JANELLE MONAE – THE AGE OF PLEASURE
Il sottoscritto ha con Janelle Monae una lunga storia d’amore che è cominciata ai tempi dell’ArchAndroid (e che scava retroattivamente verso il primo capitolo della Metropolis Suite, The Chase). Cominciò tutto con un dove andremo a finire? quando nel 2010 vidi che la redazione di OndaRock promosse Janelle come autrice dell’album dell’anno (non era molto rock) e terminò qualche anno fa, con il mio senso estetico completamente genuflesso davanti alla megattera di arrangiamenti e hook che tuttora rende The ArchAndroid, nel mio pantheon, l’invitto imperatore del pop contemporaneo. E la sua autrice diventava imperatrice, diva, nebula, inarrivabile tessitrice di idee. Le altre due parti della Metropolis Suite (a The Chase dobbiamo aggiungere anche l’ottimo The Electric Lady) facevano un po’ da contrappunto a questo mastodonte dell’art pop, e della redazione sono stato anche l’unico che ha promosso il più traballante Dirty Computer. Per David, che lo recensiva titolandolo come passo falso, il pastiche stucchevole di tematiche iperfemministe e la collana di perle che dalle zigrinature funky dei predecessori tendeva a smussarsi verso un sound r&b ozioso e incerto rendevano adeguata una bocciatura su tutta la linea. Per il mio background l’iperfemminismo è un punto di vantaggio, e con l’r&b contemporaneo ho dovuto fare pace (così come con tutto quel carrozzone di neo-soul soave ed estivo): Dirty Computer l’ho apprezzato, con tutti i suoi difetti e le sue incertezze. Datemi Make me Feel, datemi Screwed (tenetevi I Got the Juice, Pharrell Williams non lo voglio sentire).
The Age of Pleasure l’ho quindi approcciato con una certa speranza. Alla fine quel passo falso, come l’aveva chiamato David, era facilissimo da recuperare. Dal mio punto di vista era anche facilissimo da bissare: è Janelle, non è mica, che ne so, Remi Wolf o Yaya Bey. Mentre in testa mi rimbombano i beat inappuntabili di Dance Apocalyptic, gli strati e strati di arrangiamenti di Tightrope e la frenzy byrneana di Many Moons tutto quello che riesco a chiedermi davanti a questa copertina di merda è un retorico e scontatissimo: perché?
Nulla di The Age of Pleasure è memorabile, ma nulla è anche solo lontanamente accettabile. Janelle Monae era capace fino a poco tempo fa di giocare al gioco del pop reinventandosi le regole, per addizione o per distruzione. Qui siamo, alla fine dei giochi, davanti a un innegabile vacuum creativo, profondo come una pozzanghera e vasto come il Mar Caspio. È pesante ascoltare e riascoltare un album così piatto e irritante quando il nome che c’è dietro è così autorevole. Per tutto il disco si sparge un’unica idea di arrangiamento che copre tutto di una pigrizia incalcolabile, quel polpettone di sintetizzatori e ambiance che su rym guadagna i descriptor di lush, aquatic, tropical. Il livello di cura dedicato alla struttura del brano abbatte senza pietà la figura dell’artista a tutto campo ed eclettica, e la scrittura diventa lineare e soporifera come una b-side degli 883 (forza / della natura / meravigliosa e scura). Trenta minuti di musica di merda scritti in cinque anni di meditazione a bordo piscina, la monumentale figura di una popstar sciolta in un molle amalgama di positive vibes e dancehall fuori contesto e privato di qualsiasi carica energetica. A partire dal primo singolo estratto (Lipstick Lover) a finire con le canzoncine da meno di un minuto (perché le hai pubblicate…?) tutto quanto è poco più di una Fruit Joy sonora – ovviamente del gusto che vi fa più schifo: vorrei potervi di dire molto di più nel merito della musica, ma la verità è che la musica stessa dice veramente troppo poco perché possa essere traslato in parole. In questa Age of Pleasure sembra che Janelle Monae sia l’unica che si diverte – anche a giudicare dall’accoglienza di pubblico che il disco ha avuto sulla rete; tutte le battaglie a cui l’artista partecipa vengono immediatamente sminuite dalla bassissima qualità del suo coinvolgimento e noi siamo costretti ad assistere ad una caduta rapida e irreversibile di uno dei nostri miti contemporanei. Una faccenda dolorosissima, soprattutto quando viene subita all’ombra dell’espressione demente di una milionaria che oramai campa di vibe, ruoli nei blockbuster, uscite nello showbiz e, in generale, di rendita.
Speriamo che qualcuno avverta Monae che è comunque troppo tardi per diventare come Beyoncé, almeno ci risparmiamo altre figure di merda. Rest in Pleasure.