ROSALÍA – MOTOMAMI
Quello del pop latino è un mondo a parte: personalità percepite nella nostra bolla come meteore degli anni duemila godono in realtà di un successo incredibile e duraturo. Presente Daddy Yankee? È quello che una quindicina di anni fa cantava Gasolina. Ha fatto dieci album, è un mostro sacro del reggaeton ed ha influenzato centinaia di artisti in 20 anni di carriera; sta pure in Despacito, cosa di cui io – e probabilmente nessuno di voi, almeno spero – non avevo alcuna idea. Stessa cosa vale per gli Aventura (quelli di Obsesiòn) e per molti altri artisti, divinità in un macrogenere molto eterogeneo che geograficamente comprende tanto Spagna e Portogallo quanto l’america latina; a dirla tutta, il termine latin pop è palesemente sciocco e fallato, e ha senso usarlo solo per identificare alla larghissima un certo tipo di immaginario associato solitamente con queste zone del mondo. Vedendola in tal modo, altra regina di questo universo è Rosalìa, che cinque anni fa esplose prima con Los Ángeles (disco di cover in collaborazione con un tizio) e poi col suo debutto da solista El Mal Querer, che le valse una caterva di Latin Grammy e persino un Grammy non latino, chiamiamolo Grammy Normale. Grazie alle sonorità hip e sofisticate, alla sua grande bravura come vocalist e all’ambizioso tentativo di mescolare il flamenco col pop moderno e con un certo tipo di R&B modaiolo, El Mal Querer riuscì a trascendere la latinità arrivando anche alle orecchie dei critici di Rolling Stone, pallidissimi pure a metà agosto ma campioni di salto sul carro dei vincitori. Conseguentemente, i suddetti critici pensarono bene di inserire un’opera prima del 2018, carina ma anche profondamente immatura, nei 500 dischi migliori di tutti i tempi. Bravi scemi. Ad ogni modo, molti credevano che Rosalìa sarebbe diventata la regina del pop per personcine avvedute, ma così non è stato.
MOTOMAMI, pubblicato lo scorso marzo, presenta invece uno spartano mix di reggaeton, flamenco ed elettronica scarnificata. Dati i beat ridotti all’essenziale e le ritmiche dritte, il peso del disco siede tutto sulle spalle di Rosalìa, che eccelle in due modi diversi: facendo risaltare la sua grande abilità vocale (specie in Bulerìas, gran bella digressione di cantato classico flamenco) ma soprattutto curando il suo timbro alla perfezione, colorandolo magistralmente di mille sfumature diverse. Come enunciato nella tirosissima opener SAOKO (Me contradigo, yo me transformo/ Soy todas las cosas, yo me transformo), Rosalìa si veste di tanti indumenti diversi, apparendo in questi quaranta minuti vulnerabile, sensuale, arrogante, dolce, fragile e solida al contempo. Questa liquidità espressiva è ulteriormente enfatizzata da una produzione intelligente, che prende a piene mani dal mondo della deconstructed club, dalle voci e dall’estetica dei dischi di SOPHIE e di Arca. È come se le tonsille della performer venissero impacchettate in un velo aderentissimo di cellophane, troncandone l’eco e creando una sensazione un po’ uncanny in cui la voce clippa, glitcha, si sfalda. Nello stesso tempo, la delivery granitica di Rosalìa e la sua competenza tecnica fa sì che questo trattamento non finisca mai per rendere la sua voce debole o bidimensionale. Il risultato di questa particolarissima commistione di approcci e compenetrazione di caratteristiche sonore e tematiche vale da sola il prezzo del biglietto, e fa perdonare pezzi davvero brutti come La fama, porcaio dove compare pure quel verme di The Weeknd, che suona come un bootleg degli Aventura citati all’inizio. Nonostante un paio di picchi di cattivo gusto, MOTOMAMI è un disco fresco e particolare, ben pensato e ben realizzato: preferisco una mixed bag interessante a un disco coeso ma dimenticabile.