CLASSIFICHE DELL’ANNO DOMINI 2023

In copertina, danni del terremoto del 6 Febbraio, quasi sessantamila vittime tra Turchia e Siria

Ci piace uscire un po’ sul tardi, a noi, e questo ci concede un paio di cosine. Numero uno: siamo più o meno allineati con l’anno appena passato, cerchiamo di rimanere con le antenne rizzate fino alle vacanze invernali e proviamo a raccattare tutto ciò che c’è di buono nell’etere. Numero due, forse più importante e sicuramente più sapido: abbiamo la possibilità di farci una letta delle classifiche degli altri. E ogni anno ci rendiamo sempre più conto di quale sia il nostro ruolo nel desolante panorama della critica italiana. Il 2023 è stato un anno che ognuno ha visto sotto una lente diversa, complici le maree e maree di dischi che escono ogni settimana, ma è anche stato un anno in cui tante testate hanno scelto di vedere in questa moltitudine un certo appiattimento, una certa uniformità di fondo tra le uscite che sono state le più apprezzate. Del tipo: più si è, più si è massa, meno si è diversi. Soliti dischi, forse è perché sono genuinamente le scelte migliori in un’annata debole?

Il mondo della critica pare dividersi in un esercito di cloni che plaude ad act più o meno sputtanati come Sufjan Stevens, Caroline Polachek, il ritorno degli Yo La Tengo e perché no? Janelle Monáe o addirittura gli Swans per la quota raw – e dall’altro lato qualche povero pioniere che ha il coraggio di spararsi in vena drone opera da 4 ore e improvvisazioni elettroacustiche che potrebbero essere uscite nei secondi anni ’30 registrate un po’ peggio. O sei un sostenitore dei soliti noti (e qui tutti in un modo o nell’altro si confrontano con Pitchfork e con i grandi aggregatori), oppure ai tuoi dischi va dedicata un’ala di museo sperando che la gente ci caschi – e ce l’ho in particolare con The Quietus (un classico) e The Wire (inaspettatamente affollato di musica di confine). In Italia questo fenomeno prosegue per procura, con qualche corretto filamento di promozione legato a quei gruppi italiani che vanno spinti (e che quando possiamo spingiamo anche noi) e una passione un po’ più morbosa per quella musica per chitarre ribollente e graffiante che piace tanto perché si incastra perfettamente con l’adolescenza della quota demografica più rappresentata tra i giornalisti musicali del bel paese: maschi bianchi etero e sfigati tra i 40 e i 50 anni che scrivono per hobby dei gruppi che a loro più piacciono. Non me ne vogliano, io corrispondo paro paro alla descrizione con l’unico vantaggio di una quindicina di anni in meno.

Qual è il risultato di questo ambiente? Tutto si appiattisce, i nomi delle grandi e medie testate diventano effettivamente quelli, e sembra che il 2023 sia stato un anno che ci sta ma che tutto sommato fa parte di un processo di chiara decadenza della musica, l’algoritmo, spotify, l’internet, chatgpt (?) e tante cose che si dicono cercando di fare una quadra di questo mondo ipertrofico di cui facciamo parte un po’ a sgamo. Fortunatamente le cose non stanno così: ci sono periodi storici più favorevoli e periodi storici meno favorevoli allo sviluppo di certe forme d’arte – e noi siamo i primi che abbiamo cercato perle nelle macerie in tanti, tanti anni dell’ultimo decennio. Ma la vera verità è che il 2023 è stato un grande anno, e il decennio che stiamo attraversando si rivela sempre più un bel momento per lo stato della musica globale e nazionale: basta sapere dove andare a guardare.

E non sto parlando di guardare dove guardiamo noi, ma almeno di avere un proprio sguardo, quello sì. Le nostre classifiche si assomigliano tra loro anche perché abbiamo un certo costrutto estetico, un modello che ci restituisce risposte simili – ma è anche vero che le nostre classifiche non assomigliano a quelle delle altre testate. Ma la nostra domanda, da giornalisti, critici, appassionati di musica è: ma perché non fanno tutti questo genere di operazione, invece di andare dietro al solito album of the week? Quasi nessuno viene pagato in questa splendida industry, siamo tutti quanti pro bono – e allora perché non approfittare per affinare e spendere la propria voce? Verticalizzarsi, un minimo? Immaginate a quanti nomi e storie avreste accesso voi lettori, se ogni zine avesse questa voce, e non si calcificasse sulle uscite del gruppo beggars – o di qualsiasi grande realtà di distribuzione che vi venga in mente.

Il commento di Livore sul 2023 è molto positivo. Gli strumenti della elettronica stanno divenendo sempre più accessibili su scala globale, e questo concede di avere un crescente spirito di commistione che nasce in contesti in via di sviluppo e che si evolve tramite i social, i gruppi, le collaborazioni oltre confine – dall’altro lato tanta dell’accademia si fa via via più consapevole dei limiti e degli abusi dello sguardo coloniale, e tante operazioni di concetto svestono i panni dell’antropologo e indossano quelli più corretti da cittadino del mondo. Sono cose che si riflettono negli eccellenti dischi di Jason Moran, Raja Kirik, PoiL / Ueda e in tante delle nostre menzioni onorevoli. Se gli ultimi anni ’10 sono stati l’epoca della club decostruita e del pop accelerato i primi anni ’20 stanno finalmente raccogliendo i frutti di questo sforzo prometeico, con musiche profondamente out of the box che ce l’hanno a morte con la noia e che riescono a riformarsi come pezzi d’arte colorati e bizzarri: guardate Katie Gately, gli Amen Seat, Kate NV, Marina Herlop – ma possiamo anche leggere sotto questa lente Monika Roscher e DJ Sabrina. Ancora, l’incredibile fad delle AI e questa diffusa atmosfera di millenarismo digitale ha lanciato tante speculazioni, tanta materia di scambio e di studio per artisti come Steve Lehman, Michel van der Aa, Leonardo Barbadoro. Ed è anche un’epoca in cui la voglia di spiccare e di andare oltre le enormi onde dell’algoritmo è tanto forte, in un modo o nell’altro. Ci prova ognuno come può: i gecs riescono con uno sforzo nullo a sfondare tutte le porte, Holden spara uno dei suoi capolavori con un certo ritorno alla natura, Celestaphone, Aho Ssan, Kostnatění, fanno tutti i matti in direzioni differenti.

Abbiamo trovato tanto di bello da ascoltare in quest’anno. Se ci seguite saprete già che tutta questa nostra (non ordinata) sequela di dischi era già nel nostro cuoricino, ma speriamo di venirvi incontro con le classifiche individuali e le 30-40 menzioni onorevoli che trovate a fine pezzo. Se non ci seguite già, invece, potete farvi una concreta idea del nostro stile, dei nostri gusti, di quello che per noi è valido esplorare in musica (e lasciarvi esplorare) e avete già a disposizione i link alle nostre recensioni che abbiamo buttato giù nel corso dell’anno.

Amate la musica giusta, odiate la musica giusta: cercate, solo, di non subire la scala di valori degli altri. Ci vediamo a gennaio!


Steve Lehman & Orchestre National de Jazz – Ex Machina

L’enorme varietà di soluzioni sperimentate e il modo in cui ogni brano affronta da una diversa prospettiva le possibilità offerte dall’intelligenza artificiale in un contesto improvvisativo fanno sì che la musica di Ex Machina stupisca e diverta per tutta la sua durata – che non è un risultato da poco, contando che si parla di oltre 70 minuti di musica cervellotica, complessissima a livello ritmico quanto armonico. Lo sguardo estremamente moderno e acuto che Lehman, Maurin e la ONJ rivolgono simultaneamente all’improvvisazione elettroacustica e alla scrittura per big band è una ventata di energia creativa talmente fresca e nuova che fa passare in secondo piano l’altrettanto notevole achievement di aver, per una volta, messo a tacere gli allarmismi pessimistici che fioccano sempre quando si parla di musica e intelligenze artificiale. Ex Machina ha squarciato la cupa nube di retorica intorno alle IA come morte dell’umanità nell’arte e al di là di questa fenditura ci ha offerto uno scorcio di futuro radioso, straripante di creatività e possibilità ancora da esplorare: semplicemente, un album imperdibile.

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jaimie branch – Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((world war))

Mai come su ((world war)) la musica dei Fly or Die è apparsa così colorata e rigogliosa: è una cornucopia di stili e riferimenti che sembra deflagrare continuamente in ogni direzione, assorbendo e rielaborando organicamente l’influenza delle sorgenti sonore più disparate – jazz in ogni sua manifestazione (poco importa che sia il jazz funk, o l’afro jazz, o il free jazz), punk, folk, elettronica, hip hop, musiche della diaspora africana (in particolare, quelle latine e caraibiche). Ma se la musica di ((world war)) è straripante di gioia e amore per la vita, in effetti i testi suonano piuttosto incazzati. Il lascito ultimo dell’intera missione artistica di jaimie branch, musicale quanto concettuale, è quindi forse da rintracciare proprio nel rant di burning grey, che invita in maniera nemmeno troppo implicita a imbracciare una vita quotidiana di lotta militante: «the future lives inside us / don’t forget to fight». Non lo dimenticheremo.

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James Holden – Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities

Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities è, nelle parole del presskit, “a dream of rave, a fantasy about a transformative music culture that would make the world better”. Il nuovo disco di James Holden, uno di quei pochi artisti che reputiamo non abbia ancora sbagliato un colpo in tutta la sua lunga carriera, è quindi una capsula del tempo in cui presente e futuro si mescolano in un gioioso pastiche interdimensionale dove i confini di un genere così vasto come quello della musica elettronica si confondono. Com’è possibile che servano soltanto un paio di minuti per far precipitare questa musica da club in una ruminazione psichedelica per tabla, pianoforte, violino e sintetizzatori? Quale mente è capace di immaginare delle coordinate così improbabili, e che nonostante tutto si rivelano sempre essere esatte? Continuo a riflettere su come Holden sia riuscito a incastrare i suoi ricordi in musica e a fare pace con essi: e mi domando come quei piccoli frammenti di violino, pianoforte, flauto dolce, registrazioni di piccioni e svolazzi di tastiere siano stati trasformati magicamente in uno dei dischi più belli e intriganti di quest’anno.

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Amen Seat – Amen Seat

I protagonisti assoluti di tutto questo Amen Seat sono i contributi di Brzytwa, tanto per ciò che concerne le sezioni vocali che quanto per ciò che concerne i suoi interventi verticali e inquieti di flauto: i suoi fraseggi si gonfiano ed emergono con una lucidità e una freddezza notevole nella parata di glitch e puntinismi apparecchiata da Leidecker e dagli altri collaboratori. I toni della performer, sia al flauto che alla voce, spaccano il mare ghiacciato della sua corte con scat, urla al limite dello psicotico, una generale e sardonica passione per la dissonanza e per il brutto. Non basta ascoltare una dozzina di volte questo album per esaurire il racconto che ne facciamo a noi stessi. E in tutto questo rimane nell’occhio del ciclone l’espressività maniacale di Brzytwa, che si arrampica sui ghiacci degli arrangiamenti del duo, striscia come un conato di azoto liquido, contorcendosi, seducendo, strillando il suo panico esistenziale tra l’horror vacui di una metà del disco e i corridoi alienanti della sua altra metà. L’esperienza degli Amen Seat è impagabile, spigolosa, stridente, trascinante, per certi versi sublime e nauseante. Provare per credere.

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Katie Gately – Fawn / Brute

Il subbuglio generato dalle ansie e dalle gioie materne fa di Katie Gately una versione post-contemporanea di Tremotino più che di Arlecchino, un poltergeist tutto denti e stoviglie più che una wraith alle prese con l’epoca digitale. Per chi ricerca una musica poliedrica e dispettosa, i brani di Fawn / Brute che non conducono al braingasm si contano sulle dita di una mano monca. Per tutti gli altri rimane quella strana comunione atmosferica tra il festoso della prima infanzia e l’inquietante disillusione di una musicista che ha sempre usato i suoi strumenti elettronici per confrontarsi con gli abissi dell’umanità. In ogni caso, questo disco non può essere ignorato.

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Raja Kirik – Phantasmagoria of Jathilan

I cinque atti del disco dei Raja Kirik prendono le mosse da un terreno comune post-industriale, ma scoppiano in diverse direzioni a seconda del momento del Jathilan raffigurato, dando anche una particolare connotato al termine di Phantasmagoria usato nel titolo: sia che si voglia usarlo nel senso di teatro dell’orrore costruito su smoke and mirrors sia nel senso di sequenza di flash e immagini oniriche. Il carosello delle brutalità prende tutto lo spettro dell’elettronica del terrore, a partire dalla dark ambient che gorgheggia nei pochi momenti di calma del disco (soprattutto nel primo e nel quinto atto) passando per svariati break metallici, castrati, poliritmici (terzo e quarto atto) ad arrivare a delle concrete scariche di techno hardcore da infarto. Conoscere un minimo del background rituale concede ai campionamenti più folli e agli hook più fuori fuoco di apparire come delle traslazioni in rumore delle acrobazie corporali e punitive dei danzatori Jathilan, e con le cuffie in testa e gli occhi chiusi è molto facile sentirsi affogati nel sangue degli spiriti. È molto facile anche grazie al kit di timbri che affiora nell’interplay tra i synth di Ariendra e le percussioni tradizionali di Pribadi, che duellano tra natura e cultura con risultati di genere veramente impressionanti.

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Kate NV – WOW

WOW non è soltanto la sua opening track, con il suo andazzo da colonna sonora di un episodio onirico di Sailor Moon (a cui Kate NV dichiara costantemente di ispirarsi). Al suo interno si nascondono piccole imitazioni del Kōji Kondō di The Legend of Zelda (si veda asleep); legni acciaccati e bassi slap si sovrappongono su un ribattuto d’organo che potrebbe stare suonando Laetitia Sadier prima di essere assaliti da stab orchestrali su early bird; le campanelle meditative di mi (we) si congiungono e si disfano in piccoli gamelan virtuali tenuti assieme soltanto dai sintetizzatori tremolanti come gelatina e dalla voce senza parole dell’artista. Gli undici brani di WOW, insomma, saltellano gioiosamente qua e là con la stessa intensità di un bambino lasciato libero in una stanza piena di giocattoli. Ed effettivamente sembra essere questo il metodo compositivo di Šilonosova, che adopera espressamente sample di strumenti malridotti e found sounds della vita di tutti i giorni per inventare le sue piccole, deliziose storie.

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Liturgy – 93696

93696, il nuovo doppio disco della band uscito poco più di una settimana fa sotto Thrill Jockey, continua nel solco del black metal trascendentale che i Liturgy si sono imposti di seguire fin dal primo momento della loro discografia. Anche con tutte le sue ciance metafisiche ed escatologiche, è impossibile non lasciarsi cadere la mascella quando l’apertura del disco, il delicato esercizio corale di Daily Bread, lascia il passo all’assalto furioso di Djennaration. Immediatamente veniamo investiti da una batteria perpetuamente in mutazione tra start-and-stop e blast beat forsennati, mentre la chitarra di Hunt-Hendrix si erge sopra una torre di synth orchestrali e percussioni tintinnanti. Quando il primo scream irrompe selvaggiamente nello spazio sonoro, la sensazione di disorientamento si fa sempre più eccitante: quale altra band metal accentuerebbe l’ingresso della propria voce con un tappeto di flauti, per poi discendere in un intermezzo elettronico che richiama gli overworld themes dei titoli per SNES? E quale altra band saprebbe togliersi così facilmente d’impiccio dalla deviazione descritta qui sopra, per ritornare immediatamente a vandalizzare le orecchie dell’ascoltatore con le sue furiose sfuriate?

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Jason Moran – From the Dancehall to the Battlefield

Non sorprende che un musicista come Jason Moran, che nella sua carriera pluridecennale si è sempre distinto per un linguaggio pianistico poliglotta che abbraccia l’avant-garde così come il ragtime, lo stride, il blues e il bop, abbia deciso di basare il concept di un suo disco proprio su James Reese Europe. From the Dancehall to the Battlefield è l’occasione per Moran di riflettere sull’impatto avuto da Europe nella percezione e nella considerazione dell’arte afro-americana, ma anche per celebrare la vitalità che traspare dalle sue composizioni – l’umanità delle sue canzoni e delle sue band, nelle stesse parole del press-kit. Soprattutto, però, è un’opportunità per rileggere e inquadrare il lascito artistico e intellettuale di Europe a oltre un secolo di distanza da quando la pulsazione sincopata e futuristica dei suoi brani è apparsa per la prima volta nelle sale da ballo americane, segnando indelebilmente la storia della musica nera. Già dal 1° gennaio avevamo a nostra portata il primo disco jazz grosso del 2023: correte a recuperarlo.

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Marina Herlop – Nekkuja

Come nel caso del precedente Pripyat, la musica di Nekkuja si situa in un’intercapedine che separa le nuove forme dell’art pop elettronico da una forma immaginaria di folk ancestrale, anche se in questo caso l’ispirazione folk è ben più pronunciata – già a partire dal concept di ispirazione naturalista, in cui la coltivazione e la preservazione di piante, giardini e foreste sono viste come metafora della cura della propria psiche. L’umore generale di Nekkuja suona perciò ancora più lontano dalle accelerazioni hi tech della maggior parte degli artisti art/glitch pop contemporanei: al confronto con il suo predecessore, Nekkuja appare estremamente più luminoso e rigoglioso; eppure, la sua più spiccata sensibilità pop viene smorzata da una peculiare dimensione esotica e austera, ereditata direttamente dal folk e dalla musica di ispirazione accademica. È un approccio alla folktronica tanto raro quanto prezioso, e per questo non possiamo che salutare Nekkuja come uno dei grandi dischi di questo 2023.

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Celestaphone – Paper Cut from the Obit

Non fatevi impressionare dalla parata di riferimenti dagli anni ‘70: Paper Cut From the Obit è così radicato nel presente che ad un primo ascolto neanche ci si accorge esattamente quanto stia andando nel futuro. La scrittura delle basi è abbastanza multiforme da incastrarsi alla perfezione nella recente tradizione di brani adatti a gente con la soglia dell’attenzione inferiore a un minuto: il flow acrobatico e allo stesso tempo zoppo di Celestaphone è circondato da questa folla iperattiva di campionamenti e strumenti che lo attacca per moduli e brevi sortite. Il rapper si divincola benissimo nel caos che ha creato con le basi, turbinando in una spirale di beat che spesso trascendono dallo spirito del campionamento a quello del collage sonoro. Tutte le incertezze di scrittura colano nel campo estetico della bellezza imperfetta da outsider; tutti gli sbuffi lirici si arrampicano tra un piano ragtime e un synth galattico; tutti i rallentamenti vengono graziati da un gusto e da un orecchio fuori dal comune e al termine di Babies è impossibile non cominciare a ossessionarsi con questo patchwork che triangola il cazzaro, il critico e il genio.

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MC Yallah – Yallah Beibe

Yallah Beibe è uno showoff volgare e viscerale del flow velenoso della sua scrittrice, una sassaiola corposa e materica di trap e grime che brilla in ogni sua componente senza lasciare un secondo di respiro. Il rap di MC YALLAH è rovinoso e nervoso, va veloce, spinge come un motore truccato, regala un’esperienza semplicemente distruttiva, gloriosa. Se nella villa grime di Kampala la musica di Yallah fa la parte dell’alfa, nel contesto internazionale il suo flow guerrigliero si batte nel campionato delle più scrociate voci dell’hardcore hip hop contemporaneo (sto pensando soprattutto a Backxwash). Una voce così alienata e graffiante non può che lasciare esausti in tutte le sue declinazioni, e alla fine di Yallah Beibe tutto il lavoro dei producer che ci stanno dietro si sfuma in una lavagna troppo usata, piena di colpi di gessetto. Dei calcoli che abbiamo provato ci ricordiamo solo lo stridio ed il rumore del calco, neanche l’impronta.

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100 gecs – 10,000 gecs

La prima volta che ho ascoltato il debutto dei 100 gecs mi hanno fatto schifo in culo, era in linea di massima una merda. Non perché sono stato particolarmente sconvolto dalle loro acrobazie sciolte e bizzarre né perché ho difficoltà a interfacciarmi con l’hyperpop: semplicemente mi sono sembrati da subito un duo che si attacca allo zoomer cringe, lo fa male, senza troppe idee e senza niente in testa. Non la mia cosa preferita. Poi, riascoltando più volte 1000 gecs, la loro musica mi è salita sempre di più: il duo sa essere veramente, ma veramente infectious. Ero partito apprezzando i mischioni più sperimentali (I Need Help ImmediatelyGecgecgecXxxi_wud_nvrstøp_üxxx), ma in tempo due mesi le varie Money MachineRingtone745 Sticky sono entrate prepotentemente nella mia heavy rotation. Pensavo di sperare che l’evoluzione dei 100 gecs li avrebbe portati a nuove valli di decostruzione del pop psicotico, che avrebbero potuto sfruttare il loro talento per bucare un mercato che spesso si è limitato per valorizzare la propria estetica a discapito della musica. Avevano la giusta punk attitude, poteva succedere qualcosa di grande. Non sapevo che sarebbe successo tutto l’opposto, ma non sapevo nemmeno quale reazione avrei avuto a questa involuzione. Ora i gecs non hanno veramente niente in testa. Eppure.

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Petra Hermanova – In Death’s Eyes

Hermanova ha deciso di sfruttare i suoi nuovi mezzi per gettare via tutte le zavorre della forma pop e dedicarsi a una ossessiva musica scura e drammatica, che fa una grande leva sull’impianto strumentale scelto a corredo (l’autoharp, l’organo di Ladegast della cattedrale di Merseburg, un coro a dodici voci) e liquefa ogni geometria ritmica in un bacino di droni che reggono tutta la struttura del pezzo. Ciò che risulta da queste scelte è terrificante: il modo in cui il Ladegast affronta l’estensione dei due brani più lunghi, Two Deaths e Aurochs’ Lament, è fantasmatico e allo stesso tempo fisico, presente e urgente. Le note più basse vibrano come una radiazione cosmica, le melodie contorte dell’autoharp e della mano destra danzano a costruire un’esperienza sonora che ricorda e in certi punti compete con la Nico di All That is My Own e di certi passaggi di The Marble Index – mentre talvolta degrada in una bolgia di freeness dissonante e agghiacciante.

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Kostnatění – Úpal

Úpal sembra suggerire una direzione nuova per il black e il death metal, e in particolare per quel loro particolare sottogenere che in questi anni ha cominciato ad abusare di microtonalità e dissonanza concependole unicamente come un mezzo per rendere ancora più sulfurea una musica già non particolarmente accessibile – una prospettiva limitante e che per di più ha da tempo perso ogni novelty factor. Lyons ha deciso invece di ripensare l’utilizzo della microtonalità traendo ispirazione dalla sua passione per musiche tradizionali provenienti dal Nord Africa, dalla Turchia e dal Medio Oriente, ovvero da luoghi e culture in cui da sempre si adoperano sistemi diversi dall’ordinario temperamento equabile occidentale. Il nucleo fondamentale della musica di Kostnatění rimane però il black metal – peraltro, in un’espressione estremamente intelligente e poco propensa a scendere ai compromessi di accessibilità che molto black metal americano ama adottare. Proprio per questa sua natura essenzialmente estrema, Úpal è una dimostrazione eclatante di quanto l’utilizzo di dissonanza e microtonalità nel black metal sia stato finora frustrantemente monoprospettico, e di quante possibilità rimangano tuttora inesplorate e interessantissime. Anche per questo, è uno dei dischi metal più grandi di questo 2023.

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Leonardo Barbadoro – Musica Automata

Pur delegando ugualmente una parte fondamentale del processo creativo alla tecnologia, Barbadoro punta non a esplorare come essa possa imparare e arrivare così a nuove soluzioni compositive (come riuscito esempio di tale approccio vedere PROTO di Holly Herndon, fuori ormai da qualche anno, e numerosi progetti di musica elettronica dopo di esso) bensì alla creazione di un progetto profondamente personale, totalmente privo di compromessi a livello compositivo. Con Musica Automata si ha infatti il compimento di una visione paradossale secondo cui l’unico modo per portare alla luce la versione più fedele dell’espressione di un singolo individuo sia far affidamento sulle macchine. La coniugazione così limpida del principio fondante della musica elettronica in un ambiente reale e la qualità del prodotto che ne deriva fanno di Musica Automata uno dei progetti più intriganti nel panorama musicale italiano, pronto a ricompensare l’ammontare di attenzione che richiede con un oceano di trovate espressive sofisticate e originali.

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Michel van der Aa – Upload

Il galvanizzante percorso di Upload si dipana attraverso nove scene di lunghezza variabile, mantenendo il più importante occhio di bue sulla voce di Julia Bullock che, pur risultando un po’ affettata in certi passaggi, brilla e si mantiene solida e vivace anche negli alti più drammatici. Laddove il tratto vocale che accompagna il lutto della soprano è spesso coeso e retto, Upload si imbizzarrisce e si increspa nel canto boscoso e cedevole di Roderick Williams, che ha certamente la parte più difficile (anche solo a livello di recitazione) e che viene spesso accompagnato da colpi d’orchestra tragici e dolorosi, che fanno poi la vera, schiacciante grandezza del lavoro multimediatico di Van der Aa. Il compositore sceglie per questo racconto sulla soglia tra l’umano e il digitale una serie di strumenti diegetici che lasciano un po’ spiazzati, ma che funzionano molto bene. Questo lavoro di esplorazione, costantemente sconcertato dalle linee vocali di Bullock e Williams, varie volte interrotto e brutalizzato dalle cascate di elettronica, è abbastanza succulento da farci scegliere questa registrazione come uno dei dischi più affascinanti e significativi di questo 2023. Godetevelo.

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DJ Sabrina the Teenage DJ – Destiny

Chitarre acustiche, sintetizzatori, beat digitali e sample si impastano a formare una melassa sonora tanto kitsch quanto affascinante, unione ulteriormente promossa da una produzione sfumata che gioca poco con le dinamiche per non far risaltare troppo nessuna componente, cercando invece di lasciare il minor vuoto possibile nel materiale sonoro. Come inevitabilmente accade, portare avanti la stessa cosa per quasi quattro ore risulta un po’ stancante, ma in questo caso il rimbalzare dei beat house da discoteca pomeridiana è piuttosto efficace a mandare in trance chi ascolta: Destiny è il classico disco che se ascoltato nel momento sbagliato rischia di annoiare subito, ma nel mood giusto può essere goduto anche nella sua interezza. Se non si è vicini a questo stile espressivo, bisogna senza dubbio ingoiare qualche rospo per capire che DJ Sabrina ci sa fare, che ha un progetto originale alla base e che lo porta avanti con coerenza e savoir fare.

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Ex Wiish – Shards of Axel

Come donare a un disco di musica elettronica una dimensione narrativa percepibile durante l’ascolto? Il musicista newyorchese Ben Shirken, dentro fino al collo all’underground della grande mela come DJ, si deve essere posto questa stessa domanda con l’idea alla base di Shards of Axel, suo primo progetto sotto il nuovo moniker Ex Wiish. L’ispirazione di fondo va infatti ricercata nelle grandi avventure videoludiche: a detta di Shirken, l’obiettivo era immergere l’ascoltatore in un’esplorazione di panorami fantastici, distopie lontane e megalopoli dimenticate. Per riuscire in tale intento un solo genere non basta: qualsiasi peregrinazione degna di nota vive infatti di quiete e caos, di ambienti pacifici e situazioni pericolose, di dinamismo e meditazione. Ne consegue che Shards of Axel debba essere prima di tutto un disco eclettico. Shirken mischia alla perfezione sintetizzatori ambient cibernetici, IDM metallica, beat techno e breakbeat nonché sottilissime timbriche lo-fi, stratificando texture sonore e progressioni ritmiche con la precisione di un orologiaio a delineare panorami di straordinaria vividezza. Shards of Axel colpisce tanto per la sua forza evocativa quanto per la raffinatezza del design sonoro, segnando così uno degli esperimenti più riusciti dell’anno.

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PoiL & Junko Ueda – PoiL / Ueda

Da qualche anno, i PoiL e Junko Ueda hanno cominciato a unire le proprie forze suonando una musica che ambisce a trovare un punto di incontro tra la musica cerebrale e post-moderna dei primi con la tradizione secolare giapponese incarnata dalla seconda. A una attenta valutazione, sono forse proprio i PoiL quelli che più hanno beneficiato di questa collaborazione. Ovviamente, il progetto concettuale alla base di PoiL / Ueda non ha permesso loro di ostentare le bellissime armonie vocali di ascendenza folk che si potevano ammirare in dischi come Sus; dall’altra parte, il prestare la propria capacità strumentale alla più definita visione narrativa di Ueda dà loro modo di non arenarsi nello stuolo di cliché avant-prog che ogni gruppo che sa suonare molto bene i propri strumenti è capace di elargire. La musica di PoiL / Ueda, non vergognandosi di adottare dinamiche piane e pianissime, suona al confronto molto più multidimensionale e viva. In particolare, la strada tracciata dalla loro edizione abridged del classico Dan No Ura indica numerose direzioni verso cui questa musica può ancora evolvere e migliorare.

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Lankum – False Lankum

Lo scheletro plurisecolare su cui si appoggiano i Lankum è solo la base da cui il suono della band si espande per abbracciare tentacolarmente affascinanti devianze dalla forma tradizionale, piegandola con sottili variazioni che decostruiscono le basi del filone a cui fanno riferimento. Prendete ad esempio la già citata The New York Trader: se i primi tre minuti sono a tutti gli effetti una riproposizione del repertorio classico irlandese, notate il dettaglio di come il verso “and pray the Lord may grant you rest” venga sardonicamente accentuato da un organo da chiesa che si spegne nel silenzio… solo per far ripartire la narrazione dell’inevitabile destino del capitano della nave con un passo feroce incalzato dalle percussioni elettroacustiche, sottolineato dallo spigoloso bordone di harmonium di Radie Peat e dal violino mefistofelico di Cormac MacDiarmada, come pure da quell’ “AAH!” corale ripetuto tre volte come una campana a morto e che avvolge tra i flutti dell’oceano il corpo del delitto di una ciurma che è giudice, giuria e boia.

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Liza Lim – Annunciation Tryptich

Liza Lim si è distinta negli anni con un percorso di assoluto valore nel contesto delle avanguardie post-Lachenmann, facendo fiorire una particolare sensibilità ecologica nella comunicazione aperta tra le filiazioni della musica concreta con i mondi sonori degli studi elettroacustici e della drone music. L’uscita di Annunciation Triptych alza ulteriormente l’asticella: l’ambizione è quella di riprendere la forza melodica ed emotiva tipica del poema sinfonico e instillarla in un tessuto musicale informato dagli sviluppi delle correnti spettraliste, coltivando la verve narrativa nella profondità della ricerca sonora. Il risultato è una musica vivida e avvolgente, con una visione modernissima a guidare trame strumentali in cui la seduzione del rumore si accompagna ad emozionanti momenti di nitore melodico. Liza Lim riesce a portare la propria creatività su un territorio inaspettato, dove l’intensità, la densità e la complessità della sua musica si elevano e si compenetrano per un risultato spettacolare: i richiami ad opere pittoriche e creature bioluminescenti non sembreranno affatto campati per aria dopo l’ascolto. Il suo posto tra le più importanti compositrici viventi è ormai consolidato.

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Sílvia Pérez Cruz – Toda la vida, un día

Il timpano dell’orecchio dondola tra stimoli così differenti, espressività così lontane, che è inevitabile rimanere con l’impressione di star ascoltando qualcosa di importante. È un sentimento che può capitare di provare facilmente passando dalla rumba di Salir distinto al coro trentino Cima Tosa che rielabora lo splendore di Aterrados, oppure nel cambio tra il meraviglioso duetto con Lafourcade di Mi última canción triste (in cui quest’ultima, c’è da dire, spicca per espressività) e la devastante title-track cantata all’ombra della voce antichissima e spettrale di Liliana Herrero. In cinque movimenti e ventuno brani può capitare, ogni tanto, di perdere un po’ lo smalto (il love theme di Rota un po’ gratuito, Ayuda davvero troppo melensa), ma alcuni dei momenti più brillanti del disco lasciano veramente con la faccia per terra. Le AterradosEl poeta es un fingidorEm moro e 21 de Primavera, per non parlare della title-track, fanno tutti parte dei brani più assurdi che mi sia capitato di sentire in questo 2023.

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Monika Roscher Bigband – Witchy Activities and the Maple Death

Alleggerita di molte delle forme più classicamente jazzy che venivano interpretate un po’ troppo rigidamente sui due album precedenti, la musica della Monika Roscher Bigband ha finalmente tutto il margine di manovra per librarsi in volo verso un sound opulento ed esuberante che vuole deflagrare in ogni direzione: melodie umbratili uscite da un qualche disco di Emilíana Torrini, fragorosi exploit orchestrali che invece paiono preparate per qualche colonna sonora particolarmente over the top, evoluzioni strumentali labirintiche quasi in odor di avant-prog, futuristici soundscape elettronici. Se possiamo salutare Witchy Activities and the Maple Death come un tale successo artistico si deve proprio all’intelligente, quasi miracoloso, punto di equilibrio che Roscher ha trovato tra la cerebralità timbrica, ritmica e armonica del jazz e del progressive rock con un gusto per la catchiness melodica e vocale che, in un contesto più propriamente pop, sarebbe facilmente risultata stucchevole: le due anime del progetto Monika Roscher Bigband valorizzano così i propri punti di forza vicendevolmente, e Witchy Activities and the Maple Death attinge a un suono davvero unico, capace di conquistare tanto i fan del progressive quanto i fan dell’art pop.

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Aho Ssan – Rhizomes

Il progetto di Aho Ssan fa dell’inframedialità di Rhizomes uno dei suoi punti di arrivo (seppur in maniera totalmente potenziale): se infatti la linearità dell’oggetto-disco è puntualmente evidenziata addirittura da una Ouverture e una Fermeture, in cui la voce di Nyokabi Kariuki viene prima diramata e poi sfoltita mentre ripete solennemente il titolo dell’album per ritornare al punto zero, l’intento di Rhizomes va oltre i suoi dieci pezzi. Seguite con le orecchie le acrobazie soniche di brani come Cold Summer Part I, che riesce magistralmente a cesellare la poderosa barra del rapper inglese Blackhaine all’interno di un soundscape alieno, o di Hero Once Been, dove la voce di 9T Antiope viene modellata impressionisticamente fino a fondersi in maniera indissolubile con l’accompagnamento, confondendo sfondo e primo piano: vi accorgerete che Rhizomes, anche nella sua versione più limitata, è uno scrigno di tesori che rivela nuove meraviglie e stimola riflessioni profonde ad ogni ascolto.

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Le nostre classifiche individuali

Alessandro

  1. Celestaphone – Paper Cut From the Obit
  2. Raja Kirik – Phantasmagoria of Jathilan
  3. Michel van der Aa – Upload
  4. Sílvia Pérez Cruz – Toda la vida, un día
  5. 100 gecs – 10,000 gecs
  6. Steve Lehman & Orchestre National de Jazz – Ex Machina
  7. Amen Seat – Amen Seat
  8. MC Yallah – Yallah Beibe
  9. DJ Sabrina the Teenage DJ – Destiny
  10. jaimie branch – Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((World War))
  11. Liturgy – 93696
  12. Jason Moran – From the Dancehall to the Battlefield
  13. Katie Gately – Fawn / Brute
  14. Amnesia Scanner & Freeka Tet – STROBE.RIP
  15. Petra Hermanova – In Death’s Eyes
  16. James Holden – Imagine This is a High Dimensional Space of All Possibilities
  17. Pacing – Real Poetry Is Always About Plants and Birds and Trees and the Animals and Milk and Honey Breathing in the Pink but Real Life Is Behind a Screen
  18. Erik Hall – Canto Ostinato
  19. Asleep Country – Fake Opulent
  20. Young Fathers – Heavy Heavy

David

  1. jaimie branch – Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((World War))
  2. Steve Lehman & Orchestre National de Jazz – Ex Machina
  3. Kate NV – WOW
  4. Celestaphone – Paper Cut from the Obit
  5. Leonardo Barbadoro – Musica Automata
  6. Ex Wiish – Shards of Axel
  7. Marina Herlop – Nekkuja
  8. 100 gecs – 10,000 gecs
  9. James Holden – Imagine This Is a high Dimensional Space of All Possibilities
  10. PoiL & Junko Ueda – PoiL / Ueda
  11. Doc Sleep – Birds (In My Mind Anyway)
  12. Raja Kirik – Phantasmagoria of Jathilan
  13. DJ Sabrina the Teenage DJ – Destiny
  14. Rezzett – Meant Like This
  15. Katie Gately – Fawn / Brute
  16. Amen Seat – Amen Seat
  17. Laura BCR – Human Behavior
  18. Young Fathers – Heavy Heavy
  19. Kool Keith & Real Bad Man – Serpent
  20. Sílvia Pérez Cruz – Toda la vida, un día

Emanuele

  1. Steve Lehman & Orchestre National de Jazz – Ex Machina
  2. Amen Seat – Amen Seat
  3. jaimie branch – Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((World War))
  4. Jason Moran – From the Dancehall to the Battlefield
  5. Kostnatění – Úpal
  6. Katie Gately – Fawn / Brute
  7. James Holden – Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities
  8. Marina Herlop – Nekkuja
  9. Petra Hermanova – In Death’s Eyes
  10. Yiagos H., Coti K. & P. K. Tsiko – Radical Imaginary
  11. Leonardo Barbadoro – Musica Automata
  12. Odz Manouk – Ծուռ (Tzurr)
  13. MC Yallah – Yallah Beibe
  14. London Brew – London Brew
  15. Monika Roscher Bigband – Witchy Activities and the Maple Death
  16. Being & Becoming – Ars Memoria
  17. Liturgy – 93696
  18. Missy Mazzoli – Dark with Excessive Bright
  19. Thantifaxath – Hive Mind Narcosis
  20. Kate NV – Wow

Jacopo

  1. James Holden – Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities
  2. Lankum – False Lankum
  3. jaimie branch – Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((World War))
  4. Raja Kirik – Phantasmagoria of Jathilan
  5. Katie Gately – Fawn / Brute
  6. Liturgy – 93696
  7. Kostnatění – Úpal
  8. Steve Lehman & Orchestre National de Jazz – Ex Machina
  9. Gridlink – Coronet Juniper
  10. Aho Ssan – Rhizomes
  11. Roomful of Teeth – Rough Magic
  12. Marina Herlop – Nekkuja
  13. PoiL & Junko Ueda – PoiL / Ueda
  14. Kate NV – WOW
  15. 100 gecs – 10,000 gecs
  16. Matthew Herbert & London Contemporary Orchestra – The Horse
  17. Jason Moran – From the Dancehall to the Battlefield
  18. Chief Adjuah – Bark Out Thunder Roar Out Lightning
  19. Amen Seat – Amen Seat
  20. Kara Jackson – Why Does the Earth Give Us People to Love?

Roberto

  1. Steve Lehman & Orchestre National de Jazz – Ex Machina
  2. Liza Lim – Annunciation Triptych
  3. Kate NV – WOW
  4. James Holden – Imagine This Is a High Dimensional Space of All Possibilities
  5. jaimie branch – Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((World War))
  6. MC Yallah – Yallah Beibe
  7. Amen Seat – Amen Seat
  8. Petra Hermanova – In Death’s Eyes
  9. Liturgy – 93696
  10. Monika Roscher Bigband – Witchy Activities and the Maple Death
  11. Sully & Tim Reaper – UHFR001
  12. Jason Moran – From the Dancehall to the Battlefield
  13. Michel van der Aa – Upload
  14. Missy Mazzoli – Dark with Excessive Bright
  15. Armand Hammer – We Buy Diabetic Test Strips
  16. Ex Wiish – Shards of Axel
  17. Katie Gately – Fawn / Brute
  18. Marina Herlop – Nekkuja
  19. ZULI – Komy
  20. Flesh & the Dream – Choose Mortality

Menzioni onorevoli

  • Abjeto – Dialética do caos (Emanuele)
  • Among the Rocks and Roots – Pariah (Emanuele)
  • Angel Bat Dawid – Requiem for Jazz (Alessandro)
  • Anjimile – The King (Alessandro)
  • Arooj Aftab, Vijay Iyer & Shahzad Ismaily – Love in Exile (Jacopo)
  • Asake – Work of Art (Emanuele)
  • Baskot Lel Baltageyya – Baskot Lel Baltageyya (Alessandro)
  • Brigan – Liburia Trip (Alessandro, Emanuele)
  • Daniela Pes – Spira (Alessandro)
  • Darcy James Argue’s Secret Society – Dynamic Maximum Tension (Emanuele)
  • Dave Okumu & The Seven Generations – I Came From Love (Alessandro)
  • Deena Abdelwahed – Jbal Rrsas جبل الرصاص (Alessandro)
  • Deerest Friends – Lamb Leaves Pasture (Alessandro)
  • Demikhov – The Chemical Bath (Emanuele)
  • Gezebelle Gaburgably – Gaburger (Alessandro)
  • HUUUM – Huuum (Alessandro)
  • Islaja – Angel Tape (Roberto)
  • James Brandon Lewis / Red Lily Quintet – For Mahalia, With Love (Emanuele)
  • Jan Van Angelopoulos / Fotis Siotas – Folks Nowadays (Alessandro, Emanuele)
  • Jlin – Perspective (Emanuele)
  • Judgitzu – Sator Arepo (Alessandro)
  • Kate Gentile – Find Letter X (Emanuele)
  • Kahn & Neek – Lupus et ursus (Alessandro)
  • Kevin & the Bikes – Fade from the View (Alessandro)
  • Killer Whale Atmospheres – Rainforest Spiritual Enslavement (Alessandro)
  • La Vida Bohème – Caribe Caribe (Alessandro)
  • Las Lloronas – Out of the Blue (Alessandro)
  • Mário Costa – Chromosome (Alessandro)
  • Missy Mazzoli – Dark with Excessive Bright (Roberto)
  • Nakibembe Embaire Group – Nakibembe Embaire Group (Roberto)
  • Ndox Electrique – Tëdd ak Mame Coumba Lamba ak Mame Coumba Mbang (Alessandro)
  • Orquesta del Tiempo Perdido – Sepk (Alessandro)
  • Ramdam Fatal – Ramdam Fatal (Alessandro, Emanuele)
  • Reverend Kristin Michael Hayter – SAVED! (Alessandro, Emanuele)
  • Short Fiction – Oblivion Will Own Me and Death Alone Will Love Me (Void Filler) (Alessandro)
  • Stegosauro – STEGOSAURO (Alessandro, Jacopo)
  • Tianna Esperanza – Terror (Alessandro)
  • Tzusing – 绿帽 Green Hat (Emanuele, Roberto)
  • underscores – Wallsocket (Alessandro)
  • Water from Your Eyes – Everyone’s Crushed (Emanuele)
  • Wayfarer – American Gothic (Emanuele)
  • ТДК – Nemesta (Emanuele)
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