WEYES BLOOD – AND IN THE DARKNESS, HEARTS AGLOW
Due premesse gentili, ma non dovute. Primo: quando nel 2019 è uscito Titanic Rising io ero a fare altro e non stavo seguendo l’infodemia che ha portato Weyes Blood a volare in cima a tutte le classifiche partorite dall’umanità, quindi non sono particolarmente aggiornato sull’argomento. Secondo: And in the Darkness, Hearts Aglow è un disco palesemente low effort e senza granché direzione, quindi non aspettatevi una sovranalisi del materiale come nostro solito ma due parole in croce, low effort e senza granché direzione.
Mi sarei anche impegnato a tracciare la costellazione genetica alla base del progetto Weyes Blood, a indicare quanto questo passaggio sia riuscito e quanto quello lo sia meno, ma la verità è che, se escludiamo qualche cambio modale azzardato e un paio di hook genericamente interessanti, And in the Darkness, Hearts Aglow fluttua in un imbarazzante vuoto pneumatico di spunti, una stupefacente normalità e medietà che ascrive Weyes Blood in una massa in continua espansione di cantautrici statunitensi che se la vagheggiano tra il pop microbarocco e il folk e che vengono pubblicizzate a destra e sinistra da quelle etichette solite note. Solo quest’anno posso pensare a Caitlin Rose, Katy J Pearson, Maria BC, Skullcrusher, Jesca Hoop, Julia Jacklin, Ethel Cain, vi giuro che potrei andare avanti per una mezza dozzina di righe e se siete fan di Natalie Mering avreste avuto più materiale da questa sfilza di copycat che non dalle sviolinate che trovate sulle zine più blasonate. Ma manco a dire che Weyes Blood faccia un’operazione banale nel sincronico: scrivo da più di dieci anni e ogni volta succedono le stesse cose, emergono le stesse starlet, le classifiche si inquinano degli stessi archetipi.
Quindi, facciamo così. Io ignorerò quelle due o tre cose di Mering che tutto sommato riesco ad apprezzare (il timbro che si avvicina pericolosamente al Blue di Joni Mitchell, quel pochino di luccichio che emerge dai brani più fantasiosi come Children of the Empire e The Worst is Done) e smetto di lanciare l’amo nella munnezza aspettando che abbocchi un tonno. Voi che mi leggete, però. Voi che sarete sicuramente sul pezzo e avrete fatto le vostre valutazioni di posizionamento; soprattutto, voi che avete scelto di premiare il lavoro di Natalie Mering e non quello di tutte le altre decine di artiste che fanno da quindici anni la stessa cosa. Voi avete l’onere della prova, perché cercare il brano dell’anno nel materiale musicale alla base di And in the Darkness, Hearts Aglow è come cercare la teiera di Russell tra l’orbita di Marte e quella della Terra. Voglio essere entusiasta come chi grida al miracolo o anche solo al questo-album-è-di-altro-calibro, rendetemi edotto, iscrivetemi al fan club, spiegatemelo: perché, porco dio, di tutto l’universo di cantautrici americane fatte con lo stampino, è proprio Weyes Blood che dovrebbe piacermi?
Fatemi sapere, cordiali saluti.