KIRAN LEONARD – REAL HOME

Memorials of Distinction

2024

Progressive Folk, Art Rock

Il 2024 sembra oramai essere orientato verso un trend ben definito e inevitabile: non so più cosa aspettarmi dagli artisti a cui guardo con ammirazione. Lungi dall’essere immediatamente etichettato come il tipico vecchio che non capisce più che cosa gli sta passando tra le orecchie, direi che posso almeno essere scusato per quanto riguarda Kiran Leonard e la sua carriera. Dopo quella bomba senza senso uscita dal nulla che era stata nel 2016 Grapefruit, che difendo a spada tratta come uno dei dischi rock più magniloquenti e spettacolari degli ultimi dieci anni, la carriera di Leonard aveva infatti preso una piega inaspettata, strana e nemmeno particolarmente apprezzabile. Esperimenti di folk intimista moscetto e frignone avevano rimpiazzato le deflagrazioni rumoristiche, le strumentazioni eccentriche, le scritture spastiche del suo capolavoro. Ero rimasto così scottato da Derevaun Seraun che avevo deciso che sarebbe stato meglio allontanarsi per un po’ da Leonard e dalla sua musica. D’altronde, cristoddio, stiamo parlando di un vero e proprio enfant prodige: iniziare a pubblicare la propria musica a nemmeno tredici anni non è certo una cosa da tutti (che poi fosse totalmente immatura è un altro discorso); una prolificità torrenziale sembra pervaderlo ancora oggi, a tal punto che la pretesa di vedere scemare la sua frequenza di pubblicazione sembra anche adesso inutilmente vana. Fortunatamente, qualcuno con meno fisime di me in redazione (in questo caso, Alessandro) ha detto: “Ehi, questo Real Home non è niente male!” e quindi mi sono deciso a dargli una possibilità.

Pass Between Houses, la traccia che apre il disco, è un attacco in medias res: quindici secondi di batteria, chitarre sghembe e fiati di vario genere che si ripetono ipnoticamente per qualche misura prima di mutare in quello che è a tutti gli effetti l’inizio del brano. Voglio parlare di questi singoli quindici secondi: hanno catturato la mia attenzione così tanto per il modo in cui erano piazzati, per il loro impatto come prima impressione del disco, e soprattutto per il fatto che non c’entrano quasi niente con il resto del pezzo che li segue, che praticamente il mio primo ascolto di Real Home è passato tutto nella speranza di vedere ricomparire questo motivo, proprio perché mi sembrava troppo strano che un frammento del genere potesse vivere esclusivamente di vita propria. Plagiato dalle strutture circolari di alcune grandi opere letterarie, riflettevo sulla maniera in cui Leonard sarebbe riuscito a chiudere quello che ipotizzavo potesse essere un uroboro anche in virtù della catalogazione assolutamente psicotica che l’artista sembra seguire per la propria opera. Ovviamente, di questo ritorno ciclico all’inizio di Real Home nel disco non c’è alcuna traccia: non si collega nemmeno al disco precedente. Sono quindici secondi di musica che sono lì perché a Kiran Leonard piace che stiano lì.

Questo è lo stesso motivo per cui non bisogna stupirsi di intermezzi come Treat Me a Stranger, che in poco meno di un minuto costruisce un quadretto di claudicante americana sabotato da interferenze radio e un drone di sottofondo che a ogni ascolto suona più fuori posto. È la stessa ragione per cui Void Attentive suona come uno studio del materiale di Steve Reich, con i suoi ostinato senza risoluzione che vengono intercettati da un pianoforte elettrico saccheggiato dalla Penguin Café Orchestra. Allo stesso modo, la title track spezia una languida ballata per pianoforte, chitarra e archi con echi e sospiri che ricordano il Jim O’ Rourke di Halfway to a Threeway, fino ad arrivare a un punto di tensione creato dalla trattenuta di una nota della voce di Leonard. Questi miseri istanti sono talmente imprevedibili che ogni muscolo all’ascolto si allerta istantaneamente, intuendo il collasso del brano di lì a qualche attimo. Invece il pianoforte continua il suo giro, la voce ripete il ritornello e il brano si chiude. Perché? Boh.

Intendiamoci: questi non sono difetti. E, allo stesso modo, la scrittura di Real Home non è affascinante da descrivere solamente per questi istanti o per le influenze da cui Leonard sembra chiaramente attingere. Post-rock, folk, elettronica, sonorità industriali e manomissioni rumoriste: Real Home ingloba tutto questo in un contenitore traboccante di idee fino al punto di esplodere, e il risultato è un album di Kiran Leonard che per la prima volta da anni suona nuovamente intrigante e sfaccettato. Sarebbe però sfibrante descrivere per intero la maniera in cui brani splendidi come The Kiss o Utopia of Bog riescono a cristallizzare le proprie idiosincrasie musicali, impilando tetramini irregolari uno sull’altro in maniere bislacche e riuscendo a fare tetris ogni volta che ci si sposta in una nuova sezione del labirinto mentale leonardiano; ciononostante, si percepisce alla perfezione una differenza sostanziale tra queste nuove canzoni e i brani che componevano la prima parte della produzione discografica di Leonard. Le composizioni di Real Home non sembrano mai degenerare in un anarchico brodo primordiale come accadeva nei momenti più emozionanti di Grapefruit: ma questa tendenza alla stabilizzazione, per quanto apollinea, si lascia costantemente sfuggire di mano minuscoli frammenti sonori che diventano, a conti fatti, il cuore pulsante dell’esperienza. Real Home, perciò, è un disco che va inquadrato all’interno del percorso di un artista che sembra avere ancora tantissime cose da dire anche quando tutti eravamo convinti del contrario: ed è innegabile che con questo album Kiran Leonard si sia riguadagnato il diritto di essere tenuto d’occhio attentamente e con anticipazione, ancora una volta.

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Jacopo Norcini Pala
Jacopo Norcini Pala