NWANDO EBIZIE – THE SWAN
Nella provincia di Lagos, la tribù Ijebu del ceppo Yoruba si divide in due rami: quello degli Ijebu Ode e quello degli Ijebu Remon. Gli Ode sono governati da un capo che ha il titolo di Awujale, ed è circondato da un alone di mistero. Fino ad epoca recente, nemmeno i suoi sudditi potevano vederlo in viso e, se le circostanze lo costringevano a parlare con loro, doveva farlo da dietro un paravento. L’altro ramo della tribù Ijebu, i Remon, aveva un capo di grado inferiore all’Awujale. John Parkinson riferisce di aver saputo che, anticamente, si usava uccidere questo capo dopo tre anni di governo.
Frazer – Il Ramo D’oro (trad. it A. M. di Nola)
[…] hundreds of gigabytes
Nick Land – Circuitries
God-daddy the unit
death-mummy the zero
stink of excrement and burnt celluloid
you must remember
one scrabbling at zero like a dog
it’s the primal scene
you were warned not to play with the switches
now schizophrenia has adjusted your set
flies crawl out of the eye-sockets of black babies
breeding the dot patterns […]
Non so se ho imparato qualcosa dalle mie poche letture in ambito antropologico. Ma sono abbastanza sicuro che la violenza e l’omicidio seguano come delle ombre ogni genere di religione e ogni genere di magia. Ogni genere di magia, compresa la tecnologia.
Ripercorrere la linea produttiva di Nwando Ebizie è un’esperienza quantomeno bizzarra, come bizzarra è la multiforme personalità della musicista di ascendenza nigeriana, tuttora residente a Todmorden, Regno Unito. Da una decina d’anni Nwando Ebizie batte una strada curvilinea di uscite i cui i minimi comuni denominatori sembrano essere la smodatezza e la divergenza: dopo un singolo electro house affatto convincente la producer si prende il triennio 2015-2018 per gettarsi nelle vesti del suo pomposo alter ego art pop, Lady Vendredi, con cui ha il tempo di esplorare le tematiche dell’afrofuturismo. L’esplorazione avviene in tempi peculiari, sotto un’estetica che inizialmente sembra un po’ quella di un ArchAndroid del mercatino delle pulci e con una produzione elettronica che spazia dal pop progressivo di St. Vincent ed Emily D fino alle latebre più sotterranee di una deconstructed club di ascendenza FKA Twigs. Con queste premesse il percorso verso un classico divismo derivativo in stile blaxploitation sembra già scandito, quindi stupisce non poco constatare quanto i turbamenti concettuali di Nwando Ebizie tendano a sabotare il tracciato lineare previsto. Nel 2019 una ricerca persa nel voodoo haitiano lascia partorire all’ex Vendredi i 20 Minutes of Action, una suite dark ambient claustrofobica e indolente; addirittura, nel maggio del 2020, dallo Snape Maltings, echeggia un esperimento della Nostra sulle visioni di Ildegarda di Bingen nella forma di un lungo brano a metà tra la sound art e la IDM. Che ha in testa, Nwando Ebizie? Troppo, a giudicare dalle lunghe descrizioni dei suoi lavori su bandcamp, dal sito che cura e dalla sua bio di instagram, che recita tutta fiera: speculative fictions ~ alternate realities ~ mythopoetic rituals.
Quest’anno, in un ingombrante silenzio stampa, esce per Accidental Records The Swan, il primo long play dell’artista. La somma delle esperienze precedenti di Ebizie, Ildegarda, Vendredi, non è abbastanza per giustificare un lavoro così radicale, nuovo, immaginifico. Certo, i sample di sax appresi nella Passion of Lady Vendredi vengono riciclati senza ripiegamenti, e quell’espressività over the top di cui era intessuto il tendone sonoro di Neon Dream è ancora viva e lotta con noi. Ma l’indagine afrofuturista qui cala definitivamente la maschera del pop ed evita di intossicarsi con quei misticismi più bianchi dei quali è facile incravattarsi in Inghilterra: stavolta il progetto è più tagliente, le fronde campionate oscurano tutto il cielo e l’irruenza della musica trabocca sin dall’apertura, una intro dal titolo esplicativo, Battle Cry. Siamo in odore dei sax di Dana Colley o di Pete Wareham con il trotto degli ottoni, qui. Le melodie strizzano l’occhio all’afrobeat, che però fa presto a degradarsi in una sua versione sorprendentemente rovinosa, prima scartavetrata dal drumming ossessivo e fuori controllo di I Seduce, poi violentata da quella brodaglia in palese dialogo con il gqom che costituisce la strumentale della title track, infine sciolta nel punk-jazz acido di fine Myrrha. Il primo atto del disco è una granata, un capannone di rigurgiti bestiali e abbacinanti in cui la performance vocale della musicista, istrionica e stridente, riesce a irretire tutti i campionamenti buttati sul tavolaccio con tantissimo talento e altrettanta sfacciataggine. Una sfacciataggine che guadagna subito mille punti in autorevolezza e trascina l’ascoltatore verso una sezione del disco ritualistica e tremenda, aperta da Liturgy, in cui le sviolinate cantate da Ebizie si accompagnano a un estenuante lavoro di cassa e a una produzione untuosa color pantablack: siamo davanti a una versione meno gotica e più animalesca degli struggimenti di Diamanda Galàs, ugualmente demoniaca. L’oscurità inaccettabile di Liturgy echeggia con una certa delicatezza nei brani che la seguono: in questo lucore castano Ebizie comincia a mescolare le proprie influenze con le proprie idee, camminando sul filo del rasoio tra l’algida tenerezza di una Björk e la viscosa produzione di una MC YALLAH; non meraviglia, a questo punto, la fascinazione di Gazelle Twin per una musica di questo tipo. L’ex Vendredi chiude il disco emergendo dai suoi stessi fumi, e il ritorno da questa battaglia infernale ha il suo apice in Renewal, in cui tutti gli elementi (i battiti metallici delle basi, i ruggiti nasali del cantato, il sax dispettoso e ripetitivo) contribuiscono a lasciarci alienati e distrutti, in linea di massima dimentichi del percorso appena fatto, probabilmente perplessi dal greve estro che The Swan sputa in ogni suo angolo sotto forma di scorie soniche. In questo momento di conclamata debolezza di tutti noi comincia Something Like Empathy, outro in cui, senza approfondire oltre, Nwando Ebizie canta, racconta, dimostra e seppellisce vivo ogni dubbio, terminando in questo modo il suo astruso sacramento afrofuturista.
Alla conclusione di questo processo, mentre i nostri dubbi latrano aiuto dalle loro novelle tombe limacciose, possiamo comunque dire che rimangono alcune certezze.
Uno: per un disco di derivazione art il modo migliore per emergere dalla massa di parimenti ben fatti dischi art non passa dal saper costruire a modino e per bene un gioiello di produzione, timbri, multiforme ingegno – sto parlando con te, Hadreas – passa, piuttosto, dall’avere la merda nel cervello, essere pazzi in capa, esprimere realtà che nessun altro prima di quel momento è riuscito a vedere, raccontare mondi che non esistono, fare i buchi per terra e vomitarci dentro i propri idoli.
Due: se il tuo disco è veramente espressivo, veramente stronzo, veramente ingombrante, può anche essere che mi turo il naso e cito Nick Land nell’introduzione del pezzo.
Tre: The Swan è uno dei dischi più impattanti di quest’anno e dovreste come minimo ascoltarlo tutti.