PHIL GERALDI – AM/FM USA
Una delle più casuali epifanie all’ascolto l’ho avuta vagando in macchina una sera con la radio sintonizzata sulle frequenze AM (canale 522, per la precisione): in mezzo a ondate di rumore statico che si affievoliva o si intensificava ad ogni curva, una lunga conversazione in idioma arabo ha man mano accolto un pezzo pop in spagnolo che sembrava arrivare da una distanza siderale, prima che nella risacca si infilasse la telecronaca aliena di un’Udinese-Roma. Sensazioni simili scorrono in flusso continuo attraverso AM/FM USA, con cui Phil Geraldi cambia registro dopo una vita passata a disseminare progetti sotterranei di elettronica lo-fi.
Il concetto è semplice: riprodurre l’esperienza di guidare su strada attraverso gli sterminati spazi del territorio statunitense, con la radio accesa a captare e restituire i segnali più disparati mentre asfalto e paesaggi scivolano via fuori dal finestrino. Anche l’armamentario utilizzato in questi due lunghi brani per audiocassetta è altrettanto semplice. Ci sono registrazioni ambientali fatte sulle highway nel corso dei molti spostamenti effettuati da Geraldi stesso, e ci sono trasmissioni radio che vengono accartocciate e accostate tra loro con intento collagistico. Fin qui, tutto materiale facilmente ipotizzabile visto l’intento di partenza. Geraldi, però, è diventato nel tempo anche un appassionato di musica country e dichiara in particolare di ispirarsi alla concezione di “Cosmic American Music” di Gram Parsons; allora il ruolo da protagonista nell’orizzonte dell’album viene preso dall’inconfondibile suono della pedal steel guitar, con cui l’artista disegna ampie pennellate sfruttando la particolare eco dello strumento e aggiungendo poi diluizioni e sgranature in post-produzione. Inframmezzati alle ampie linee strumentali compaiono anche campionamenti di effettivi brani country, scarnificati in componenti ritmiche e timbriche essenziali che creano un gioco di contrasti con l’ariosità delle note fluttuanti. In questo modo l’eredità del country diventa la chiave per costruire una precisa geografia intorno al viaggio evocato, oltre che il grimaldello per riconnettere questa atmosfera con le sperimentazioni elettroniche care all’artista. Da inizio millennio, in realtà, l’espressività della tradizione folk statunitense è stata più volte oggetto di rivisitazione da parte di una nicchia di artistǝ, da Hank & Slim e James Ferraro fino agli Old Saw: si è creata una certa curiosità intorno alla possibilità di usare la strumentazione tipica delle musiche rurali per costruire composizioni con atmosfere ampie e rarefatte, secondo le tecniche delle produzioni ambient e drone. Questa unione è stata spesso etichettata con il termine “ambient americana” e AM/FM USA ci ricade in pieno, con la propria spaziosità e l’approccio minimale. Ma cosa distingue Phil Geraldi da un tizio a caso che suona accordi di pedal steel guitar col riverbero e gira un paio di manopole?
Lucidità dell’esecuzione e perfetta coerenza con ciò che vuole comunicare: questa, in soldoni, la risposta. Le note della chitarra emergono lentamente da uno zapping prolungato tra stazioni radio, come se fossero trasmissioni solitarie che sfuggono all’etere e prendono vita propria. Lo strumento per propria caratteristica tende a emanare un suono dolce, che qui viene sfruttato per colmare di calore emotivo gli spazi vuoti (sia quelli registrati che quelli evocati) senza indulgere nel suo potenziale saccarinico. Le melodie inizialmente vengono solo accarezzate, mentre flussi di segnali audio e il placido ronzare dei motori sull’autostrada le fiancheggiano; quando poi la pedal steel suonata da Geraldi si trova al centro della scena, viene raggiunta dai campionamenti di brani country in cui il suono della chitarra è irruvidito in modo da esaltarne l’anima metallica. Ci sono così due canali, che si fondono tra loro con grande naturalezza: uno che richiama scenari pastorali e abbraccia l’anima contemplativa del viaggio, l’altro che ricorda la dimensione meccanica del girare dentro una scatola di metallo su bitume pressato premendo pulsanti per captare onde radio. Per questo raramente viene concesso un segnale totalmente pulito alle flessuose figure melodiche, che inondano gradualmente lo spazio nell’ascolto ma non possono cullarci via dalla realtà senza che un richiamo venga a farci visita, che sia un ritmo grezzo di batteria e basso o una scudisciata di frequenze radio impazzite o, ancora, il frinire dei grilli durante una pausa notturna. Su queste coordinate Chase Your Love esplora una resa frammentata e ondivaga, dove i temi di chitarra sono apparizioni luminose destinate ad eclissarsi alla stregua di frequenze capricciose; Oklahoma After Dark anela invece a una meta sonora più unitaria, con un crescendo sornione (a cui partecipa il rinforzo melodico di un’armonica) che accumula le note echeggianti in bordoni densi ed estatici, prima che un fiume di segnali audio torni a inghiottirle.
È facile capire perché il riferimento più citato riguardo a questo album sia Chill Out dei KLF: entrambi convogliano l’ipnosi del viaggio e una colonna sonora di rumori e fonti disparate che si organizzano in un flusso di coscienza, oltre ovviamente al fatto che anche su quel disco la pedal steel risuona tra i sintetizzatori di Madrugada Eterna. Ma l’operazione che fa qui Geraldi non è semplicemente un’estensione di questo illustre precedente. Se i KLF disegnavano un tragitto fantastico e transcontinentale attraverso l’utilizzo di un vasto campionario di sample, Geraldi vuole invece focalizzarsi su una condizione e uno spazio precisi. Il suo approccio è concreto e materico, si nutre della focalizzazione su limitate sorgenti audio ed è reso efficace (oltre che godibilissimo) dalla sua cura nella definizione di tutto l’orizzonte sonoro. Cosa mettere in primo, secondo o terzo piano, quando disturbare il flusso musicale o viceversa asciugarlo in istantanee dai tratti vividi, come regolare le dinamiche e l’effettistica per far sì che ogni dettaglio abbia il massimo risalto: sono tutte cose che Geraldi fa così bene da riuscire a portarci nella sua particolare prospettiva americana apparentemente senza sforzo, mentre il suo lavoro certosino è sempre sottilmente presente. Anche a chi non ha particolare interesse per le coordinate geomusicali puntate specificamente sul folklore USA, il disco ha molto da dire: tra le pieghe soffici e accidentate dell’album si avvertono richiami al minimalismo, alle sperimentazioni elettroacustiche, alle libertà chitarristiche del post-rock. AM/FM USA è quindi un album che parte da un’idea semplice e la svolge in maniera grandiosa, immersiva, coinvolgente. Se vi chiedo di pensare ad altri album ambient entusiasmanti usciti quest’anno, cosa vi viene in mente?
Se avete pensieri diversi, fateceli arrivare per direttissima; nel frattempo, sapete su che musica sintonizzarvi.