“L’albero parla
E tu URLI!”
Enzo Minarelli è prima di tutto un poeta. Anzi, un polipoeta. Da quarant’anni questo instancabile sperimentatore culturale esplora le potenzialità della parola al crocevia intermediale di musica, video ed esibizione dal vivo; le sue tracce discografiche in questo lasso di tempo sono sparse e parziali, in linea con una creatività irrequieta e difficilmente incasellabile, anche se negli ultimi dieci anni la sua attività ha iniziato ad essere documentata con una certa regolarità. De Revolutionibus è l’ultima di queste testimonianze, un omaggio a Copernico in cui la voce è il Sole al centro dell’impianto sonoro. Con un ulteriore parallelismo, si può dire che come le ricerche dello scienziato polacco avevano scardinato sistematizzazioni vetuste e imprecise, così l’uso della parola di Minarelli cerca di superare le convenzionali attribuzioni del significato facendo nascere nuove intuizioni alla soglia tra fonemi e pensiero. Quasi tutti i brani sono imperniati su singole parole o espressioni che vengono ripetute e nel processo trasfigurate sia nella pronuncia che nella corporeità sonora, stratificandosi fino a creare intere atmosfere dove uno schiocco o un ringhio della voce acquisiscono valenze espressive inedite. La tecnica ricorda gli esperimenti con la voce del semidimenticato Adriano Spatola, di cui è consigliata la raccolta Ionisation and Other Sound Poems; ma a differenza sua, Minarelli non si accontenta di imbastire esperimenti vocali bensì costruisce veri e propri pezzi musicali. L’impianto elettronico è minimale ma sorprendentemente moderno: si tratta soprattutto di inserzioni glitch e panorami tra IDM e ambient sghemba, ma anche schegge brucianti in cui pare di sentire echi di techno motorik e hip-hop sfilacciato. Stimoli che si allacciano alle molte forme mutanti che la voce di Minarelli assume per creare pezzi densi, coinvolgenti e mai statici, nonostante i pochi elementi di partenza. Un disco efficacemente polipoetico.