PERIFERIE #7

Kate Carr – Midsummer, London (Persistence of Sound)

Il razionale con cui ci sentiamo di consigliare musica elettronica basata su registrazioni ambientali si fonda quasi sempre sulla capacità di testimoniare una realtà e/o costruire una narrativa da una prospettiva sonora intrigante; è un lavoro di fino, poco appariscente, che tiene dentro ben più che dei microfoni accesi lasciati in giro e qualche toppa sintetica digitata su Typatone. Kate Carr è una veterana di questa nicchia espressiva e a proprio nome ha già un piccolo pianeta di paesaggi acustici da esplorare, tra scorci di mondo e apparizioni digitali. Il suo ultimo album origina da una lunga passeggiata attraverso l’afa di Londra nel giorno del solstizio d’estate; in precedenza la cappa di calore estiva aveva fornito l’ispirazione per un’altra pubblicazione, Heatwave del 2019, e a questo punto possiamo dire che per Carr assemblare musica è un bel meccanismo di coping quando le temperature portano a boccheggiare. Se però il predecessore viveva in una dimensione astratta potenzialmente proiettabile su diverse realtà, Midsummer, London riesce a comunicare perfettamente la sensazione di sospensione appiccicaticcia che chiunque abbia vissuto un anticiclone africano in città conosce bene. Le registrazioni sono permeate da note incerte, che si librano a mezz’aria con una stanchezza allucinata senza le energie per fare altro che stagnare come l’umidità; hanno però riflessi cristallini e metallici che si allacciano con i segnali dell’attività umana, i piccoli clangori, i clacson desolati. I suoni sembrano avvolti da una patina opaca e, anche se sono tutt’altro che rarefatti, il modo in cui si spargono e si assottigliano suggerisce un vuoto anomalo nella realtà intorno a loro. Le voci umane non sono più fitte dei versi degli uccelli, entrambi superstiti in una quotidianità rallentata. In certi momenti si percepiscono ritmi e trasmissioni radio da un altrove, i rumori si trascinano dietro riverberi sempre più spessi e le trame elettroniche si affastellano fino a creare passaggi vicini allo stile di Ulla (come in Trying to Find the River…), immergendoci in uno stato al limite del sogno; ma i suoni concreti della città richiamano al reale, con i contorni dei luoghi appena sfumati nell’aria che vibra per il caldo. Probabilmente queste sensazioni non le vivrete sulla vostra pelle per un po’: potete quindi godervi questo disco insieme a un fresco sospiro di sollievo. 

Tradecraft – The Body Needs Purpose (Berceuse Heroique)

Guy Alexander Brewer ha fatto tante cose per cui potreste conoscerlo, dalle scorribande di inizio carriera con i Commix alla ricerca sul campo della techno glaciale e minimale sotto il moniker Shifted. Gli ultimi due anni lo hanno visto distribuire da un nuovo mazzo di produzioni ribollenti diversi EP a nome Carrier, tra drum ‘n’ bass rallentata e dub ad alta pressione con la sagoma di Kevin Richard Martin sullo sfondo; a questi si sono poi aggiunti un mix di jungle scura e sporca dei tempi d’oro e il suo lavoro meno decifrabile di recente memoria, questo The Body Needs Purpose apparso dal nulla a firma Tradecraft. La cifra caratteristica della musica di Brewer, almeno nelle sue forme attuali, sta al crocevia tra una vaga sensazione di incompiuto e la strisciante consapevolezza di qualcosa di incombente. Su The Body Needs Purpose questa zona grigia accoglie nuclei di ambient dalle melodie dolci che si ritrovano incastrati tra i detriti della depressione post-industriale; note limpide vengono disperse in ampi spazi paludosi generati dalla ripetizione ossessiva di suoni consumati, arresi. Raramente compare un ritmo pieno, formato, e quando succede non viene usato per spezzare la stasi, bensì per farla risuonare ulteriormente. I pezzi sono essenziali perché disegnano una dimensione dove c’è rimasto poco da salvare, ma anche così riescono a generare un’ipnosi potente valorizzando gli aspetti più evocativi dei propri elementi: Brewer non usa il trucchetto di avvolgere tutto in una nebbia di rumore o di resa a bassa definizione, questa desolazione te la presenta in maniera nitidissima e ti insegna a contemplarla così a lungo da percepire tutti i dettagli che ne fanno parte. È un mondo popolato di echi, riverberi, ombre lunghe di ciò che è venuto prima e frammenti germinanti di piccoli suoni che crepano le paratie dei droni spessi. Volendo tracciare riferimenti, si può pensare all’Aphex Twin più atmosferico e allucinato e alla musica dei primi Demdike Stare asciugata di ogni danza; oppure ai segmenti che precedono il drop nei pezzi d‘n’b più malevoli, ma prolungati e rifratti per un album intero senza che la catarsi si manifesti mai. Non è facile trovare dischi che si muovano con tanta destrezza tra questi umori malaticci: consigliato l’ascolto in giornate dal cielo assente, col termometro a portata di mano.

Potere Negativo – Benvenuto all’Inferno (coproduzione)

I milanesi Potere Negativo hanno pubblicato meno di mezz’ora di musica dal 2018 a oggi, di cui circa metà è contenuta in questo Benvenuto all’Inferno. In tempi di ipersaturazione dell’offerta musicale e terabyte su terabyte di potenziali ascolti che ci si propongono da una moltitudine di piattaforme, giova ricordare che la fruizione di un file audio con tutto il (più o meno stratificato) processo di produzione e distribuzione che ci sta dietro è solo una parte del senso per cui questa roba ci cambia la vita. Il resto sta nel rumore fatto su un palco, nel casino fatto sotto e attorno a quel palco, nel sudore condiviso urlando con i corpi e gli sguardi a contatto, quindi nella comunità che si crea a vivere la musica in maniera corporea e diretta. Fatta questa premessa, possiamo dire che anche la versione registrata dei Potere Negativo fa le buche. Hardcore punk furente dalle parti dei Discharge, con pezzi che colpiscono dritto per dritto tra chitarre ronzanti, bassi rocciosi e ritmi in D-beat. Via gli assoli che sono roba da borghesi, piuttosto i pezzi riescono a infilare nel proprio velocissimo corso inflessioni doom tramite feedback di chitarra e temporanei scali di marcia, che danno un substrato fangoso alla potenza di fuoco della sezione ritmica e si accoppiano alla perfezione con la voce grondante veleno. L’album è un bignami dell’odio da riservare a chi si costruisce una posizione difendendo e perpetuando un potere soffocante, alienante nel suo nutrirsi del dolore altrui. “Quando sei a terra ti colpiscono più forte” (da Demoni), “Servire, soffrire, morire!” (da Crepa) sono i concetti polari che chiamano a resistere alla violenza, con una forza che questa musica canalizza senza compromessi. La finale Farsa mostra che i Potere Negativo hanno le capacità di cimentarsi anche con un canovaccio diverso dall’aggressione a muso duro, e il disco si chiude con i denti stretti e l’istantanea voglia di replay. Se vengono a suonare nei vostri paraggi, sapete cosa fare.

Condividi questo articolo:
Roberto Perissinotto
Roberto Perissinotto