TARTA RELENA – ÉS PREGUNTA
Non so se anche voi con la musica andate a periodi, ma io sì. Mi succede spesso di fare il chiusone per giorni o settimane su qualcosa di specifico, a volte anche ultra-specifico, rifiutando o ignorando tutto il resto. Uno di questi episodi che ricordo sempre con il sorriso risale ad un paio di anni fa, quando sostanzialmente non ascoltavo più musica composta dopo il 1500. Oltre al diventare oggetto di svariati meme per le mie amicizie, quel periodo fu importante per chiarirmi le idee su parecchie cose, dai problemi legati alle notazioni medievali a certe questioni che in Occidente diamo oggi per scontato essere importantissime, ma che secoli fa lo erano molto meno – chi è l’autore di questo brano? Qual è la specifica strumentazione di questo pezzo? C’è un mondo di musica sparpagliata in manoscritti e codici di cui, oltre alla melodia, se va bene rimane una firma; in casi eccezionali si può estrapolare qualche possibile arrangiamento studiando quali strumenti fossero disponibili all’epoca o tramite l’aiuto di illustrazioni, ma sono rarità, frammenti collegati per induzione da fili logici sottili. La musica non si vede né si tocca, e per questo è un medium fragile e suscettibile allo scorrere del tempo.
Nel mettere insieme tutti questi ragionamenti, ammetto che ne uscii un po’ destabilizzato, figlio come sono del supporto fisico, del diritto d’autore, della notazione su pentagramma. Ci volle pazienza per metabolizzare la bellissima conseguenza che si nascondeva dietro i tendoni di queste considerazioni: se è vero che mai potremo conoscere come un pezzo musicale suonava per autori e pubblico di epoche remote, è anche vero che queste melodie e questi testi possono non solo vivere ancora, ma anche essere declinati con colori inediti, osando, destrutturando e ricontestualizzando.
Un’idea simile devono essersela fatta anche le Tarta Relena, duo catalano che in questi anni continua a far sbocciare lavori sospesi tra il passato ed il presente, in cui le due dimensioni vengono miscelate come colori su una tavolozza grande quanto il bacino del Mediterraneo. A ben pensarci stupisce poco che questo progetto arrivi da Barcellona, come stupisce poco che le due artiste abbiano figurato tra le coriste di Maria Arnal e Marina Herlop, ma per ulteriori riflessioni su questa vivacità latina c’è l’ultimo pezzo di Alessandro. È invece ben più stuzzicante constatare che, in barba agli sfilacciamenti sonori post-industriali così in voga di questi tempi, le nostre si muovano in una certa controtendenza sul piano timbrico.
Alle Tarta Relena piace la voce. Lo affermano nelle interviste, ma soprattutto lo dimostrano nei loro dischi, dando ampio spazio ad armonie polifoniche e canti monodici poggiati su tappeti strumentali minimali e contenuti, quando non inesistenti. In questo contesto, la flessibilità di articolazione è massima: melodie originali coesistono con opere di tradizione antica, spesso medievale, fondendo in uno stampo senza che sia possibile distinguere l’origine del prodotto finito. Ma se c’è una voce, c’è anche un testo. Quando il progetto nasce, a fine 2018, Marta Torrella insegnava ancora pianoforte, ed Helena Ros pianificava l’inizio di un dottorato in linguistica teorica. Questo dottorato non sarà mai formalmente portato a termine, ma il suo seme è stato lasciato germogliare proprio nell’azzardo della proposta musicale delle catalane: come fanno collassare il tempo, le Tarta Relena condensano anche lo spazio nel loro canto, utilizzando le lingue come vero e proprio strumento espressivo. Il catalano d’origine è solo un pezzo del grande mosaico pan-Mediterraneo composto dalle artiste in cui spagnolo, latino, greco antico e italiano contribuiscono al disegno generale. C’è qualcosa di magico in questo sincretismo, spiccatamente romanzo, nel suo risvegliare delle corde ancestrali che vibrano alla base dei concetti stessi di Europa ed Occidente – una magia resa ancora più potente dalla naturalezza con cui questo incastro viene combinato. Le ambiziose premesse non sembrano mai incerte, non suonano mai pretenziose, piuttosto appaiono granitiche e assodate, e questo nonostante l’originalità che il duo porta sul piatto del panorama musicale contemporaneo.
Ma arriviamo ora ad És Pregunta. L’ultima fatica delle Tarta Relena viene pubblicata questo ottobre, configurandosi subito come la naturale continuazione di un percorso ben definito. Se nei primi lavori la voce spadroneggiava in lunghe sezioni a cappella, con il tempo essa ha dovuto rassegnarsi a convivere con gli arrangiamenti, spesso elettronici. I passi sono stati piccoli e calibrati, ed in questo senso chi abbia ascoltato il precedente Fiat Lux (2021) non deve aspettarsi stravolgimenti nella formula. Questo è un problema fino a un certo punto, visto che tale formula è non solo vincente, ma nell’allargare le sue maglie riesce ora a toccare un punto spinoso che la grandeur di questi esperimenti spesso finisce per trascurare: in più di un’occasione, És Pregunta diverte, fa agitare la testa, quasi ballare. È il caso di banger come Si veriash a la rana, melodia tradizionale sefardita in uno sbilenchissimo e irresistibile 9/16 (e non per nulla primo singolo estratto), ma anche di tracce come Mano Décima e Mille Risposte. Riguardo quest’ultima, sarò forse gasato io nel comprendere ogni parola del testo italiano, ma l’efficacia di una melodia che continua a rimanermi in testa per giorni non può essere messa in discussione così facilmente.
Com’è naturale che sia, il minutaggio viene comunque spartito con il lato della medaglia più impegnato. Beata Viscera, ad esempio, è lì a ricordarci che non bastano ottocento anni a cancellare l’importanza di Perotino. L’operazione è simile a quanto in Fiat Lux era stato fatto con il Nunc Aperuit Nobis di Ildegarda di Bingen: in entrambi i casi, chi non conoscesse già il pezzo potrebbe non accorgersi dei secoli intercorsi dalla sua composizione, tale è la rielaborazione che la melodia ha subìto sotto le mani delle catalane. Un trattamento affine è riservato anche al testo del Tuba Mirum, parte del Dies Irae nelle messe da requiem. Strizzando l’occhiolino alla lunga tradizione che lo ha visto musicare, per molti culminante nella versione di Mozart, il duo riesce a forgiare qualcosa di nuovo dall’antico tramite modulazioni continue e riverberi spettrali, modus operandi che si riaggancia agli esperimenti dal sapore più colto di Galenismós messi in mostra poco prima. L’elettronica in generale è chiamata a raccordare le tracce, svolgendo il suo compito sempre in maniera calibrata e mettendosi in mostra solo quando necessario; laddove è più presente, come nello sfacciato vocoder di Tamarindo, il risultato è comunque funzionalmente straniante.
Fino ad ora gli elogi al sound delle Tarta Relena non sono mancati, ma c’è sempre un “ma”. És Pregunta soffre di un difetto comune ai dischi delle due artiste, tutto insito nell’arma a doppio taglio della voce. Questa tende infatti ad appesantire l’album specialmente sul finale, sbilanciandosi nel dominare in maniera eccessiva-quel-tanto-che-basta sugli arrangiamenti, e questo nonostante l’efficace chiusa del potentissimo mantra Crit Premonitori. C’è poi ancora troppa dispersione tra i vari pezzi, a volte molto corti; la sensazione è che il duo rischi alla lunga di perdere l’ascoltatore, togliendo la terra da sotto i piedi proprio quando sembrerebbe di averla conquistata. E d’altronde non è forse questa una delle sfide più impegnative nella concezione di un disco?
Ricapitolando, És Pregunta è un’altra conferma delle ottime premesse che le Tarta Relena hanno saputo sviscerare nei loro sei anni di carriera. Il capolavoro potrebbe essere dietro l’angolo, così com’è possibile che non stando all’erta le due possano invece perdersi in rotte già battute e ben più aride. Staremo a vedere. Possiamo solo dire che le ragazze ci sembrano sveglie, e continueremo con piacere ad osservarne l’evoluzione.