EMILY WELLS – REGARDS TO THE END
Emily Wells fa musica dalla fine degli anni ’90. Polistrumentista, la sua carriera vanta un approccio fortemente eclettico, che incorpora musica classica, pop elettronico, hip hop, folk e jazz in dischi di ampio respiro. Questo vortice di stili, che novantanove volte su cento sottintenderebbe un team di turnisti e collaboratori, ha invece la Wells stessa come perenne asse principale in veste di compositrice, di arrangiatrice, di performer, di produttrice. Dei mondi elencati sopra Regards to the End sceglie di vivere nei primi due, giocando tutto sulla compenetrazione tra musica da camera e inserti elettronici. È un dialogo che si articola su vari livelli: strumentalmente clarinetto e violino dominano la scena, creando trame raffinatissime e dando ai pezzi una caratteristica organica che viene poi minata dall’introduzione di percussioni e sintetizzatori reminiscenti della darkwave anni ottanta-novanta; le strutture dei brani enfatizzano ulteriormente l’intreccio di questi due linguaggi musicali, creando spazio tanto per complessi ricami e assoli strumentali quanto per semplici riff ed eterei tappeti ambientali su cui far adagiare un cantato fermamente ancorato nella musica pop.
Il disco tratta tematiche di paura e stigma sociale parlando dell’atmosfera che lei e innumerevoli altre persone queer hanno respirato qualche decennio fa, quando l’AIDS mieteva vittime su vittime mentre i legislatori ignoravano completamente la situazione, arrivando a volte ad osteggiare apertamente un’intera categoria di cittadini, firmando consapevolmente la loro condanna a morte. Forse vi sarà capitato di vedere Tick Tick Boom, resa cinematografica di uno spettacolo di Jonathan Larson (autore di Rent) uscita quest’anno ed estremamente popolare, contenente anch’essa queste tematiche. Se l’avete vista mi dispiace, perché fa cagare – lo spettacolo teatrale è un po’ meglio, anche se non è comunque la mia cup of tea. Nel film, questo periodo storico viene trattato con leggerezza (e ci sta), ma il risultato è un prodotto estremamente superficiale, rendendo tali argomenti meri riempitivi in una sorta di pantomima forzata senza un minimo di sensibilità. Emily Wells fa ben altro, riuscendo invece a evocare vividamente il turbine emotivo di una classe sociale spaccata, ostracizzata dallo stato che la dovrebbe tutelare e pertanto legata da un forte senso di appartenenza per le persone nella loro comunità, per i luoghi dove ancora resta possibile la libera espressione. La sua prospettiva è tragica, lo sguardo di una persona che sta vedendo la fine del mondo dipanarsi davanti ai propri occhi, eppure c’è anche del vitalismo in questo scenario apocalittico: Regards to the End mostra una persona che accetta l’esperienza umana in tutta la sua incommensurabile grandezza, esperendo tragedie e terribili ipocrisie sulla propria pelle ma senza mancare di ammirare la viscerale bellezza in ciò che ci circonda.
Troviamo dunque la crepitazione esistenziale di Two Dogs Tethered Inside, descrizione di un’eterna battaglia interna tra dolore e desiderio, scandita da un pulsare sordo a emulare il battito cardiaco, e l’echeggiare di suppliche in Come on Kiki, implorazioni ossessive rivolte agli altri, a sé stessa, al Tempo. Il disco raggiunge il suo apice nella meravigliosa Love Saves the Day, dove riflessioni e lamentazioni sono scandite da continui cambi di ritmica e scenario: il clarinetto danza in punta di piedi, splendidamente, assecondando la marcia di beat elettronici che d’improvviso mutano, trasformandosi prima in un cupo circo scandito da un corno francese, poi lasciando spazio a tappeti di archi e legni anch’essi straordinariamente multiformi. Così, il lento sfregare dell’archetto sulle corde di violino sfocia ex abrupto in una pioggia di pizzicato furtivo, mentre l’incessante trama di clarinetto cede il passo a un sintetizzatore ipnotico, la cui timbrica rimane bloccata a metà tra il mondo elettronico e quello analogico.
Come credo di aver lasciato intendere, Regards to the End contiene tante cose. C’è l’approccio sofisticato al chamber pop di Cosmo Sheldrake, c’è l’approccio bizzarro al pop elettronico dei Knife, c’è l’approccio tragicamente gotico alla darkwave dei Dead Can Dance. Nonostante alcuni pezzi meno memorabili (David’s Got a Problem, Arnie and Bill to the Rescue), Regards to the End rimane un lavoro molto valido e affascinante, denso di significati e di idee, il prodotto di una musicista che ha dedicato tanto al mondo esterno e ancora di più al suo universo interiore.