Philosophy of the World è il mio disco preferito. Chi mi conosce lo sa da quasi 15 anni, e la cosa ha delle implicazioni particolari: sono una di quelle persone folgorate sulla via di Damasco dalle sorelle Wiggin, ho un rapporto con ciò che hanno suonato e cantato che trascende il mio lato analitico/critico/storico, ho pagato una cifra stupida per l’edizione in CD del 1980 dell’album quando ero ancora adolescente e, senza troppi giri di parole, amo a morte quella musica.
Tutto ciò mi pone davanti a un nodo concettuale inestricabile: non posso parlarne come parlo di tutto il resto né posso pretendere che gli altri si attengano alla mia regola perché sono un fanatico delle Shaggs. D’altro canto, sono una delle persone (almeno in questa lingua) che è più consapevole del loro percorso e che più ha assorbito le canzoni bestiali della band di Fremont. Per questo motivo tendo a starmi zitto quando il gruppo simbolo della musica definita outsider viene incensato qui e lì, anche se la chiave di lettura non corrisponde alla mia, che è così peculiare e così intima che non mi aspetto venga condivisa da nessun altro critico – ricalcando nella mia testa quell’operazione fuori dal mondo che è poi Philosophy of the World. Questa faccenda è una mezza tortura, perché le Shaggs vengono spellate dei recensori benedettini che cercano un so-bad-it’s-so-good per il loro freak show e tumefatte da quei recensori da saggio breve che, altro lato della barricata, cercano di contestualizzarle in una storia che non esiste. Paradossalmente gli scrittori che trattano meglio l’unicum di Philosophy of the World sono quelli che vagheggiano dei pezzi poetici che col disco non hanno nulla a che fare e che descrivono la loro reazione, le loro sensazioni. Però porca madonna, un conto è dare una lettura differente dalla mia oppure cercare delle armonie che non esistono, un altro è parlare senza avere una mezza idea di quello che si ha davanti, cosa che fa Massimiliano Speri in un pezzo celebrativo di una ristampa uscito questa settimana su Ondarock, che – non me ne voglia – userò come termine di paragone su come non si scrive di musica. Punto per punto, con affetto.
“Eccolo là, il power trio più influente di sempre. Non esagero: avete idea di quanto immaginario musicale sarebbe nato morto senza queste tre improbabili capellone, che pure avevano la caratura di un feto abortito? Lo-fi, twee pop, riot grrrl, grunge, forse lo stesso punk: scordateveli.”
- Le Shaggs non si possono né devono inserire all’interno delle dinamiche idealtipiche della storia della musica. La gente che ha amato le Shaggs non ha scritto musica direttamente influenzata da loro.
Ci vuole una grandissima disonestà intellettuale a collocare le Shaggs nel ruolo di agente contaminatore alla fonte di generi che sono fioriti vent’anni dopo, in condizioni completamente diverse e tipicamente senza la più pallida idea di cosa fossero le Shaggs. Certo, è un’operazione che riesce abbastanza facile quando spalmati su wikipedia ci sono giusto la reference alla top 50 dei Nirvana (la stessa che ha fatto conoscere i Flipper al grande pubblico) e lo storico commento – forse apocrifo – di Frank Zappa (che ovviamente tornerà più tardi perché non ci facciamo mancare un cazzo). Speri per fortuna si spinge un po’ più in là e dimostra grande padronanza del mezzo arrivando fino a wiki.en, che tra gli amanti delle Shaggs cita anche i Moldy Peaches di Kimya Dawson, clicchiamo sull’hyperlink del duo di Jorge Regula e troviamo in grande spolvero il Lo-Fi e il Twee Pop citati nella recensione. Suonano male? Forse hanno influenzato il punk! Sono *oh mio dio…* FEMMINE? Probabilmente senza di loro il riot grrrl non sarebbe esistito. Ovviamente è sprecato specificare che tanto i Nirvana quanto i Moldy Peaches sono late adopter dei generi di cui sono campione, è più importante togliersi la nebbia cognitiva con un po’ di cardio e riflettere sul fatto che se nessuno più avanti ha fatto quello che hanno fatto le Shaggs è perché Philosophy of the World rigetta violentemente qualsiasi categorizzazione e incastro a causa della sua stessa storia, che è possibile recuperare ovunque su internet e che è stata efficacemente raccolta da Irwin Chusid (che Speri cita pure) nel suo Songs in the Key of Z edito 22 anni or sono. Le Wiggin hanno dimostrato che è possibile incidere certe cose su disco, ma le loro tracce, a cercarle nella musica posteriore, non ci sono. My Pal Foot Foot non si intreccia con Lithium, It’s Halloween non c’è in For Tammy Rae e dubito che i Pastels avessero il santino dei Wiggin Parents allegato al disco. Le Shaggs sono state un cult, ma non sono mai state un fenomeno musicale che ha attecchito in nessuna nicchia: la prima ristampa e riscoperta di Philosophy of the World risale al 1980 successiva alla citazione di Zappa datata 1976: in quegli anni le rotative di ognuno dei generi citati e dei loro genitori erano già ampiamente partite. Perché confondere le acque e costruire dei legami storici che non esistono? Perché si può dire tutto e il contrario di tutto per chiudere le 500 parole?
“Con il solo precedente dell’anti-bardo Pip Proud (salvo voler scomodare Florence Foster Jenkins), la naïveté esibita ma non rivendicata delle Shaggs è la prima attestazione discografica di una totale latitanza di talento”.
- Philosophy of the World non è il primo disco che suona di merda e non è il primo disco che attesta “mancanza di talento”
Sicuramente più perdonabile la superficialità con cui viene trattata la musica outsider degli anni ’60, del resto è un mondo sconosciuto ai più: hic sunt dracones e non ne parliamo più. Un po’ meno perdonabile la sparata fuori bersaglio di Florence Foster Jenkins, una cantante d’opera ricca e viziata che è entrata nella storia solo grazie alla sua caratura sociale. Però da uno scrittore che è riuscito a sbobinare le sue righe su un breakthrough come quello di Joe Meek ci si aspetta che abbia quel po’ di coscienza storica sul decennio chiuso dal 1969, che non mancava esattamente di gruppi che incidevano senza il minimo di talento e senza velleità avanguardistiche: The Legendary Stardust Cowboy, i Blousons Noir, Wild Man Fisher, la Nihilist Spasm Band, molti gruppi surf, Dion McGregor che parla mentre dorme e chi più ne ha più ne metta. Ma in generale è particolare identificare in Philosophy of the World il primo disco di arte naif dopo un triennio come quello ’67-’68-’69 e a 25 anni dalla nascita putativa dell’Art Brut figurativa. Per evitare di incappare in errore bastava sostituire “la prima attestazione discografica” con un giudizio di valore più che temporale, del tipo “la più sconvolgente attestazione discografica […]”. In questo modo si danno meno informazioni false e si alzano anche i toni della recensione. Non è meglio? No?
“”Philosophy Of The World” è l’istantanea di una pubblica umiliazione, facendo delle Wiggin Sisters l’ennesimo agnello sacrificale del Sogno Americano”
- Philosophy of the World non è stato oggetto di una “pubblica umiliazione”
Chi scrive l’avrebbe saputo se avesse letto il capitoletto di Songs in the Key of Z invece di limitarsi a citare la compilation chiamata in questo modo. Questa metafora non è banalmente ancorata nella realtà: innanzitutto le Wiggin non avevano particolari obiettivi nella scrittura del disco, che era controllata totalmente dal loro padre Austin, peraltro una figura probabilmente assai abusiva nel contesto del progetto Shaggs. L’unica volta in cui le Shaggs sono state fischiate dal pubblico risale al 1968, ma non avevano ancora avuto modo di suonare nulla di loro – sono state stoppate all’inizio di una cover. Tramite la ricerca e le interviste recuperate da Chusid emerge, dalla pubblicazione del disco, un quadro diverso, tutto sommato coerente con la realtà provincialissima della cittadina di Fremont: dalle parole di Dot Wiggin Philosophy of the World (stampato in 1000 copie di cui 900 “scomparse”) non è stato recensito da nessuno, o, almeno, la famiglia non ne aveva sentito parlare. E allo stesso tempo le Shaggs facevano dei concerti, suonavano dal vivo i loro brani e altre cover. E la gente di Fremont ascoltava e ci ballava, come si fa in tutte le culture del mondo, da secoli, con musiche che non sono esattamente Billie Jean, che suonano di merda ma che fanno comunque parte del rito collettivo, citando Harry Palmer:
“It was unbelievable. The locals came out and danced in a clumsy, arrhytmic, Night of the Living Dead sort of way. It was cretinlike. I remember thinking, ‘How can you dance to this music?’ But they did!”
Direi che l’idea dell’agnello sacrificale del Sogno Americano dovremmo sostituirla con qualcosa di molto più concreto e fattivo. Le uniche persone che hanno mai tentato di umiliare le Shaggs sono state proprio quelle che, molti anni dopo, ne hanno scritto tentando di mettere in gabbia la loro brutta musica in una narrazione da colono.
“Pur allattate nella absolutely freedom di fine anni 60 (e difatti proprio l’iper-tecnico baffuto di Baltimora diverrà un loro imprevedibile supporter)”
- In primo luogo Absolutely freedom non si può sentire. Inoltre: non è vero, la famiglia Wiggin non ha mai avuto niente a che fare con la musica freak degli anni ’60
Gli Herman’s Hermits sono il principale gruppo d’influenza che le Shaggs hanno citato, seguito a ruota dai Monkees e da Ricky Nelson. Frank Zappa, come ho scritto sopra, avrebbe citato le Shaggs per la prima volta nel ’76. Ora, o sono la parodia involontaria di un girl group oppure sono delle miracolate che per pura OSMOSI CRONOLOGICA sono diventate delle componenti a distanza della Magic Band. Delle due l’una, non diciamo stronzate.
“”Philosophy Of The World” è piuttosto un “Velvet Underground & Nico” che, anziché raccontare la vita metropolitana nella Grande Mela ai ragazzi di buona famiglia, accoglie un esercito di teppisti in una casa borghese del New Hampshire.”
- I Wiggin non sono una famiglia borghese del New Hampshire
Intanto il punto di contatto con Velvet Underground & Nico non ha nessun senso, è doloroso per tutti, facciamo che non è stato scritto e passiamo direttamente al motivo per cui ho preso questa citazione. In Philosophy of the World non c’è nulla di teppista e non c’è nulla di borghese: Austin Wiggin Jr. pagava le sessioni di registrazione con una marea di spiccioli raccolti in una latta di caffè, era l’unico lavoratore di una famiglia di sei persone ed era un operaio di una fabbrica di tessuti – fabbrica situata a svariati chilometri da Fremont. I Wiggin erano, usando le parole di Chusid, dirt-poor. Tutta la narrazione del pezzo foraggiata dal concetto del sogno americano, dell’umiliazione, del borghesismo rotto fa il giro su se stessa e bisogna invece fare i conti con il fatto che la famiglia Wiggin era un’ammucchiata di proletari del New England. La prossima volta è meglio scrivere di Foster Jenkins, se questo è il racconto che vogliamo fare.
“Bisognerà aspettare gli Swell Maps per ritrovare un legame di sangue altrettanto fertile nel dilatare le pareti della propria stanza dei giochi.”
- Philosophy of the World non è un esperimento ludico e gli Swell Maps vengono citati senza motivi leciti
Bastava veramente leggere quelle venti paginette in Songs in the Key of Z per evitare di scrivere a caso. Vi mando qualche citazione per inquadrare questa incredibile stanza di giochi alla Swell Maps nella quale le Shaggs potevano fare la loro Montessori Music.
[Sul padre Austin] “He was something of a disciplinarian,” Dot concedes. “He was stubborn and he could be temperamental. He directed. We obeyed. Or did our best.”
Each of the sisters took music and voice lessons for two years prior to recording the album. To allow his daughters more rehearsal time, Austin pulled them out of the public education system and enrolled them in correspondence courses with Chicago’s American Home School.
During the sessions, which were supervised by the “proprietor,” the girls would occasionally interrupt recording halfway through a song. “Why’d they stop?” the engineers would ask. “Because they made a mistake,” snorted Austin, in total seriousness.
Vera stanza dei giochi quella delle Shaggs. Sembra quasi che il periodo venga messo appositamente per linkare il pezzo di Speri sugli Swell Maps, che con Philosophy of the World non hanno veramente nulla a che fare. Ma probabilmente sono troppo malizioso.
“Proviamo invece ad accoglierla per davvero quella innocenza di cui tanti si riempiono le mascelle, e riascoltiamo le outsider-lullaby di “Philosophy Of The World” con poca testa e tutto cuore”
- Il punto delle Shaggs non è che hanno fatto un disco “tutto cuore” o che sono un bambinesco esempio di innocenza
E arriviamo a un altro punto fondamentale: Philosophy of the World non è un disco gigante perché è una roba twee che ci fa pensare a quanto sono pure di cuore queste ragazzine che cantano di gatti scomparsi, genitori amati e macchine da corsa, non è una questione di innocenza. Il primo Zecchino D’Oro è del 1959, possiamo ascoltare quello. Se invece vogliamo materiale di qualità possiamo recuperare le raccolte di etnomusicologia, di musica folk antica, cantata da gente che viene registrata mentre sciacqua i panni nel fiume. Qui Ondarock non ha colpe, perché ricalca senza troppe modifiche la chiave di lettura principale che la storia ha voluto affidare alle registrazioni delle Shaggs – ma lasciatemi dire due parole. L’unicità di Philosophy of the World, ciò che lo rende un lavoro quasi messianico sta nel fatto che incrocia un’origine genuina e sincera (che sia nella volontà delle sorelle di fare il girl group, nei deliri di onnipotenza del padre, o nei sogni premonitori della nonna cambia molto poco) con un risultato che, lungi dall’essere una nenia infantile, è un qualcosa di completamente diverso che emerge dalle maglie della storia della musica in tutta la sua bruttezza originale, praticamente impossibile da apprezzare senza aver prima dato vari giri di chiave con la testa. C’è un motivo se è un disco che viene definito aboriginal. Privo tanto di consapevolezza (di cui la vera avanguardia non si può spogliare) quanto di orecchio (che rende certi brani un abominio irripetibile per chi prova a replicarli) Philosophy of the World, complice la sua storia profetica, ossessiva, parmenidea, è semplicemente il disco che più di tutti racconta il suono dell’umanità, dismelodico, disarmonico, disritmico, senza un progetto alla base che non sia: cantiamo queste canzoni qui. Senza arrivare ai miei specifici livelli di devozione e tornando al punto: Philosophy of the World non è solo un disco innocente, è anche un disco brutto, difficile da ascoltare e allo stesso tempo terribilmente affascinante. Tagliare via questi aspetti dalla valutazione finale è una semplificazione che non fa giustizia alle Shaggs e che non racconta al lettore che cosa potrebbe trovarsi davanti.
- Considerazione in chiusura: Philosophy of the World non è un dischetto misconosciuto e non può essere più trattato come tale
Siamo nel 2022, La prima ristampa del disco è di più di quarant’anni fa, il saggio di Chusid è uscito più di vent’anni fa. La recensione stessa si apre con: “Eccolo là, il power trio più influente di sempre“, un’affermazione del cazzo che però ci detta la linea su quale sia il punto di vista della massa su Philosophy of the World. Non è obbligatorio scrivere solo roba giusta, quando si scrive di musica. Non solo è possibile sbagliare, ma per le più svariate motivazioni (tempo, prosa, scelta di tracciare determinati collegamenti) è lecito scrivere qualcosa di pressapochista. Però: un conto è farla un po’ sporca con un disco misconosciuto che si spinge e su cui non si ha tempo o possibilità di informarsi – recentemente ho fatto un pezzo sui King Garbage e non mi aspetto di aver passato il 100% di informazioni corrette. Tutt’altra storia sta nel trovarsi a scrivere di un disco e di un gruppo che sono la bandiera di un genere molto vasto, con un gruppo di appassionati molto nutrito e, per quanto riguarda il mid/mainstream, con tantissima copertura: le Shaggs compaiono in altissimo su svariate top 100 dell’intero rock alternativo, dei dischi garage, della roba uscita negli anni ’60, e così via; Philosophy of the World ha più di 5000 voti su Rateyourmusic e qualsiasi testata prima o poi ne ha scritto per raccontarne l’assurdità e la magia. Esiste un gruppo Facebook di circa 100.000 membri dedicato all’outsider in cui è buona etichetta NON condividere le Shaggs perché tanto le hanno già sentite tutti. Appunto, non si parla di Eliert Pilarm, ma nemmeno di Eden Ahbez: le Shaggs sono diventate negli anni un fenomeno gigantesco – e se è vero che le Wiggin sono nella stessa lega dei Velvet Underground (non è vero) allora è arrivato il momento di trattarle con la dovuta accuratezza e smettere di usare Philosophy of the World come specchio per parlare di se stessi e della propria visione della storia della musica. Ma, ancora più semplicemente, sarebbe anche arrivato il momento di parlarne conoscendone la storia. Se proprio non si ha voglia di fare un paio di letture basta usare il vecchio metodo di cominciare il pezzo con “La pioggia batte sul finestrino del treno e io mi metto le cuffie. Improvvisamente mi manca il fiato: cado in un mondo nuovo…” e bla bla fino alla fine del pezzo – nel peggiore dei casi poi si può mandare a un contest letterario e vincere una targhetta.
Che ne dite, ce la possiamo fare?