AHO SSAN – RHIZOMES
Conceptronica is drawn to the residual disruptive power that still feels latent in archival underground genres like jungle, ballroom, and gabba, but also contemporary sounds like grime and trap. It wants to take the unwritten manifesto of emancipation and solidarity within these musics and articulate it crystal-clear.
Simon Reynolds, The Rise of Electronic Music & Conceptronica in the 2010s, da Pitchfork
Aho Ssan, nome al secolo Désiré Niamké, è una delle voci più interessanti dell’elettronica contemporanea francese. Il suo Simulacrum, pubblicato per Subtext nel 2020, aveva fatto alzare qualche testa nell’ambiente specializzato, ma personalmente non mi aveva convinto. I paesaggi desolati delle banlieues parigine, trasfigurati da un’elettronica hi-tech e astratta, rappresentavano accuratamente l’angoscia del razzismo sistemico della società francese e la sua subdola pervasività; tuttavia, a questo incastro affascinante di afrofuturismo, cyber-ribellione e j’accuse alle brutalità delle istituzioni mancava però un acume che colpisse nel segno, e il risultato era un disco che lasciava sempre chiedendo di più di quanto offrisse.
Ammetto che di Aho Ssan avevo perso le tracce, nonostante l’anno scorso su Livore Roberto avesse parlato della sua fortunata collaborazione con KMRU: mi ero già immaginato la sua parabola come quella dell’ennesimo producer hi-club fagocitato da un panorama europeo che riconfigura le proprie enclavi in maniera sempre più rapida e tranchant, e che aveva visto la nave lasciare il porto senza di lui. Un po’ dal nulla quest’estate è invece sbucato Rhizomes.
Dieci composizioni in cui, oltre allo stesso Aho Ssan, si avvicendano collaborazioni di caratura impressionante tra cui i clipping., l’onnipresente Moor Mother, Angel Bat Dawid, Mondkopf (dov’era finito, anche lui?), Nicolas Jaar, James Ginzburg, la nostra Valentina Magaletti e altri ancora. La sorpresa di un tale listone aveva subito lasciato spazio al dubbio: stavo per mettere su un altro minestrone acquoso in cui ognuno di questi nomi avrebbe messo bocca, in un tentativo disperato di riportare in auge il nome di Niamké?
Rhizomes è invece, come lascia intendere il suo nome, un disco che si propone fin dalla sua concezione non come prodotto finito, ma come personale terminazione di scelte operate da Aho Ssan nel contesto di session a cui tutti gli artisti hanno democraticamente collaborato. Il rischio di precipitare allora nella conceptronica categorizzata brillantemente da Reynolds posta in apertura a questo articolo è altissimo, visto che i concetti di Simulacrum vengono riproposti qui con ancora più veemenza: d’altronde il mondo francofono è più allo sbando di quanto non fosse nel 2020, e per un artista così immerso nelle dinamiche della società contemporanea come Aho Ssan è impossibile alienarsi da discussioni come quelle in merito alla violenza repressiva delle forze dell’ordine o alla sparizione dell’identità nel liquido amniotico del mondo digitale. La forza di Rhizomes, però, sta nel riuscire a traslare queste esperienze dal particolare all’universale: solo per fare un esempio, quando in Till the Sun Down la voce di Daveed Diggs lascia esplodere il monito “run away, run away” accompagnato soltanto da un inquietante bordone sintetico ci si accorge di come il trauma della police brutality non voglia essere confinato all’esperienza afroamericana, e invece sia precipitato in una contemporaneità idiosincratica da cui l’Occidente tutto non riesce a liberarsi.
Contrariamente a tanti altri artisti a lui affini dipinti da Reynolds nello stesso articolo, però, il progetto di Aho Ssan fa dell’inframedialità di Rhizomes uno dei suoi punti di arrivo (seppur in maniera totalmente potenziale): se infatti la linearità dell’oggetto-disco è puntualmente evidenziata addirittura da una Ouverture e una Fermeture, in cui la voce di Nyokabi Kariuki viene prima diramata e poi sfoltita mentre ripete solennemente il titolo dell’album per ritornare al punto zero, l’intento di Rhizomes va oltre i suoi dieci pezzi. L’acquisto di qualsiasi formato dell’album infatti garantisce il download di un pack di sample compilato da Aho Ssan e utilizzato nella sua composizione, compreso di spezzoni che non sono poi stati utilizzati nella versione “definitiva” del disco: sample che, in seguito, possono essere idealmente riutilizzati dall’ascoltatore come base di partenza per creare la propria versione dei brani Rhizomes da rimettere in circolo, perennemente trasformati e alterati dagli interventi sulle composizioni. Ovviamente, è difficile pensare che queste versioni “alternative” del progetto abbiano un valore maggiore di quella di Aho Ssan, o che qualcun* abbia la sbatta di mettersi a trafficare per ore e ore tra le centinaia di frammenti elettronici che costellano tracce impressionanti nella propria complessità come Tetsuo I o Rhizome IV solamente per fare contento il producer: ma la potenzialità offerta è sconfinata e quasi sconcertante alla luce di un’evoluzione del medium musicale verso un ambiente fluido, ma totalmente centralizzato nelle mani dell’artista d’origine.
L’intento di Niamké è quindi deliziosamente politico e disruptivo, e potrebbe tranquillamente occupare uno spazio di rilievo all’interno delle classifiche di quest’anno solo in virtù di quest’ultimo. Qualcuno potrebbe obiettare che così facendo, si cederebbe alla tentazione di fare come le tante riviste specializzate che premiano lo storytelling e gli intenti politici dei progetti che percepiamo come dalla stessa parte della barricata. Tuttavia, seguite con le orecchie le acrobazie soniche di brani come Cold Summer Part I, che riesce magistralmente a cesellare la poderosa barra del rapper inglese Blackhaine all’interno di un soundscape alieno, o di Hero Once Been, dove la voce di 9T Antiope viene modellata impressionisticamente fino a fondersi in maniera indissolubile con l’accompagnamento, confondendo sfondo e primo piano: vi accorgerete che Rhizomes, anche nella sua versione più limitata, è uno scrigno di tesori che rivela nuove meraviglie e stimola riflessioni profonde ad ogni ascolto.