LE PARODY – REMEDIOS
Negli ultimi anni, ogni volta che vado un attimo più under the radar a ricercare uscite che potrebbero essere state sorvolate dalla stampa pur avendo qualità interessanti, mi trovo spesso a perdermi in una giungla iberofona il cui ambiente è puntellato da diversi impulsi vitali. Volendo immaginare il field recording di questo non-luogo la cosa che colpisce è l’assenza di qualsivoglia pausa o silenzio: un tessuto sonico e a questo punto culturale che procede per strati, dal soffice folk/jazz di Antía Muíño in Galizia, Sílvia Pérez Cruz in Catalogna e Luiza Brina in Brasile, all’avant-pop-rock zigzagante di Maria Arnal a Barcellona, Mabe Fratti a Città del Messico e dei Metá Metá a São Paulo, fino all’elettronica baccagliante e secca dei Baiuca, di Ana Lua Caiano, perché no, della Rosalía di El mal querer. Questo calderone, ovviamente, non è nemmeno definibile scena, ma fatto sta che in qualche modo esiste nonostante i limiti geografici, linguistici e culturali. Una delle osservazioni che portano verso questa conclusione è l’interessamento del brasiliano Kiko Dinucci per l’andalusa Soledad Parody, in arte Le Parody, una musicista che ha all’attivo un decennio abbondante di prove nel campo largo della folktronica. Nonostante Parody sia riuscita a pubblicare per il chapter spagnolo di Warner nel 2015 con Hondo, e nonostante il successivo Porvenir sia un gran bel disco – avant-folk leggero in bagnomaria di tech house scura e morbosa – nessuna delle sue prove è mai riuscita a bucare i confini nazionali. Seguiamo l’esempio di Dinucci e spezziamo questo trend: due parole su Remedios sono dovute.
Concepito come progetto poetico dedicato al lifestyle post-apocalittico – come ci si vestirà? Di che si parlerà? Quali saranno i dettami per sopportare la nuova situazione? – Remedios si pone sul lato più smaccatamente elettronico di quel mazzetto di nomi che fanno parte della giungla di cui sopra, soprattutto dal punto di vista della produzione. È facile incappare in un drumming robotico e pesantemente effettato (Se clavan, Nanas de Mayrit, PAISAJE III) che detta molta della linea di principio del disco: se i pezzi devono essere usati in contesto club, lo spirito deve essere quello del flamenco nuevo – baile brillante, sincopi, quella secchezza di fondo che era poi la lama principale anche nel debutto di Caiano. Il quadro melodico, però, scivola graziosamente al di là di questa continua mattanza al flamencucho, e tra l’educazione musicale soleggiata di Parody e il respiro artistico più completo del consulente Dinucci emergono discorsi più carezzevoli e interessanti, qui e lì. Penso soprattutto alla continua ricerca del blend perfetto di sintetizzatori roboanti e strumenti profondamente analogici: l’ariosa apertura di campane di PAISAJE I, la liaison improbabile tra l’elettronica hard e hyper di Puttaneska e i fiati carezzevoli ed educati in Por saber de dónde vengo e Virtudes, il glitch all’accompagno dei cori e della banda da strada nella splendida Cántese por cantar. Tutto Remedios si tiene su quella classica gioiosità esondante dell’art pop squillante dei noughties, generando sensazioni note e nostalgiche; allo stesso tempo, però, c’è questo processo multiforme che non si può ignorare. Si scava volta per volta in questa sorta di folk romanzo universale, si applicano con lo spirito di chi compone un collage i più recenti composti della club music, tutto si incunea nella direzione voluta, si collabora, si porta avanti la falange. C’è tanto di personale in ognuna di queste uscite, e questo concede di volerne ancora, e volere che se ne produca ancora. Le Parody è solo una delle incarnazioni di questo spirito, e forse per questo non trovate sue notizie in giro; ma basta gettare una luce su Remedios per rendersi conto di quanto sia il singolo animale a rendere viva la giungla, e di quanto quest’ultima, intera, si rifletta nei suoi movimenti. Non perdete quest’occasione.