conclusiva USA Lullaby trasfigura totalmente i riff del banjo, distorcendoli al punto da renderli virtualmente inintelligibili.

In questo modo, pezzi la cui sensibilità ed estetica risiede radicalmente nella scena old-school vengono proiettati brutalmente nella contemporaneità digitale, senza comunque mascherarne i riferimenti più classici (cfr. Drought, che si apre quasi come una rivisitazione della Getting the Brush dei Fear e sfocia quindi in un tripudio noise rock non troppo lontano dalle zone battute dai Daughters). L’operazione è intelligente ed efficace: lo stile è originale e affatto scontato, l’interpretazione intensa, la scrittura incredibilmente varia (per essere un disco di questo genere di nemmeno mezz’ora, Dog Whistle offre un campionario di idee particolarmente eterogeneo). Per chi l’anno scorso avesse apprezzato You Won’t Get What You Want, e per chi in generale è attento alle magnifiche sorti e progressive del rock più rumoroso e abrasivo, questo disco è assolutamente consigliato.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia