RICHARD DAWSON – THE RUBY CORD
Richard Dawson è un artista unico. Questo è ormai un dato di fatto, introdotto dai suoi primi dischi – alcuni più riusciti di altri, ma sempre profondamente creativi – e corroborato dai grandi progetti rilasciati gli anni successivi, Nothing Important e Peasant, di cui abbiamo già parlato ai tempi. Descrivere la sua musica è abbastanza semplice: un approccio outsider a folk e post-rock portato avanti grazie a una grande varietà di strutture e influenze, ma con alcuni punti cardine rimasti sostanzialmente invariati a partire quantomeno da The Magic Bridge (2011). Infatti più o meno in tutti i suoi album le parti di chitarra flirtano pesantemente con l’atonalità, incorporando ad arte il frizzare metallico delle corde e l’ampio spettro dinamico del fingerpicking; il cantato è spigoloso e scomposto, con versi che spesso e volentieri rifuggono attivamente cadenze tradizionali; i testi sono quasi autistici per le loro descrizioni ossessive, per gli strani mondi che dipingono e per l’umorismo che fanno trasparire (spesso quando meno lo si aspetta). Tali caratteristiche portano alla mente riferimenti artistici ben precisi (Daniel Johnston, Robert Wyatt, l’Incredible String Band), e sicuramente contribuiscono a suscitare l’interesse di chiunque sia alla ricerca di musica non convenzionale, ma non rendono giustizia a una serie di dischi che, prima di ogni altro aggettivo o reminiscenza, sono semplicemente splendidi. Il vero valore della poetica di Richard Dawson risiede infatti nella bellezza che riesce a evocare con la sua musica, e nella sua capacità di evocarla nei modi più disparati.
The Ruby Cord è uscito questo mese ed è l’ultimo capitolo di una trilogia iniziata con Peasant e proseguita con 2020. Si apre con un brano di quarantuno minuti che esemplifica forse più di ogni altro tale dono: The Hermit rapisce l’ascoltatore servendosi di camminate post rock sulla scia dei GY!BE e dei Dirty Three, intimi passaggi a cappella, martellate sbilenche di chitarra e batteria, ricami spettrali d’arpa e dolcissime aperture corali, vagabondando con grande naturalezza attraverso panorami sonori molto distanti tra loro. In questo album Dawson torna alle tinte medievaleggianti che già aveva brandito con successo in Peasant, ma optando stavolta per un approccio meno programmatico, vestendo le storie dei suoi bizzarri personaggi con la potenza intimista che aveva già sfoggiato in Nothing Important. Questi due mondi, quello fantastico e quello interiore, si compenetrano con efficacia: The Ruby Cord è chimerico ma ben ancorato a un’emotività con cui è facile identificarsi, e ciò rende sia le storie di Dawson più profonde sia la sua introspezione più affascinante. A questo fortunato interplay si aggiunge poi l’impressionante versatilità creativa, che ci porta dalla danza macabra di The Fool ai dolci arpeggi folk di Museum fino agli intrecci quasi avant-prog di The Tip of an Arrow.
Sopra tutti questi elementi, che già basterebbero a formare un lavoro piuttosto denso, giace una stravagante sovrastruttura: le parti strumentali di The Ruby Cord sembrano suonare in qualche modo come la colonna sonora di un videogioco. È difficile spiegare esattamente da cosa nasca questa impressione, ma durante gli ascolti mi sono trovato più volte ad appoggiarmi al mondo videoludico per trovare punti di riferimento con quello che stavo sentendo – dai momenti più cadenzati di The Fool, che mi hanno ricordato le marce steampunk di Bastion, a certe atmosfere sognanti in Museum che mi hanno fatto pensare al lavoro di Nobuo Uematsu e Masashi Hamauzu in Final Fantasy X. A prescindere dall’effettiva veridicità di quest’ultima analisi, è innegabile che Richard Dawson abbia raggiunto una tale maestria compositiva da permettergli di giocare con le componenti dei suoi dischi in maniera totalmente libera, procedendo per bizzarre associazioni di idee ma creando in maniera miracolosa opere perfettamente coerenti. E belle, non scordiamoci belle. La sua è una favolosa wunderkammer fatta di dissonanze struggenti, paesaggi fantastici, personaggi improbabili ed emozioni lancinanti, e chiunque ne varchi la soglia non ne uscirà illeso.