DRAHLA – ANGELTAPE

Captured Tracks

2024

Britpunk, No wave

A inizio Aprile è uscito un disco di quelli che sembrano costruiti in laboratorio per farsi piacere ed ascoltare dalle persone come me, molto attente allo sviluppo causale dei generi musicali, ma con un importante punto cieco rappresentato dalle musichine che ci piacciono e non rompetemi il cazzo. Forse ci siete inciampati quando avete rivisto il vostro portafoglio di uscite: sto parlando di angeltape, il secondo album dei Drahla, un gruppo di Leeds attivo dal 2017 che, pur condividendo la bottega con gli Yard Act e i palchi con Ought e Parquet Courts, ripropone in maniera molto più filologica e rigida svariati vezzi e stilemi del post-punk, astraendo senza troppi problemi dalla routine di revival del britpunk. Nei presskit la band dichiara di ispirarsi ai This Heat per l’obliquità dimostrata, ma basta una rapida analisi dei brani per rendersi conto che l’ispirazione dei Drahla ha una portata un po’ più ampia del Regno Unito. Il passabile debutto su long play, Useless Coordinates, era debitore diretto tanto dei primi passaggi storici del noise rock ottantiano di Confusion is Sex quanto della sua lettura perfezionata un decennio dopo dagli Unwound, ma su angeltape i Drahla prendono una china di scrittura un po’ più direzionata e si immolano definitivamente al progetto di echeggiare il post-punk artistoide e le componenti più addomesticate della no wave a quasi cinquant’anni dal delitto. Se dobbiamo limitarci a un giudizio meramente sensoriale, l’album è veramente succoso e divertente, ci sono un po’ tutti i dogwhistle per gli affezionati di quel periodo: dalle coppole di skronk di Chris Duffin che danno aria e spessore ai brani alle distorsioni geometriche e tintinnanti che scandiscono il loro ritmo sincopato, dagli armonici soffocati e bluastri che citano Albini all’assenza di strutture granché coerenti nella formazione dei pezzi. Ma se la performance dei Drahla connota un bell’ascolto decontestualizzato, dall’altro lato abbiamo un problema abbastanza chiaro. Il treno di basso sferragliante e gli acuti bercianti delle chitarre ci dicono: siamo più o meno in zona UT/Cravats/48 Chairs; si balla storti come si è sempre ballato storti con la Gang of Four o con il compianto James Chance; Luciel Brown al microfono rimpiazza a modo suo le scenate meno estreme di Lydia Lunch (penso agli 8 Eyed Spy), di Lizzy Mercier Descloux (nei Rosa Yemen) e di Linda Mulvey. So what? Quali sono, in fondo, gli spazi dei Drahla che non sono già stati ripercorsi (meglio) dagli Erase Errata oramai venti (mio dio) anni fa? 

Le riflessioni che nascono dall’ascolto di angeltape e dalla riqualificazione assoluta del post-punk come versione contemporanea di tutto ciò che è il rock alternativo si palesano quindi come l’altra faccia delle lagne che stiamo mandando avanti da anni contro il britpunk, stavolta non perché il revival abbia sbagliato decade, bensì perché un revival del post-punk come provano ad intenderlo i Drahla non è semplicemente più possibile; o, almeno, è possibile se assumiamo il senso più squisitamente negromantico della parola revival, dragare il cimitero per recuperare versioni senz’anima di quello che è stato senz’altro un fenomeno culturale prima ancora che musicale. Mi capita spesso, e mi è capitato due settimane fa con la recensione di Takkak Takkak, di associare certa elettronica con le sue deviazioni più abominevoli a quel clima culturale che ho letto e studiato ogni volta che mi è capitato di gettare lo sguardo dove anche i Drahla l’hanno gettato, anche solo volendosi associare ai This Heat. Forse angeltape è semplicemente l’ennesimo indizio a sollevare il sospetto che questo recupero della forma sia sempre determinato a risultati sciacquati e insoddisfacenti. Il post-punk è stato un genere musicale caratterizzato soprattutto dalla sostanza, dagli obiettivi, dallo Zeitgeist di cui era espressione: provare a evolvere le sue forme cercando di aggiungere mattoncini sulle possibilità unicamente musicali è un’operazione che anche quando riesce risuonerà vuota e sprecata. 
È un peccato, perché il gruppo sa come scrivere un disco e angeltape è nello specifico, come già detto, un bell’ascolto per le persone che sono affezionate al genere. Bisogna sperare che i Drahla decidano di investire le loro energie e le loro capacità verso qualcosa che sia originale e direzionato, e persino in inghilterra gli esempi verso tale direzione non mancano (penso a gruppi come gli Shame, i black midi o gli Squid). Ancora più fondamentale: bisogna sperare che escano meno dischi venduti come no wave e più dischi classificati con generi di cui ancora non conosciamo il nome. Per allora dovremo accontentarci dell’attacco di Under the Glass e dei rumori di Lipsync: poteva andare meglio, ma poteva andare peggio.

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Alessandro Corona M
Alessandro Corona M