CONTAINER BRUTTO

CHE DOLORE BIG MAJESTIC DI ELLEN REID

ELLEN REID – BIG MAJESTIC

New Amsterdam

2024

Ambient

Uno dei primi articoli pubblicati quando inaugurammo il progetto Livore era dedicato a tre opere femminili scritte nel nuovo millennio, tutte caratterizzate da un approccio molto poco ortodosso verso la tradizione operistica e da un poliglottismo che si esprimeva nelle maniere più disparate. Tra queste figurava anche p r i s m, l’opera che nel 2019 fece aggiudicare (con merito) il premio Pulitzer alla compositrice americana Ellen Reid. Anche se sono passati quasi tre anni dalla stesura di quel testo, con i riascolti di quello che per noi è uno dei capolavori dello scorso decennio l’ammirazione infusa in quelle parole è solo che aumentata; rimandiamo quindi a quel pezzo per un rapido inquadramento della cifra stilistica ed estetica di Reid. 

A dimostrazione della sua visione artistica decisamente poco intellettualoide, in pieno periodo COVID Reid ha scritto della musica per un’applicazione chiamata SOUNDWALK, co-commissionata dalla New York Philharmonic e da altre istituzioni accademiche. L’idea di fondo del progetto, non estremamente originale a dirla tutta, è quella di molta sound art ed è piuttosto facilmente riconducibile all’intenzione di rendere l’utente simultaneamente fruitore e compositore del materiale musicale. Reid ha infatti composto circa venticinque cellule sonore, ispirate ai luoghi del Central Park di New York, che possono essere scaricate e riprodotte tramite l’app. Attivandola durante una visita al parco, il percorso e il tempo di permanenza nelle varie zone vengono tracciati dal GPS, che fornisce le informazioni a SOUNDWALK per assemblare ed elaborare i diversi frammenti pre-composti in un flusso musicale che muta con i paesaggi incontrati, offrendone di fatto una colonna sonora istantanea.

Il progetto SOUNDWALK ha presto scavalcato i confini del Central Park, arrivando a proporre esperienze simili anche in parchi di San Francisco, di Dublino, di Tokyo, di Londra e di Atene (tra gli altri). Quasi inevitabilmente, la dimensione app-centrica del lavoro è finita per apparire limitante agli occhi di Reid, che ha cominciato a pensare che quelle musiche avessero le potenzialità di poter suonare interessanti in sé e per sé.

Così il 30 agosto la New Amsterdam ha pubblicato questo Big Majestic, che è (ovviamente?) un fallimento. Non ho avuto modo di esperire la musica di SOUNDWALK nel suo ambiente naturale, quindi non posso valutare quanto la premessa dell’intero progetto fosse realizzata con efficacia; ma è autoevidente come una musica interattiva pensata come accompagnamento sonoro per l’esplorazione di uno spazio cittadino segua dinamiche e processi che sono completamente diversi da quelli che invece sono necessari per rendere immersivo e affascinante l’ascolto di un disco come oggetto autonomo. Forse però questo aspetto non è altrettanto ovvio per Reid, perché ciò che ha fatto è stato limitarsi a riassemblare e riarrangiare la musica pensata per SOUNDWALK in modo da forgiarla in una più compiuta e riconoscibile struttura di album. Estrapolata dal contesto di origine su Big Majestic, però, tale musica regredisce a una mera collezione di composizioni ambient uneventful prive di qualsivoglia guizzo, solo superficialmente intaccate dal post-minimalismo e soprattutto da quella forma di ambient jazz pionierizzata da Harold Budd e che ora trova i propri campioni in artisti privi di creatività e gusto come l’ultimo Shabaka Hutchings e Nala Sinephro – entrambi non a caso citati come influenza da Reid, e il primo presente pure come ospite su due tracce. Va perlomeno riconosciuta a Reid una certa varietà di soluzioni sperimentate nell’arco di Big Majestic, il che rende l’ascolto un po’ meno frustrante se ci si concentra attivamente a voler cogliere le differenze timbriche tra un pezzo e l’altro. I sintetizzatori (suonati da Reid stessa) conferiscono alla title track e ad Alone on Mulholland le sonorità della progressive electronic tedesca degli anni Settanta e Ottanta; lo shakuhachi di Hutchings su Spiritual Sun avvolge la musica di un’aura esotizzante posticcia ma à la page, mentre il suo sassofono su Primrose Hill suggerisce inquietante lo spettro dell’orrendo Colin Stetson; gli interventi orchestrali su Sunrise in Central Park e su Sunset in Ueno Park, così come quelli del Kronos Quartet su Strawberry Hill Ascent e su West Coast Sky Forever, ammantano il tutto in una coltre di tronfio accademismo cinematico che probabilmente risente dell’esempio del Floating Points in combutta con la London Symphony Orchestra sul terribile Promises. Tuttavia, nonostante questa varietà interna i pezzi di Big Majestic non funzionano praticamente mai: l’evoluzione dei brani è sempre statica e monocorde, e i suoni galleggiano in una dimensione amorfa occupando lo spazio di tre, quattro o cinque minuti senza offrire nulla più che un sottofondo letargico. In altre parole, Big Majestic semplicemente esiste, senza nemmeno provare a seguire un arco narrativo o espressivo coerente. 

Cosa ancora più imperdonabile, Big Majestic suona come un disco ambient che sarebbe potuto essere pensato da chiunque e sotto qualsiasi pretesto, svuotato com’è di qualsiasi legame con la geografia e i luoghi da cui le composizioni di Reid dovrebbero essere ispirate. In un’intervista a NPR, Reid commenta come in un brano pensato per la Ramble del Central Park intitolato The Birds Belong to All of Us vi siano trascrizioni di canti di vari uccelli che possono essere osservati nel bosco – ma questo componimento non è presente in scaletta, e in generale tutta la tracklist sembra costruita chirurgicamente per apparire il più possibile slegata da paesaggi concreti e specifici. La scelta è probabilmente intenzionale allo scopo di donare a Big Majestic un appeal più universale, ma così facendo Reid sradica tutta la raison d’être dell’operazione in primo luogo – anche quando la musica si fa più piacevole e particolare come sulla divagazione barocca per organo elettrico di Blue Sky | Mirrored Glass o sul numero di jazz per ambienti in odor di Jon Hassell della conclusiva Mt. Lee + Step Lightly Now. Un buco nell’acqua dolorosissimo per tutti noi che abbiamo amato la scrittura genuinamente eclettica, profonda, espressiva e caleidoscopica di un capolavoro moderno come p r i s m.

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Emanuele Pavia
Emanuele Pavia